mercoledì 31 luglio 2013

Solvay, il caso Rosignano sul tavolo del governo: “I ministri intervengano”

L'inchiesta sugli scarichi irregolari si è chiusa: l'azienda ha chiesto il patteggiamento e la Procura ha dato l'ok, a patto che si proceda con il risanamento. Ma Zaccagnini (ex M5S) presenta un'interrogazione: "Come vuole agire l'esecutivo?" di Diego Pretini | 31 luglio 2013 Commenti Rosignano Solvay http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/07/31/rosignano-solvay-questione-ambientale-finisce-sul-tavolo-del-governo/672870/ Più informazioni su: Arpa, Ilva, Livorno, Mario Monti, Silvio Berlusconi, Solvay. La paura di una “Ilva toscana” finisce sul tavolo del governo. Ci finisce di nuovo e tutto sta nel capire ora se questa volta qualche ministero risponderà, al contrario di quanto accaduto durante i governi di Silvio Berlusconi e Mario Monti. L’inchiesta della Procura di Livorno ha chiamato la Solvay ad agire il prima possibile sullo stabilimento di Rosignano. Secondo i magistrati le indagini della Guardia di Finanza e dell’Arpat avevano messo in luce procedure di scarico irregolari. Ora è il deputato Adriano Zaccagnini, ex Cinque Stelle e ora nel gruppo misto, che cita proprio ilfattoquotidiano.it, a chiedere a 4 ministri (dello Sviluppo, dell’Ambiente, della Salute e della Giustizia) se siano a conoscenza di una situazione che sotto il profilo ambientale resta delicata e come abbiano intenzione di agire. Al termine dell’inchiesta, conclusa nella primavera scorsa, a finire nel registro degli indagati sono stati l’ex direttrice dello stabilimento Michéle Huart e altri tre dirigenti responsabili della sodiera, dell’elettrolisi e dei perossidati (Fabio Taddei, Davide Mantione e Massimo Iacoponi). I reati contestati: getto di cose pericolose e il superamento dei valori fissati per legge per gli scarichi. L’azienda ha deciso di patteggiare e la Procura ha accettato. Ma i pm avevano fissato un paletto: l’accoglimento della richiesta di accordo sulla pena era condizionato all’esecuzione dei primi interventi di bonifica e riqualificazione e alla presentazione di un piano da 6,7 milioni di euro che sarà testato a fine 2014. Le pene sulle quali si sono accordati magistrati e avvocati sono pecuniarie, ma alla Solvay il sì dei pm è stato vitale per la Solvay perché il rischio è che se tutto non torna a una completa riambientalizzazione si potrebbe arrivare al sequestro di alcuni impianti dello stabilimento già nel 2015. L’accostamento all’Ilva di Taranto è anche e soprattutto dovuto all’importanza che questo insediamento industriale ha per l’occupazione dell’intero territorio e si capisce dal fatto che il nome della fabbrica è diventato quello del paese: Rosignano Solvay. La multinazionale belga è sbarcata in provincia di Livorno oltre 70 anni fa: negli ultimi venti sta producendo tra l’altro carbonato e bicarbonato di sodio, cloro, soda caustica e acqua ossigenata. Tuttavia a preoccupare non è solo il presente. Ma anche il passato. Scrive Zaccagnini nella sua interrogazione che i risultati della produzione degli ultimi 20 anni da parte della Solvay hanno rappresentato “un costo enorme in termini ambientali: un visibile degrado del mare, enormi consumi di acqua e l’estrazione di salgemma nella Val di Cecina fino alle saline di Volterra”. Mentre nel mare, come verbalizzato in una conferenza dei servizi del 2009, sono presenti almeno 400 tonnellate di mercurio. Eppure lì la gente fa il bagno e sulle Spiagge bianche (si chiamano così) prende il sole. Secondo l’ex M5s “i dati sulla salute della popolazione locale sono preoccupanti: un esubero di tumori indica chiaramente quanto la situazione sia drammatica”. Più le altre questioni già sollevate negli anni da comitati locali, associazioni, partiti. Il Pd aveva presentato un’interrogazione durante la scorsa legislatura, ma non ha mai ricevuto una risposta che fosse una. Intanto, nel giugno scorso, la Regione Toscana ha promosso le Spiagge bianche: “Non sono mai stati rilevati scarichi a mare con livelli di arsenico superiori ai limiti di legge da parte della Solvay” ha detto l’assessore all’Ambiente Vittorio Bugli rispondendo in consiglio a un’interrogazione di Italia dei Valori e Centro Democratico. Anche l’Arpat, all’indomani dei primi articoli del Tirreno, si era affrettata a precisare che – come era emerso in un primo momento – non c’erano scarichi abusivi e ignoti all’Agenzia regionale per l’ambiente. Insomma Zaccagnini chiede ai ministri cosa sappiano e se ritengano necessario intervenire in qualche modo, per esempio – tra l’altro – con un’indagine epidemiologica in accordo con la Regione, con l’interdizione delle Spiagge bianche, con la chiusura degli scarichi a mare (depurati o meno) o magari con un obbligo per lo stabilimento di dotarsi di un impianto a circuito chiuso dell’acqua.

