lunedì 27 maggio 2013
Prodi Riva mente sull'Ilva di Taranto ferro vecchio
Prodi: “Riva mente, comprò un gioiello”
L’EX ITALSIDER
LA PRIVATIZZAZIONE
NEL 1994 “Era un gran bello
stabilimento, lontano
dalla città cresciuta vicino
alla fabbrica grazie a una
legislazione provvidenziale
di Antonio Massari Il fatto quotidiano 28 maggio 2013
L’Ilva era un ferro vecchio?
Assolutamente no! Quello
di Taranto era un grande stabilimento”.
Romano Prodi è a
pranzo quando lo raggiungiamo
al telefono. In sottofondo c'è
un tintinnare di piatti e forchette.
Le dichiarazioni di Emilio
Riva, patron dell'Ilva cui la Cassazione
ieri ha confermato i domiciliari,
gli risultano però indigeste.
Della situazione attuale,
Prodi non parla. Ma a noi interessa
tornare ai primi anni
Novanta, quando il professore
era presidente dell'Iri e, sotto la
sua gestione, l'Italsider fu trasformata
in Ilva e avviata verso
la privatizzazione. “Quando sono
arrivato io, l'Ilva, era un ferro
vecchio", ha dichiarato Emilio
Riva a Giusi Fasano del Corriere
della Sera. Chiediamo a Prodi: è
la verità? L'ex premier sospira:
“No di certo! Taranto era un
grande stabilimento, era questo
e basta”. Insistiamo: Riva sostiene
che “me la sono presa che
era un disastro, l'ho rinnovata e
oggi è un arnese perfettamente
funzionante, nonostante tutto”.
Replica Prodi: “Assolutamente
no, era uno dei più bei stabilimenti
integrati d'Europa. Senza
alcun dubbio”.
LO CONFERMANO le cifre. L'Italsider
nel 1993 può vantare
una produzione ai massimi livelli
mondiali: una media di 12
milioni di tonnellate di acciaio
all'anno. Anche se indebitata
per 7 mila miliardi di lire. “Lei
creò la Ilva laminati impianti e
lasciò i debiti nella vecchia Italsider”,
ricostruiamo con Prodi,
“che di fatto divenne la prima
bad company italiana”. Risposta:
“Questo può ricostruirlo
lei... Io posso dirle che era un
gran bello stabilimento...”. Ancora
più bello perché quei debiti
per 7 mila miliardi di lire restarono
nella vecchia Italsider, destinata
alla liquidazione. A Riva
andò la parte industriale "ripulita"
dalla grossa massa passiva,
gli rimasero circa 1.500 miliardi
di lire per debiti finanziari. Ben
poca cosa, poiché la neonata Ilva
era un gioiello con un fatturato
mensile di 100 miliardi di lire. Ai
Riva, che oggi la ricordano come
un "disastro" e un "ferro vecchio",
costa 1.649 miliardi. E -
come ricostruito dal Fatto nei
giorni scorsi - la società Riva Fire,
che controlla l'Ilva, in pochi
mesi passa da un utile (consolidato)
di 157 miliardi di lire
(anno 1994) ai 2.240 miliardi del
1995. Balzo verticale anche per
l'utile netto, da 112 a 1.842 miliardi,
niente male per un "disastroso
ferro vecchio".
Di certo, invece, c'è che l'Ilva inquinava
parecchio già allora,
tanto che gli stessi Riva chiesero,
senza ottenerlo, uno sconto di
800 miliardi di lire. Che fosse
così inquinante, Prodi, lo ricorda
bene: “Parliamo di un secolo
fa”, spiega il professore, “molto
prima della legislazione provvidenzialmente
intervenuta dopo...
Ma le ripeto: era un bello
stabilimento, tra l'altro isolato
dalla città. È stata la città ad andare
addosso all'Ilva, non l'Ilva
addosso alla città. Quando andavamo
allo stabilimento, si
percorrevano chilometri e non
c'era una casa. Se la gente non
fosse stata messa ad abitare lì,
così addosso all'acciaieria, forse
non sarebbe stata così aggredita
dall'inquinamento”.
Il ricordo di Prodi è corretto solo
in parte: il rione Tamburi già
esisteva, ma effettivamente negli
anni si è sviluppato sempre
più a ridosso delle ciminiere.
IL PUNTO È CHE I RIVA, secondo
l'accusa, non hanno rispettato
quella che, per dirla con le parole
dell'ex premier, fu una “le -
gislazione provvidenziale” de -
stinata a salvare gli abitanti dall'inquinamento.
Ed è proprio
per questo che la procura di Taranto
ha deciso di sequestrare al
gruppo Riva ben 8,1 miliardi di
euro. “Mi aggrediscono ingiustamente
da ogni parte. È inaccettabile”,
lamenta Riva al Corriere
della Sera. “Non sarà il caso
di tornare alla nazionalizzazione
dell'Ilva?”, chiediamo a Prodi.
“Sul presente, come le ho già
detto, io non mi pronuncio. La
saluto”. Clic.
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