martedì 24 settembre 2013

Militanti anti-trivellazione di Greenpeace, Mosca apre inchiesta per pirateria

La nave Arctic Sunrise è stata rimorchiata nel porto di Murmansk dalle autorità russe dopo che una trentina di attivisti avevano cercato di salire su una piattaforma petrolifera di Gazprom. Il console generale italiano a San Pietroburgo sull'unico italiano del gruppo: "Cristian D'Alessandro sta bene". Ma i dimostranti rischiano fino a 15 anni di carcere

di | 24 settembre 2013Sta prendendo una brutta piega la vicenda degli attivisti di Greenpeace che la settimana scorsa avevano tentato di salire a bordo della piattaforma petrolifera Prirazlomnaya di Gazprom nell’Artico per protestare contro le trivellazioni. Contro di loro è stata aperta in Russia un’inchiesta per pirateria. L’ha annunciato Vladimir Markin, portavoce della Commissione investigativa russa. Lo stesso dicastero, conosciuto come la Fbr russa, dove erano stati imbastiti i processi contro i partecipanti alla protesta svoltasi alla viglia dell’insediamento di Vladimir Putin per il terzo mandato presidenziale. Il reato di pirateria, contestato agli attivisti dell’organizzazione ambientalista, prevede fino a 15 anni di carcere. Tra di loro c’è anche un militante italiano, si chiama Cristian D’Alessandro ed è originario di Napoli. E’ stato fermato dalle autorità russe insieme ad altri 29 militanti di Greenpeace provenienti da vari paesi e membri dell’equipaggio della nave Arctic Sunrise, dopo le proteste contro le trivellazioni offshore nell’Artico. Gli attivisti verranno perseguiti “indipendentemente dalla loro nazionalità” perché secondo le autorità violato la legge russa all’interno della zona economica esclusiva del Paese, ha detto il portavoce della Commissione investigativa. I militanti ecologisti, accusati di pirateria, sono tutti stranieri, tranne quattro russi. Greenpeace difende i suoi attivisti: “La nostra nave si trovava in acque internazionali ed è stata abbordata illegalmente”.
Il rompighiaccio battente bandiera olandese, su cui si trovavano gli attivisti, è stato prima preso d’assalto da persone armate scese da un elicottero e poi rimorchiato dalla guardia costiera russa per tre giorni, attraverso il Mare di Barents, nel porto di Murmansk, città dell’estremo Nord russo. E’ giunto nello scalo il 24 settembre. Una quindicina di rappresentanti diplomatici di ambasciate e consolati di altrettanti Paesi, tra cui l’Italia, è arrivata a Murmansk ed è salita a bordo della nave Arctic Sunrise per incontrare i propri connazionali. “Cristian D’Alessandro sta bene, è in ottime condizioni fisiche e psicologiche”, ha riferito all’Ansa il console generale di San Pietroburgo Luigi Estero, dopo che il suo vice ha incontrato il giovane a bordo della nave. ”Cristian ha riferito di non aver subito alcun maltrattamento e di voler rassicurare la famiglia”, ha aggiunto il console generale. Il giovane ha ribadito il carattere pacifico del blitz contro la piattaforma petrolifera e ha precisato di essersi imbarcato con un regolare contratto da marittimo, che scade a novembre.
Tutti gli attivisti di Greenpeace che hanno partecipato alla protesta contro le trivellazioni offshore nell’Artico saranno interrogati da agenti della Commissione investigativa russa e “i più attivi” fra loro saranno arrestati. Lo ha fatto sapere la Commissione. Non è chiaro quanti di loro rischino l’accusa di pirateria, che oltre a una pena detentiva comporta una multa di 500mila rubli (circa 11.600 euro). Due degli attivisti avevano cercato di arrampicarsi sulla piattaforma Prirazlomnaya, mentre altri li assistevano a bordo di piccoli gommoni. “Quando un’imbarcazione straniera piena di attrezzature tecniche di cui non si conosce l’utilizzo e un gruppo di persone che si definiscono membri di un’organizzazione ambientalista cercano niente meno che di fare un blitz contro una piattaforma per trivellazioni, allora sorgono dubbi logici sulle loro intenzioni”, ha detto il portavoce della Commissione investigativa. Gli attivisti, ha dichiarato, hanno costituito una minaccia per il lavoro della piattaforma. “Simili attività non soltanto violano la sovranità di uno Stato, ma potrebbero anche essere una minaccia per la sicurezza ambientale dell’intera regione”, si dice nella nota sul sito della Commissione firmata da Markin.
Greenpeace sostiene invece che, ai sensi del diritto internazionale, le autorità russe non avessero il diritto di salire a bordo di Arctic Sunrise. Un attivista del gruppo ha raccontato ad Associated Press che agenti della guardia costiera hanno picchiato e preso a calci alcune persone che si trovavano a bordo dell’imbarcazione. Greenpeace ha fatto sapere che gli attivisti che si trovano su Arctic Sunrise provengono da: Argentina, Australia, Brasile, Regno Unito, Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Italia, Olanda, Nuova Zelanda, Polonia, Russia, Svezia, Svizzera, Turchia, Ucraina e Stati Uniti. L’associazione ambientalista contesta e respinge le accuse di pirateria elevate contro gli attivisti della nave Arctic Sunrise. Secondo Mikhail Kreindlin, portavoce russo di Greenpeace, le accuse sollevate contro gli attivisti sono assolutamente infondate. “L’articolo 227 del codice penale sulla pirateria indica una caratteristica qualificante perché possa configurarsi l’ipotesi di reato: la cattura di una nave con l’uso della violenza, al fine di appropriarsi di proprietà di qualcun altro”. Mentre gli attivisti arrestati non hanno messo in atto azioni che “possano rientrare nell’ambito previsto dall’articolo del codice contro la pirateria”, ha spiegato Kreindlin che è anche un esperto di diritto ambientale. I rappresentanti di Greenpeace arrivati a Murmansk sostengono che non siano finora riusciti a contattare gli attivisti arrestati. http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09/24/russia-apre-inchiesta-per-pirateria-contro-militanti-di-greenpeace-della-nave-anti/721678/