MOSE, UN CANTIERE SUCCHIASO LDI APERTO DA 26 ANNI

OPERA INFINITA La magistratura in piena attività: dopo l’arresto di Mazzacurati arriva il nuovo manager, sodale di Mastella di Daniele Martini Il fatto quotidiano 24 luglio 2013 Prima del Ponte sullo Stretto, avrebbe dovuto essere il Mose il segno imperituro della faraonica era berlusconiana. Con la legge Obiettivo del 2001, il mastodontico sistema di 79 dighe mobili alle tre bocche di porto della Laguna di Venezia avrebbe salvato la città dall’incubo dell’acqua alta, assicurarono. E i benefici effetti del progetto avrebbero tappato la bocca a tutti i “ca - cadubbi”, dal sindaco Massimo Cacciari agli esperti dell’Unesco. Il Mose, però, ancora non c’è, in compenso sta dando parecchio lavoro ai magistrati. L’ennesimo termine perentorio per la consegna dei giganteschi manufatti è stato spostato al 2016, ma chissà se sarà vero, dati i precedenti e considerato che tra chiacchiere, revisioni e lievitazione di costi, la faccenda va avanti da 26 anni. Nel frattempo i massimi responsabili dell’opera finiscono in manette. Con l’accusa di aver costituto fondi neri e pagato tangenti, cinque mesi fa toccò a Piergiorgio Baita, il “signor 70 incarichi”, tra presidenze, direzioni e consigli di amministrazione, il grande capo della Mantovani costruzioni, l’asso pigliatutto del cemento a Venezia e nel Veneto, capofila anche nel Mose, ovviamente. POCHI GIORNI FAè stata la volta di Giovanni Mazzacurati, ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, il raggruppamento di primarie imprese nazionali che insieme alla Mantovani si spartiscono i lavori: Condotte, 1 miliardo di euro di fatturato, società di proprietà della finanziaria Ferfina di Isabella Bruno, di cui è presidente Duccio Astaldi, uno dei rappresentanti della grande famiglia di costruttori romani. Poi Fincosit Grandi Lavori del gruppo veronese Mazzi e infine, per chiudere il cerchio e non lasciare nessuno a bocca asciutta, confessata speranza che con il Mose tutto possa proseguire come se niente fosse. Si chiama Paolo Fabris, vicentino, un altro berlusconiano di scuola veneto- democristiana, sodale di Clemente Mastella nell’Udeur, passato al momento opportuno con il Popolo della libertà, noto per essere stato anche sottosegretario, per aver avuto l’incarico di commissario delle ferrovie del Brennero e orgoglioso della carica di presidente della Federazione pallavolo femminile. Annunciando con enfasi la sua nomina, il Giornale di Vicenza ha ricordato che la specialità in cui Fabris è esperto e di cui ha dato prova con il Tav Veneto, è quella di recuperare risorse statali. Compito in cui, del resto, era maestro anche il suo predecessore finito in manette, essendo diventato il Mose più che una difesa dall’acqua alta, un'idrovora di quattrini pubblici. Quando 26 anni fa cominciarono a parlarne dissero che sarebbe costato l’equivalente di 1 miliardo e 200 milioni di euro, ma strada facendo si sono allargati assai e siamo già a 5 miliardi di spese vive più 500 milioni di “opere supplementari”. E non è finita. le coop con Ccc, Consorzio cooperativo costruzioni di Bologna. Mazzacurati, 81 anni, è come un’estensione di Gianni Letta in Laguna, ed è un “ex presidente” solo per un pelo essendosi dimesso solo pochi giorni fa, ufficialmente per motivi di salute, forse subodorando la tempesta che stava abbattendosi sulla sua creatura. È accusato di aver giostrato con troppa disinvoltura le gare d’appalto, un sistema che del resto il Consorzio Venezia non apprezza granché. Fino a un paio d’anni fa, per esempio, su oltre 3 miliardi di euro di lavori finanziati, meno di 100 milioni erano stati affidati con gare normali. Il resto era stato concordato in house, cioè consegnato alle stesse imprese del Consorzio, in una misura assai maggiore a quella indicata dall’Unione europea, secondo la quale le opere “fatte in casa” non dovrebbero superare il 50 per cento circa del totale, mentre il resto dovrebbe essere rimesso alla libera concorrenza tra le imprese nel mercato. Al posto di Mazzacurati è andato un manager che gli somiglia parecchio, anche se in versione giovanile, forse nella indiconfessata speranza che con il Mose tutto possa proseguire come se niente fosse. Si chiama Paolo Fabris, vicentino, un altro berlusconiano di scuola veneto- democristiana, sodale di Clemente Mastella nell’Udeur, passato al momento opportuno con il Popolo della libertà, noto per essere stato anche sottosegretario, per aver avuto l’incarico di commissario delle ferrovie del Brennero e orgoglioso della carica di presidente della Federazione pallavolo femminile. Annunciando con enfasi la sua nomina, il Giornale di Vicenza ha ricordato che la specialità in cui Fabris è esperto e di cui ha dato prova con il Tav Veneto, è quella di recuperare risorse statali. Compito in cui, del resto, era maestro anche il suo predecessore finito in manette, essendo diventato il Mose più che una difesa dall’acqua alta, un'idrovora di quattrini pubblici. Quando 26 anni fa cominciarono a parlarne dissero che sarebbe costato l’equivalente di 1 miliardo e 200 milioni di euro, ma strada facendo si sono allargati assai e siamo già a 5 miliardi di spese vive più 500 milioni di “opere supplementari”. E non è finita.

