sabato 11 maggio 2013

"Concentrazione di CO2 senza precedenti" L'allarme di Greenpeace per i gas serra

I nuovi dati del Noaa, uno degli enti americani pià accreditati, riferiscono di una concentrazione in atmosfera di 400 parti per milione. Come 3 milioni di anni fa, quando l'homo sapiens non esisteva e il livello era più alto di 30 metri. Dovremmo ridurre le emissioni ma le stiamo aumentando di ANTONIO CIANCIULLO

ROMA - Bruciando carbone e petrolio abbiamo riportato l'orologio del pianeta a oltre 3 milioni di anni fa, un'epoca in cui l'homo sapiens (che deve ancora conquistarsi definitivamente l'aggettivo che si è auto assegnato) non esisteva e i mari erano più alti di 30 metri. La notizia - mai come in questo caso si può parlare di una novità - viene dalla Noaa (National Oceanic and Atmosferic Administration), uno degli enti americani più accreditati: la CO2 in atmosfera è arrivata a una concentrazione di 400 parti per milione. All'inizio della rivoluzione industriale erano a quota 280.
Non si può parlare di record storico perché il punto di riferimento travalica di molto la storia umana. Semmai è un record geologico. Ci spinge a osservare uno scenario passato, quello del pliocene: con 3 o 4 gradi in più rispetto a oggi e un pianeta ristretto dall'innalzarsi dei mari, non il luogo ideale in cui organizzare la vita degli oltre 9 miliardi di esseri umani che calpesteranno il pianeta nella seconda metà del secolo.

Un bel guaio. Ma non è finita. "Il tasso di crescita della concentrazione di CO2 in atmosfera è senza precedenti" , denuncia Greenpeace. "Se le emissioni di gas serra continueranno con questo ritmo si raggiungeranno le 1.000 parti per milione nel giro di 100 anni". Dunque si rischia di arrivare a quadruplicare la concentrazione di gas serra, mentre già l'ipotesi del raddoppio viene considerata catastrofica dagli scienziati. E mentre un movimento crescente, appoggiato dal più noto dei climatologi, Jim Hansen, vuole riportare la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera a quella che considera la soglia di sicurezza: 350 parti per milione.

Dovremmo ridurre le emissioni ma le stiamo aumentando. Il mancato decollo della seconda fase del protocollo di Kyoto ha fatto venir meno l'unico strumento internazionale cogente che era riuscito a invertire il processo (sia pure solo per una parte dei paesi industrializzati) spingendo sull'efficienza energetica e sulle rinnovabili.

Ma il boom dello shale gas (ottenuto con tecniche ad alto impatto ambientale), l'uso crescente del carbone e la domanda sempre più alta di energia nei paesi di nuova industrializzazione hanno vanificato lo sforzo compiuto nell'antica capitale giapponese programmando il salto verso un'economia a basso livello di carbonio.

La stima del disastro che rischia di produrre il caos climatico (Nicholas Stern, ex chief economist della Banca Mondiale, ha calcolato che, se non correggiamo il sistema produttivo basato sui combustibili fossili, dovremo affrontare danni valutabili tra il 5 e il 20 per cento del Pil mondiale) potrebbe ora spingere verso l'adozione di una carbon tax. Una pressione fiscale sull'inquinamento che, abbinata a un alleggerimento del carico di tasse che grava sul lavoro, può diventare uno strumento di rilancio dell'economia.
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