Riva, arriva il decreto del governo per sbloccare fondi e attività delle aziende

Sarà esteso anche alle società "controllate o collegate" il commissariamento che oggi è in atto per l’Ilva di Taranto. È quanto previsto dalla bozza del decreto del governo che assegna ai commissari - quindi allo stesso Bondi - la titolarità dei beni, togliendola al custode giudiziario

di | 24 settembre 2013 
Sarà esteso anche alle società “controllate o collegate” il commissariamento che oggi è in atto per l’Ilva di Taranto. È quanto previsto dalla bozza del decreto che il governo ha redatto per consentire alle 13 società del Gruppo Riva, sequestrate dal gip Patrizia Todisco, di riprendere le attività. Il nuovo provvedimento, composto da 5 articoli, non solo sarà in vigore dal “giorno stesso della pubblicazione”, ma avrà anche valore retroattivo cioè sarà applicabile e anche “ai sequestri già disposti” prima di quella data. Il governo, quindi, sta tentando in questo modo di risolvere il nuovo “caso Riva” dopo la rappresaglia dei padroni dell’acciaio – indagati per il disastro ambientale di Taranto – al nuovo provvedimento della magistratura ionica hanno risposto con la chiusura delle aziende e il licenziamento di 1.400 lavoratori scesi in piazza oggi a Verona.
“Se avviene un sequestro – ha spiegato il ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato – deve avvenire tutelando l’attività produttiva”. Oltre all’estensione delle società da commissariare, la bozza prevede anche la nomina di altri subcommissari fino a un massimo di tre. Ma il punto più controverso appare quello con il quale l’esecutivo dispone che commissario e subcommissari siano “immessi nella titolarità e nel possesso delle azioni, delle quote sociali, dei cespiti aziendali e della liquidità delle società” e le possano amministrare “al fine di perseguire l’esercizio delle attività d’impresa”. La gestione dei fondi, pertanto, non spetterà più al custode giudiziario Mario Tagarelli come era stato paventato pochi giorni fa: a questi spetterà esclusivamente il compito di vigilanza. Al quarto articolo, infatti, il decreto sancisce che per i beni sotto sequestro preventivo, compresi titoli, quote azionarie e liquidità “l’organo di nomina giudiziale ne consente l’utilizzo e la gestione agli organi societari esercitando i necessari poteri di vigilanza”. Insomma sarà ancora una volta Enrico Bondi, l’ex amministratore delegato dei Riva poi nominato commissario straordinario, a dover gestire le aziende del gruppo industriale. A lui e ai subcommissari saranno affidati i compiti di gestire i 49 milioni di euro bloccati dalla Guardia di finanza di Taranto e la redazione e approvazione dei bilanci di Ilva e delle sue controllate.
Il decreto, quindi, punta alla limitazione del trasferimento dei liquidi nel Fondo unico di giustizia (Fug) per mantenere in vita le aziende e salvare così i posti di lavoro e solo nel caso in cui “l’attività di impresa non sia concretamente e oggettivamente perseguibile” la liquidazione dei beni sequestrati e i ricavi potrebbero confluire nel Fug.
E mentre il Governo, con la quarta legge ad aziendam in meno di dodici mesi, tenta di uscire dal nuovo pantano, si materializza in maniera sempre più concreta la nuova bufera Ilva. Giovedì 26, infatti, la Commissione europea potrebbe annunciare ufficialmente l’apertura della procedura di infrazione nei confronti dell’Italia, colpevole di non aver obbligato i Riva a rispettare le leggi europee sulla salvaguardia ambientale. Un’azione comunitaria, nata dalla denuncia di Peacelink e Fondo antidiossina onlus, basata su un dossier di migliaia di pagine. A Bruxelles, infatti, dal 2012 sono giunti tutti i documenti dell’inchiesta pubblicati dalla stampa, i provvedimenti legislativi e soprattutto le perizie ambientali ed epidemiologiche che hanno descritto l’allarmante situazione del capoluogo ionico. In quelle carte, tutte tradotte in inglese, sono state riportate le vicende che hanno scandito l’emergenza Ilva: dalle pecore abbattute perché contaminate dalla diossina, alle ordinanze del sindaco che ha vietato ai bambini di giocare nei giardini del quartiere Tamburi. Dai risultati della campagne di monitoraggio degli inquinanti, al divieto temporaneo di seppellire e riesumare i cadaveri al cimitero.
Dal 26 marzo 2012 è partita così una fitta corrispondenza tra Roma e Bruxelles con la quale l’Europa ha chiesto spiegazioni su tutti gli aspetti riguardanti l’acciaieria di Taranto. L’ultima missiva, dello scorso 8 luglio, riguarda il decreto “salva Ilva bis” con il quale viene nominato Bondi. La Commissione oltre alla conferma dell’adozione del “piano ambientale” degli esperti e del “piano industriale” dello stesso Bondi – mai presentati ufficialmente – previsti nel decreto, ha espressamente chiesto di sapere in che modo questi “garantiranno la protezione dell’ambiente e della salute” e il rispetto dell’Aia. Non solo. La commissione Ue ha anche bacchettato Roma scrivendo “con rammarico che i risultati del monitoraggio delle emissioni (diverse da diossine) provenienti dall’impianto Ilva ne corso del 2012 sono ancora in fase di convalida” e ha chiesto se la sanzione imposta dall’Ispra per la violazione delle prescrizioni sia stata “applicata correttamente”. La risposta sarebbe dovuta giungere a Bruxelles entro il 29 luglio. http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09/24/riva-arriva-decreto-del-governo-per-sbloccare-fondi-e-attivita-delle-aziende/721816/

Malagrotta, Marino: “La discarica sarà trasformata in parco di 100mila alberi”

Malagrotta, Marino: “La discarica sarà trasformata in parco di 100mila alberi”

Il sindaco di Roma promette la "chiusura" della discarica laziale entro ottobre, "niente proroghe". E continuano le proteste del comitato "No Divino Amore" contro il nuovo sito di Falcognana: "Si ripeteranno gli stessi problemi altrove"

Malagrotta, Marino: “La discarica sarà trasformata in parco di 100mila alberi”
La chiusura di Malagrotta, discarica che ha servito Roma per più di 30 anni, è prevista per il 30 settembre. E intanto il sindaco della capitale Ignazio Marino annuncia: “Non solo l’impianto fermerà la sua attività, ma sarà trasformata in un parco con 100mila alberi”. Il progetto partirà ad ottobre e “non ci saranno proroghe”, promette Marino. “Dobbiamo definire alcuni aspetti tecnici su cui il commissario e il prefetto devono ancora darci informazioni”, ha detto il sindaco di Roma dopo il vertice con il ministro dell’Ambiente Andrea OrlandoSalvo imprevisti, Orlando firmerà la prossima settimana il decreto per portare nella nuova discarica parte dei rifiuti trattati di Roma per il post-Malagrotta. Al termine del vertice con gli enti locali, il ministro ha detto che il tempo necessario per l’autorizzazione sarà “lo stretto necessario”. “Stiamo lavorando per cercare di recepire le indicazioni che vengono dal territorio”, ha assicurato Marino. 
Intanto a Falcognana, che dovrebbe sostituirsi a Malagrotta dopo la chiusura, continuano le proteste dei cittadini. “La discarica non è la soluzione al problema rifiuti e quella del Divino Amore rischia di diventare una nuova Malagrotta”, hanno ribadito i rappresentanti del comitato “No discarica del Divino Amore” nello stesso giorno in cui è arrivato l’annuncio di Marino. Per il comitato, la soluzione dell’emergenza sta nel commercio del bene rifiuto. “Bisogna smettere di guardare al rifiuto come a uno scarto”, sottolinea Gianluca Lari del comitato. “Studi scientifici dimostrano come solo il 5-10 per cento dei rifiuti non sia riciclabile”, spiega Lari che auspica  che ci siano degli  incentivi economici per chi ricicla, per “cambiare finalmente la cultura del rifiuto di questo Paese”. A non convincere il comitato sono, poi, i numeri forniti dalla giunta: “Marino dice che vuole sversare qui 300 tonnellate al giorno, solo per due anni ma a noi risulta che di questo passo la discarica si riempirà in dieci anni”. I rappresentanti del comitato temono anche un’estensione indiscriminata della discarica, com’era già avvenuto in passato per Malagrotta. “La soluzione è bloccare questo progetto, trasferire per ora i rifiuti all’estero, cosa che in parte già avviene”, dice Lari. Il comitato tornerà a riunirsi il prossimo 21 settembre, quando sfilerà in un corteo di protesta che partendo da piazza della Repubblica arriverà fino a piazza Santi Apostoli a Roma.  http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09/19/marino-malagrotta-sara-trasformata-in-parco-con-100-mila-alberi/717353/

Terremoto L’Aquila, “i 7 della commissione condannati perché rassicurarono i cittadini”

L'analisi del giudice di Teramo Giovanni Cirillo dopo le critiche alla sentenza che ha ritenuto colpevoli gli esperti della "Grandi rischi": "Agli imputati non è stato rimproverato di non avere previsto un evento imprevedibile, ma di aver indotto le vittime a restare a casa"

Terremoto L’Aquila, “i 7 della commissione condannati perché rassicurarono i cittadini”
Ho letto con attenzione le “Bozze di osservazioni sulla sentenza Grandi Rischi” pubblicate su una nota rivista giuridica nel fascicolo di maggio di quest’anno dal professore emerito di diritto penale Antonio Pagliaro e credo doveroso fare su di esse alcune riflessioni. La sentenza – 781 pagine di motivazione e 19 tra capi di imputazione, conclusioni delle parti e indice, consultabile da chiunque su internet – ha riconosciuto colpevoli del delitto di omicidio colposo aggravato dalla morte e dalle lesioni di più persone, i 7 componenti della “Commissione nazionale per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi”, in relazione alle conseguenze del terremoto che in data 6.4.2009 ha colpito la città de L’Aquila, limitatamente alla morte di 29 ed al ferimento di 4 persone. La ragione della decisione è chiarissima: il Tribunale ritiene gli imputati responsabili per avere imprudentemente, irritualmente e erroneamente informato la cittadinanza circa l’assenza di ogni rischio relativo alla verificazione di un terremoto, pur potendo ipotizzarne la verificazione a seguito dello sciame sismico che si era verificato nei mesi precedenti, divenuto ancor più intenso negli ultimi giorni.
Nella sua “bozza”, il Prof. Pagliaro sostiene, tra le altre cose, che agli imputati sia stato rimproverato di non avere saputo prevedere un evento in realtà imprevedibile. In realtà, secondo la sentenza la violazione delle regola cautelare è consistita nell’avere “indotto” le vittime “a rimanere in casa per effetto esclusivo della condotta”, consistita nel rassicurare ripetutamente la popolazione aquilana circa la impossibilità di verificazione dell’evento “terremoto”. In altri termini, come del resto ipotizzato dall’Accusa nella parte finale del capo di imputazione, agli imputati si rimprovera di avere tenuto una condotta “attiva”, “commissiva”, di avere detto ciò che per regola prudenziale cautelare non avrebbero dovuto dire. Di conseguenza, le considerazioni del Prof. Pagliaro in tema di causalità omissiva, più ancora in tema di responsabilità commissiva mediante omissione, non hanno alcuna attinenza con la vicenda che ci occupa, dove la responsabilità degli imputati è stata affermata per avere concorso con una condotta commissiva di natura colposa alla verificazione dell’evento morte/lesioni, non per avere violato un inesistente obbligo giuridico di impedire l’evento.
Il Tribunale, infatti, precisa più volte che “l’oggetto della verifica dibattimentale…è stato quello di accertare, alla luce della normativa vigente..l’adeguatezza e la correttezza dell’operato degli imputati in termini di diligenza, prudenza e perizia e di osservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline nella loro veste di componenti della Commissione Grandi Rischi e in relazione agli scopi e alle funzioni di detta Commissione; e di verificare, poi, se la violazione dei doveri cautelari di valutazione del rischio e di corretta informazione, connessi alle qualità e alla funzione degli imputati, e tesi alla previsione e alla prevenzione, abbia causato o contribuito a causare le morti o le lesioni contestate”.
Dunque, l’evento prevedibile, evitabile e non evitato non è il terremoto, che costituisce una concausa dell’evento: sono invece le morti e le lesioni verificatesi in conseguenza di quello dal punto di vista naturalistico, ma in conseguenza della condotta improvvida degli imputati dal punto di vista eziologico-normativo [il delitto contestato ha natura di reato colposo di evento]. Questa condotta è consistita nell’avere, all’esito della riunione della Commissione del 31.3.2009, fatto giungere alla cittadinanza, per mezzo dei mezzi di informazione [che non ha avuto in ciò alcun ruolo distorsivo, come spiegato a pag. 596 e ss. della sentenza], il “messaggio” della insussistenza in concreto del rischio di un terremoto serio, in tal modo inducendola a fare rientro all’interno delle proprie abitazioni, mentre sino ad allora se ne era tenuta prudentemente alla larga, considerato che lo sciame sismico durava ormai da mesi e si era negli ultimi giorni intensificato. Non si comprende dunque come possa il Prof. Pagliaro affermare che “la comunità scientifica internazionale (l’agente modello) nega la possibilità di prevedere i terremoti. Non è possibile, dunque, nel caso specifico configurare una responsabilità colposa per non averlo previsto esattamente, per non avere previsto i danni conseguenti e per non avere dato l’allarme”.
La condanna degli imputati, infatti, non consegue a un siffatto ragionamento. Al contrario, in sede di analisi del giudizio controfattuale il Tribunale spiega assai bene che il comportamento alternativo lecito che avrebbero dovuto seguire i componenti la Commissione non sarebbe dovuto affatto essere quello di “dare l’allarme”, compito che non spetta di certo a quest’organo [che ha compiti consultivi rispetto alla Protezione civile], quanto piuttosto quello di informare correttamente gli organi istituzionali preposti alla protezione dai rischi sismici della situazione reale, qualunque essa fosse, evitando di intervenire direttamente lanciando messaggi, men che mai tranquillizzanti, alla cittadinanza. Peraltro, lo stesso Professore, nel corso del suo pur errato ragionamento, si contraddice vistosamente, laddove afferma: “Si è adombrata la possibilità che il parere della Commissione sia stato determinato dalla opportunità politica di tranquillizzare la popolazione. Ebbene, se il parere è scientificamente corretto – e allo stato attuale della scienza non vi è ragione per dubitarne -, le ragioni per le quali esso è stato emesso rimangono irrilevanti dal punto di vista penalistico”. Ora, non si vede già in astratto come possa essere il parere della Commissione scientificamente corretto se, come appena precisato, “la comunità internazionale nega la possibilità di prevedere i terremoti”; ed ancor più se in concreto detto parere, manifestato in messaggi rassicuranti alla popolazione, sia privo di ogni base scientifica. Pagliaro afferma, ancora, che ingiustamente agli imputati viene contestata una carente analisi del rischio sismico, dal momento che non è rimproverabile di non avere previsto ciò che non era possibile prevedere. Ma nella sentenza si spiega assai bene che se le conoscenze scientifiche non consentono di fare alcuna previsione connotata da serio fondamento scientifico, allora non è neppure possibile “negare recisamente, con fermezza e categoricità assolute, la riconducibilità delle variazioni anomale di sismicità al fenomeno dei cd. precursori dei terremoti”.
In altri termini, dice il Tribunale, se il verificarsi del terremoto non era evento scientificamente prevedibile, perché i componenti della Commissione hanno reiteratamente rassicurato i cittadini, così inducendoli a fare rientro nelle abitazioni, dove hanno trovato la morte o riportato lesioni? La motivazione della sentenza è del tutto coerente con queste premesse e ne trae i dovuti corollari, nel momento in cui, in linea con le richieste della Pubblica Accusa, afferma la responsabilità penale degli imputati solo per quei casi in cui è stata raggiunta la prova [per testimoni] che le vittime hanno fatto rientro all’interno delle proprie abitazioni esclusivamente in quanto rassicurate dagli esperti che il terremoto non vi sarebbe stato. Quando questa prova non è stata raggiunta, gli imputati sono stati assolti. Pare dunque evidente che la constatazione ex post della verificazione dell’evento morte o lesioni sia stata agganciata sotto il profilo causale nella decisione del Tribunale alla condotta attiva imprudente dei commissari, i quali hanno avventatamente e senza basi scientifiche assicurato che non vi era alcun pericolo del verificarsi di un terremoto di portata catastrofica quale poi si è verificato. In assenza di basi scientifiche consolidate, infatti, il criterio cardine cui occorre attenersi è quello della massima prudenza.
A questo punto, il terremoto, come pure la vulnerabilità degli edifici, non possono essere ritenuti cause esclusive dell’evento morte o lesioni, da sole idonee a determinarlo, ma divengono altrettante concause naturali, alle quali si aggiunge, quale causa prima umana, il comportamento imprudente dei componenti la commissione, che di fatto ha indotto le vittime ad assumere un rischio [rientro nella abitazione] che altrimenti non avrebbero assunto [concretizzazione del rischio che la regola prudenziale violata mirava a scongiurare]. Violazione della regola cautelare che vieta ogni comunicazione non ispirata alla massima prudenza [avere fatto affermazioni rassicuranti dirette alla cittadinanza in assenza di basi scientifiche, peraltro in assenza di competenza diretta in materia di sicurezza dei cittadini] – comportamento incolpevole delle vittime originato da essa – vulnerabilità degli edifici – terremoto costituiscono dunque la tragica “consecutio” che nell’ottica della motivazione ha determinato i tragici eventi luttuosi. Dei quali da un punto di vista tecnico-giuridico occorre semplicemente prendere atto quali “fatti”, procedendo a ritroso nella ricostruzione della serie causale che li ha originati. E che, lungi dall’essere rappresentata dalla mancata previsione del terremoto da parte degli esperti, è frutto di ben precisi e avventati comportamenti “partecipativi“ dai quali invece gli imputati avrebbero dovuto astenersi, a nulla rilevando la preoccupazione di dover tranquillizzare i cittadini, che è compito loro sottratto istituzionalmente.
Sul punto, appare ingenerosa quanto errata la considerazione finale del Prof. Pagliaro, secondo cui “nessuno obbligava i cittadini de L’Aquila a seguire i pareri della Commissione Grandi Rischi. Chi ha scelto di rimanere al coperto pur avendo avvertito le scosse premonitrici, si è assunta la responsabilità per le possibili conseguenze. Vi è “un’autoresponsabilità” che è legata indissolubilmente alla libertà dell’uomo. Gli uomini non sono – e non devono essere trattati – come automi o marionette”. Ingenerosa, per le conseguenze che la popolazione ha patito. Errata, perché la violazione della regola cautelare è consistita proprio nel rassicurare la popolazione che l’evento terremoto non si sarebbe verificato. E nessuno può negare che l’autorevolezza del messaggio, chiaro e netto, proveniente dall’organo tecnico istituzionalmente legittimato a fornire indicazioni sui rischi sismici produca effetti di induzione comportamentale nell’uomo comune, al di là della circostanza che gli interlocutori primi della commissione non sono certo i cittadini [su questo punto, in dibattimento è stato sentito un antropologo culturale, il quale ha confermato gli effetti sui comportamenti umani alla luce del cd. modello delle rappresentazioni sociali]. Ebbene, solo questo è sufficiente per ritenere comprovata la efficienza causale della condotta comunicativa sconsiderata e frutto, come precisato nella sentenza, della volontà manifestata dal capo del dipartimento della Protezione civile e resa esecutiva dalla Commissione, di fare “un’operazione mediatica tesa a tranquillizzare la popolazione” [pag. 559], di chi in assenza di ogni base scientifica ha rassicurato la popolazione circa la inesistenza del rischio terremoto, avendo l’autorevolezza per farlo e per determinare quale riflesso comportamentale nel cittadino la decisione di fare rientro nell’abitazione, andando incontro ad un destino tragico.
di Giovanni Cirillo *
* magistrato presso il Tribunale di Teramo http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09/24/terremoto-laquila-7-della-commissione-condannati-perche-rassicurarono-cittadini/721220/

rifacimento della scarpata a sostegno del corpo stradale al Km 0+000 lato sx della S.P. Migliara 47

Dal: 24.09.2013
Al: 09.10.2013
DD 1230/2013 Lavori di somma urgenza per il rifacimento della scarpata a sostegno del corpo stradale al Km 0+000 lato sx della S.P. Migliara 47. Approvazione verbale di somma urgenza ed impegno di spesa. Determinazioni Dirigenziali Viabilità  DD 1230 10092013.pdf

Bando di gara con procedura aperta, per l’esecuzione dei "Lavori di riqualificazione del Porto Canale Rio Martino

Dal: 24.09.2013
Al: 02.10.2013
2013/74658 Bando di gara con procedura aperta, per l’esecuzione dei "Lavori di riqualificazione del Porto Canale Rio Martino - II Stralcio Funzionale" C.I.G. 5263542C41 – C.U.P. J23D10000080002. Risposte ai quesiti dal n. 4 al n. 7. Gare Viabilità  Rio Martino II Stralcio funzionale Risposte ai quesiti 4 7.pdf

INCONTRIAMOCI: ai Verdi Ecologisti di Roma e del Lazio, MARTEDI' 24 SETTEMBRE alle ore 17,30

Cara/caro,
nella speranza che tu abbia passato delle buone vacanze, ti scriviamo nell'intento di riprendere il cammino e il dialogo intrapreso dopo le elezioni comunali al fine di ricostruire una presenza Verde ed Ecologista nella città di Roma e nel Lazio, ma anche in Italia alla luce dell'imminente Congresso nazionale dei Verdi che è stato fissato ad Assisi il 30 novembre e 1 dicembre.

Non sfuggirà a nessuno l'importanza di questa assemblea nazionale che avrà una maggiore risonanza alla luce delle sorti del Governo Letta e del caso Berlusconi e alla luce del prossimo congresso del PD.

Occorre per questo riprendere immediatamente il rapporto con i territori e con la Giunta Marino e le giunte Municipali, attraverso in primis la costituzione dei cirocoli territoriali e la fissazione di alcune iniziative per tornare ad essere presenti anche mediaticamente nella Città.

A tal riguardo riteniamo opportuno fissare una riunione nella giornata di MARTEDI' 24 SETTEMBRE alle ore 17,30 (fino alle 20) presso la Sede di via Antonio Salandra 6 a Roma (via XX settembre) per rivederci e discutere del nostro futuro.

Saluti Verdi ed ecologisti,

Francesco Alemanni

Nando Bonessio

Andrea Cortese

giovedì 5 settembre 2013

intervista a Carmine Schiavone su Borgo Montello e fusti tossici

fino al '91 è sicuro che è stato scaricato immondizia e cose poi ho letto sui giornali che lì hanno fatto degli scavi però il discorso delle cave era già chiuso prima quelle sono sorte dopo perchè l'immondizia lì è iniziata a '87 - 88
domanda della giornalista quindi questi scavi lei perchè queste dichiarazioni lei le aveva già fatto dicono abbiamo scavato ma non abbiamo trovato nulla perchè non hanno trovato nulla
ho vistho dove scavarono scavarono dall'altro lato non quello sotto che veniva verso le aziende che tenevamo noi che poi stava a Borgo Montello stavano certi pali di luce i casette stava poi venivano alla nostra azienda noi avevamo previsto di comprare altri terreni
hanno scavato nel posto sbagliato perchè? anche da noi hanno scavato... addirittura sò stato all' ecomafia io fine anni '90 dopo fatto il sopralluogo nel '97 dopo 4 anni chiusi i verbali pressa a dia di Napoli perchè non volevano che uscisse quelli della dia di Napoli, i magistrati volevano poi col nuovo capo della polizia che si chiama Panza con Nicola Cavaliere servizi segreti quindi con elicottero abbiamo fatto il sopralluogo in commissione hanno messi i segreti nè i delibere nè i targhe di camion niente non hanno voluto dare niente vogliono che la gente muoia in silenzio
http://www.youtube.com/watch?v=ssaKU0Hmubo

INCENDIO devastante a SABAUDIA. In fiamme un vasto tratto di DUNA.


+++FLASH NEWS+++



I dettagli nell'edizione di domani di LATINA OGGI

Giugliano: emblema di un’emergenza nazionale (Parte 1)

Giugliano, terza città della Campania, capitale dei veleni. La situazione dei quasi 95 km2 di territorio che va da Marano ad Aversa, fino al litorale domizio, può essere descritta utilizzando come chiave di lettura i quattro elementi della natura: il fuoco dei roghi tossici; l’aria infestata dalle diossine; la terra impregnata di rifiuti industriali; l’acqua marcia dei «laghetti» in cui la camorra ha sversato di tutto e dei pozzi agricoli inquinati. Il pm Alessandro Milita nell’ambito delle indagini sulla discarica Resit ebbe a dire, in Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti, che l’inquinamento di questa zona può essere paragonato all’Aids, essendo destinato a crescere sia negli effetti che nella dispersione delle sostanze dai siti contaminati a quelli limitrofi.
Chi vive a Mugnano, Sant’Antimo, Qualiano e Parete è condannato a fare i conti con le 341.000 tonnellate di rifiuti pericolosi, di cui 30.600 provenienti dall’Acna di Cengio, sversati nella discarica Resit e ora seppelliti ad una profondità di 12 metri; secondo la perizia del geologo Giovanni Balestri, incaricato dalla Dda (Direzione distrettuale antimafia) di Napoli, entro il 2064, penetrando attraverso il tufo, i veleni contamineranno la falda acquifera sottostante. Dalla Resit, località Scafarea, è partita la contaminazione che ha già inquinato i pozzi dell’aria agricola circostante.
Dagli anni ‘80 alla metà degli anni ’90 il boss Bidognetti, tramite la società Ecologia 89, ha illegalmente smaltito nel giuglianese 800.000 tonnellate di rifiuti, provenienti da aziende del Nord, come l’Acna di Cengio; sono le 57.000 tonnellate di percolato derivatene a minacciare le falde acquifere.
Al disastro delle mafie, si è aggiunto e mischiato, quello delle gestioni commissariali. Triste fotografia di questo territorio sacrificato, il Sisp (Sito di stoccaggio provvisorio), in contrada Taverna del Re, un impianto di deposito di combustibile da rifiuti (CDR), un’area di circa 130 ettari, il più grande sito di stoccaggio «provvisorio» di rifiuti imballati presenti in Campania; qui sono state accumulate e continuano a giacere da anni sei milioni di tonnellate di ecoballe provenienti dall’attiguo Stir (Stabilimenti di tritovagliatura ed imballaggio rifiuti) che avrebbe dovuto trasformare i rifiuti urbani in combustibile per l’inceneritore di Acerra; la realtà è che le ecoballe prodotte a Giugliano non sono mai state bruciate perché non a norma: per aumentarne il potere calorifero e quindi incassare gli incentivi per l’energia prodotta da rifiuti, dentro c’è finito di tutto.
Il 5 aprile scorso il prefetto di Napoli, Francesco Antonio Musolino, ha ottenuto lo scioglimento del Comune di Giugliano per infiltrazione camorristica, denunciando il gravissimo danno ambientale e l’avvelenamento del territorio con conseguente compromissione della salute e delle condizioni di vita dei cittadini, nonché il mancato rispetto delle ordinanze di chiusura dei pozzi inquinati dalla Resit. Cosa tutto ciò possa significare in termini di sicurezza alimentare e danno per la salute nel secondo mercato ortofrutticolo d’Italia dopo quello di Milano con una produzione agricola per ettaro superiore a qualsiasi altra parte d’Italia è facile immaginarlo.
Giugliano è solo un pezzo del territorio devastato dell’Italia dei veleni, dove più che bonifica viene da pensare sia necessaria una vera e propria ricostruzione. I risultati del rapporto del ministero della salute sui 44 luoghi e siti più inquinati d’Italia tracciano una mappa che unisce il paese nel segno della devastazione ambientale e del sacrificio di intere comunità: oltre 6 milioni di cittadini esposti al rischio di patologie che vanno dall’asma, ai tumori, alle malattie cardiocircolatorie e neurologiche.
La Campania però, non solo ha pagato a caro prezzo l’essere stata sacrificata ad un modello di sviluppo sempre più ridotto a mero sfruttamento economico del territorio e fonte di morte più che di benessere, ma, proprio per questo, assurge a simbolo delle comunità in lotta in difesa dei propri luoghi e della vita stessa, comunità criminalizzate dalle cronache e dallo Stato i cui atti di ribellione, se si tiene in considerazione la situazione sopra descritta, sarebbe facile considerare, invece, legittima difesa. E fa rabbia constatare che sull’avvelenamento di questa terra e sulle cause di mortalità dicano più verità le rivelazioni di chi, come Carmine Schiavone, pentito di camorra, ha avuto un ruolo nel disastro, che le dichiarazioni pubbliche dell’ex ministro della Salute del governo Monti, Balduzzi e di quello attuale, Lorenzin, andati, proprio in quei territori, a raccontare che l’incremento di mortalità è dovuto a «stili di vita errati ed eccesso di fumo»; a meno che non si riferissero al fumo dei roghi tossici, molto più plausibile è che le cause di mortalità siano legate a quanto racconta Schiavone sul ciclo parallelo di smaltimento dei rifiuti che, arricchendo politica e camorra, ha interessato la Campania fino a spingersi oltre i confini regionali, interessando il Lazio.
Nel rapporto del ministero della Salute l’elenco dei Comuni campani è lunghissimo: oltre a Giugliano, nell’aria di Caserta e Napoli, litorale domizio-flegreo e agro aversano, figurano più di 50 comuni. Qui, si legge nel rapporto, «Il Decreto di perimetrazione del Sin elenca la presenza di discariche. Nel Sin sono stati osservati eccessi della mortalità in entrambi i generi per tutti i principali gruppi di cause, con eccessi di mortalità per il tumore polmonare, epatico e gastrico, del rene e della vescica. I risultati hanno, anche, mostrato un trend di rischio in eccesso all’aumentare del valore dell’indicatore di esposizione a rifiuti per la mortalità generale». Non diversa la situazione lungo il litorale vesuviano, sul tratto che va da Castellammare di Stabia a Napoli.
Impossibile continuare a nascondere la connessione tra la malagestione del ciclo dei rifiuti e la devastante situazione sanitaria e se, in fondo, il concetto di rifiuto può essere esteso ad ogni tipo di emissione in aria, acqua e terra derivante da attività umana che abbia la capacità di nuocere alla vita, allora, il dramma non è campano ma riguarda l’intero paese.

Corsica, il mare sacrificato al Dio Petrolio

Un esteso sversamento di petrolio nel Mediterraneo occidentale, lungo circa 43 km, minaccia la costa nordoccidentale della Corsica, e in particolare la riserva naturale di Scandola, un’area protetta costiera e marina di elevato valore ambientale, classificato dall’Unesco come patrimonio dell’umanità. Qualora la chiazza oleosa dovesse arrivare sulla costa, una porzione preziosa e già fortemente minacciata del nostro bistrattato Mediterraneo verrebbe contaminata; la sua biodiversità, difesa con le unghie e coi denti contro una molteplicità di minacce dagli eroici custodi dell’area protetta, potenzialmente decimata.
Non ci sono molti dubbi sulla causa dello sversamento, un atto illegale compiuto da una nave al largo, vuoi per accidente, vuoi deliberato; per esempio per lavare le cisterne. Quasi sicuramente il colpevole la farà franca; quando si opera lontano dalla costa i controlli sono difficili. La chiazza di questi giorni può così andare ad aggiungersi agli oltre 500 simili incidenti riportati in Mediterraneo dalla fine degli anni ’70 a questa parte – oltre 300.000 tonnellate di greggio immesse in un ambiente marino delicato e già fortemente indebolito da mille altre minacce.
In questo caso non si tratta di evento catastrofico, ma rutinario – ancorché illegale. Ed è dalla routine, più che dalle catastrofi, che arriva gran parte del petrolio nei nostri mari. Del petrolio, poi, sappiamo di più che di altre sostanze tossiche, perché il petrolio ha il vizio di galleggiare. Tutto il resto affonda, lontano dagli occhi come dal cuore.
Molto si potrebbe fare, sia per prevenire che per punire, ma poco si fa perché costa. Eppure basterebbe una percentuale infinitesima del valore del petrolio trasportato per rafforzare i controlli e finanziare le necessarie tecnologie.
Ancora una volta i costi ambientali delle umane attività vengono artatamente esclusi dalle equazioni dell’economia tradizionale. Tanto, il conto quando ci verrà presentato lo pagheranno i nostri figli.

Trapani, polemiche sul parco eolico in mare: “Non rispetta l’ambiente”

Il progetto dovrebbe essere realizzato al largo del mare di Petrosino dalla società "Tre Spa - Tozzi Renewable Energy". L'amministrazione comunale si appella al ministero perché fermi l'intervento prima che sia troppo tardi

Trapani, polemiche sul parco eolico in mare: “Non rispetta l’ambiente”
Un progetto in nome dell’energia pulita, ma la “tutela ambientale” non s’intravede tra carte, scartoffie e relazioni. Siamo in Sicilia, a Petrosino, piccolo Comune in provincia di Trapani, attaccato alla più famosa città di Marsala, settemila anime, pescatori e agricoltori. Nel mare vorrebbero collocare tante pale eoliche a poca distanza dalla costa, destinate a provocare l’impraticabilità di un tratto di mare “ricco” a proposito anche di turismo, oltre a causare un impatto ambientale da far gridare “vendetta”.
Tante pale eoliche che poi a terra avranno bisogno anche di strutture, quindi del cemento andrà a coprire spiaggia e campagne, proprio mentre nella stesse zona l’amministrazione comunale ha vinto una battaglia per evitare di vedere cementificata la costa per far spazio ad un moderno residence. In sostanza a due miglia dalla costa (nel nord Europa vengono costruiti a 12 miglia dalla costa), davanti case, spiagge e lidi balneari, per una superficie marina di oltre 40 chilometri quadrati, la società di Ravenna “Tre spa” – Tozzi Renewable Energy – si è proposta di costruire un parco eolico in mare composto da 48 aero-generatori (che possono produrre 3, 6 mega watt), alti 195 metri (150 l’altezza fuori dal mare) e con rotore del diametro di 120 metri circa.
Un affare da 500 milioni di euro. Oggi a Mazara del Vallo, presso la Capitaneria, si è svolta l’ultima di una serie di conferenze di servizio che sono andate avanti per tre mesi per raccogliere tutti i pareri ma la Regione Sicilia con i suoi rappresentanti dell’assessorato al Territorio e della Soprintendenza, non è venuta ad esprimere quel “no” che era atteso. “Sono stati resi i pareri negativi da parte del Comune di Mazara del Vallo e del Demanio Marittimo, dopo quelli già espressi precedentemente dal Comune di Petrosino, dalla Capitaneria di porto, dal CNR, dall’Assessorato regionale alla pesca, dall’Asp e dalla Provincia di Trapani – dice il sindaco di Petrosino Gaspare Giacalone – Gravissimo il non parere da parte dell’Assessorato regionale al Territorio ed Ambiente e della sovrintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali. Tutto questo nonostante le parole di contrarietà al parco eolico espresse dal presidente Crocetta e dall’assessore regionale al territorio ed ambiente Mariella Lo Bello”. Dopo il Muos anche per il parco eolico di Petrosino “Crocetta ha inserito la marcia indietro?” si chiede il sindaco. Fu proprio a Niscemi che Crocetta dicendosi contro il Muos si schierò contro i parchi eolici. Un progetto falso in alcuni suoi contenuti.
“Nella relazione – evidenzia l’assessore comunale all’ambiente Katia Zichittella – si legge che non c’è nessun centro abitato di significative proporzioni presente sulla costa immediatamente a ridosso del lotto chiesto in concessione; la società parla anche dei fondali marini “degradati”, mentre questo tratto di mare è attraversato da “praterie dell’alga Posidonia”, essenziale per l’intero ecosistema marino”. “Ma quale green economy – dichiara imbufalita l’on. Antonella Milazzo (Pd) – qui il territorio sarà offeso, mi spiace che il Governo abbia scelto di non essere chiaro quando invece avevano promesso che lo sarebbe stato”. Adesso il nulla osta finale dovrà metterlo il Ministero dell’Ambiente. Il deputato di Sel, Erasmo Palazzotto, ha presentato già una interrogazione parlamentare, il sindaco Giacalone annuncia che la battaglia non si ferma: “Ci rivedremo a Roma”.

domenica 1 settembre 2013

Gli orsi polari di Greenpeace in azione alla raffineria di Shell in Danimarca

News - 28 agosto, 2013 http://www.greenpeace.org/italy/it/News1/news/Gli-orsi-polari-di-Greenpeace-in-azione-alla-raffineria-di-Shell-in-Danimarca/
Questa mattina attivisti di Greenpeace travestiti da orsi polari hanno fatto irruzione in una delle sei raffinerie di Shell in Europa a Fredericia, Danimarca, per protestare contro i piani dell’azienda di trivellare nell’Artico.
Gli attivisti hanno coperto il logo di Shell con il logo della campagna Save the Arctic, usato già al Grand Prix di F1 in Belgio domenica scorsa.
Shell è a capo della corsa al petrolio nell’Artico, uno degli ecosistemi più fragili e vulnerabili del pianeta. Gli orsi polari sono saliti sulla raffineria per far conoscere al mondo intero i pericolosi piani di Shell nell'Artico” ha dichiarato Helene Hansen, membro del movimento savethearctic.org presente sul tetto della raffineria.
Shell aveva già tentato di trivellare in Alaska, ma a seguito di una serie di errori, tra cui una piattaforma arenata ed una incendiata, è stata costretta ad abbandonare i suoi piani. Malgrado ciò l’azienda ha concluso un accordo con il gigante russo Gazprom per esplorazioni nella Russia Artica, dove le norme di tutela ambientale sono più deboli e gli incidenti molto più frequenti.

Siamo qui per conto di quasi 4 milioni di persone per tracciare sui ghiacci una linea di confine che chiediamo a Shell di non oltrepassare. L’Artico è dimora di specie uniche come gli orsi polari e i trichechi e di comunità locali che vi abitano da millenni. Uno sversamento di petrolio in quest’area metterebbe in serio pericolo tutto l'ecosistema. L’Artico merita la nostra protezione, non lo sfruttamento da parte di compagnie petrolifere” continua Helen Hansen.
Shell spende milioni di euro in pubblicità e non vuole far sapere al pubblico dei suoi piani di trivellare nell’Artico. I nostri attivisti stanno smascherando la verità che si nasconde dietro il logo di Shell. Questo è solo l’inizio della nostra campagna”, dichiara Ben Ayliffe, Campaigner di Greenpeace International.

Il video censurato della protesta al GP del Belgio

CENSURATO!: Il nostro video della cerimonia di premiazione del Gran Premio del Belgio di ‪#‎F1‬ è stato censurato da Youtube.
Qui lo puoi vedere! Condividilo con i tuoi amici e firma la petizione su www.SaveTheArctic.org ‪#‎SaveTheArctic‬
News - 27 agosto, 2013 http://www.greenpeace.org/italy/it/News1/news/Il-video-censurato-della-protesta-al-GP-del-Belgio/
Il video pubblicato da Greenpeace su youtube che mostra i due striscioni ad apertura telecomandata comparsi durante la cerimonia di premiazione del Gran Premio di F1 Spa del Belgio e’ stato rimosso a seguito delle lamentele dei vertici della F1. Il video ha attratto quasi 250 mila visite nelle prime 36 ore di pubblicazione.


Greenpeace aveva pubblicato il video domenica scorsa a seguito della protesta sul circuito di F1 Spa in Belgio rivolta alla Shell, principale sponsor del Gran Premio, per i suoi piani di trivellazione petrolifera dell’Artico.L’azione ha visto alcuni attivisti sorvolare il circuito con il parapendio e due grandi striscioni, uno dei quali sulla tribuna principale di fronte l'area VIP.

La protesta e’ culminata in un momento divertente durante la cerimonia finale quando due striscioni con la scritta “Savethearctic.org”, controllati da remoto, si sono aperti sul podio durante l’inno tedesco e sono stati poi rimossi in fretta dagli uomini della sicurezza.“Bernie Ecclestone e Shell sapranno anche riempire di persone un circuito di F1 ma chiaramente non hanno idea di come funzionano i social media. Centinaia di persone hanno scoperto i piani di Shell nell'Artico e la rimozione di questo video non fara’ altro che incoraggiare migliaia di persone a ridere ancora di piu’ dell’azienda”, ha dichiarato Ben Ayliffe, campaigner di Greenpeace International.“Shell spende milioni di euro in pubblicita’ per distrarre il pubblico dai suoi piani di trivellazione dell’Artico. Ma una cosa che non puo’ controllare sono i social media e il tentativo di rimuovere questo video dimostra come le aziende temano di essere ridicolizzate davanti al pubblico”.Il video e’ stato ripubblicato da Greenpeace Italia all'indirizzo https://vimeo.com/73219553.

Greenpeace sta incoraggiando il pubblico a caricare il video ovunque su internet.Il programma artico di Shell continua a riempirsi di una serie di gaffe. Dopo che una piattaforma petrolifera si è arenata e una si è incendiata, Shell aveva deciso di sospendere i suoi programmi di trivellazione in Alaska. Malgrado cio’ ha deciso di concludere una joint venture con l’azienda Gazprom per trivellare nella Russia Artica dove le norme di sicurezza sono pressoche’ inesistenti e gli incidenti sono frequenti. 

Latina la vergogna del mare negato ai disabili



Al Signor sindaco di latina
Avv. Giovanni Di Giorgi

Il mare vietato ai disabili,e quello che succede al lido di latina è una vera vergogna,le passerelle di legno posizionate sul lungomare di latina sbarrate e tutte rotte,privare ad una persona disabile il diritto di guardare solo un istante il mare è un gesto di pura inciviltà. L’amministrazione comunale si dovrebbe vergognare davanti alla città,egregio sindaco sappi che i cittadini hanno dei diritti e lei come amministratore il dovere di dare i servizi soprattutto quando si parla di persone indifese e deboli vergogna…
Latina,01/09(13


associazione europea familiari vittime della strada



il Vice Presidente Nazionale     
                                                                                                                         Giovanni Delle Cave
                                                                                                                                (Papà di Eros)