Gli ambientalisti dicono no SARDEGNA, PLASTICA VERDE A BASE DI CARDI

PORTO TORRES L’impianto di bioraffineria promette 300 posti di lavoro nel 2016. Gli ambientalisti dicono no SARDEGNA, PLASTICA VERDE A BASE DI CARDI indi Roberto Morini Porto Torres Realizzeremo nell’area industriale di Porto Torres una bioraffineria di terza generazione, diventerà un caso di studio internazionale per tutti coloro che hanno a disposizione aree di deindustrializzazione e hanno poche materie prime”, promette Catia Bastioli, presidente di Novamont. Nel matrimonio sardo con Eni-Versalis battezzato Matrìca Bastoli, che ne è amministratore delegato, porta numerosi brevetti legati al Mater-Bi, il polimero base per le bioplastiche. Il presidente di Matrìca Daniele Ferrari, Versalis, non si tira indietro: “Il polo di Porto Torres sarà leader mondiale della svolta verde della chimica”. Un miliardo di investimento, metà per le bonifiche, peraltro al centro di molte polemiche perché non ancora partite, metà per i nuovi impianti: un centro di ricerche già attivo, sette impianti complementari per trasformare l’olio vegetale in Mater- Bi, materia prima per decine di prodotti, come la pellicola con cui si fanno le buste per la spesa biodegradabili. Sono realizzate con Mater-Bi anche le stoviglie usa e getta della Giornata mondiale della gioventù a Rio de Janeiro. Compostabili insieme ai rifiuti organici. Infine ci sarà la centrale a biomasse che fornirà energia e vapore puliti. Rispetto dell’ambiente, investimenti innovativi, 700 posti di lavoro a regime (si parla del 2016, ormai vicino), 2-300 posti subito per i lavori di costruzione. C’è quanto basta per dire subito sì. E così hanno fatto sostanzialmente le istituzioni locali, i sindacati, i partiti sardi. Ma qualche opposizione c’è stata. A partire dai movimenti ambientalisti, che si sono organizzati in un coordinamento dal nome esplicito: “No chimica verde”. In mezzo, gli studiosi, con al centro quelli del dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari, che continuano imperterriti a rivendicare con l’azienda e con la Regione un ruolo di valutazione indipendente. L’oggetto al centro della contesa si chiama cardo gentile. Una varietà del cardo che, secondo gli esperti agronomi di Novamont, fornirà i semi da cui estrarre l’olio vegetale per il processo industriale che porta alla bioplastica e i gambi, alti fino a tre metri, biomassa da bruciare nella centrale. Gli ambientalisti attaccano soprattutto la centrale a biomasse: sarà sufficiente la produzione di cardo o la centrale si trasformerà in inceneritore per bruciare rifiuti urbani? O ancora, in alternativa: non si rischia di creare una monocultura del cardo? Già ora Matrìca prevede di coltivare 15 mila ettari di terreni definiti “marginali”, ma comunque arabili. Intanto hanno ottenuto che la centrale ausiliaria, quella di scorta, non brucerà Fok, un derivato del petrolio da alcuni ritenuto cancerogeno, ma Gpl, molto meno inquinante. Una prima piccola vittoria. L’altro fronte sul quale si schierano le forze in campo è proprio la coltivazione del cardo. Gli agronomi di Novamont, per conto di Matrìca, hanno incontrato tutte le associazioni di categoria. La Coldiretti ha da poco firmato l’accordo proposto dall’azienda, come altre organizzazioni minori. Confagricoltura, invece, ha chiesto tempo. Vuole vederci chiaro in quei numeri. Perché nel frattempo è arrivato lo studio del dipartimento sassarese di Agraria. Che tra l’altro afferma che le previsioni di produttività per ettaro, ottenute in un campo sperimentale, annunciate da Matrìca sono troppo alte. Mentre quelle reali, con le quali dovranno fare i conti gli agricoltori, sono molto inferiori, almeno del 40 per cento. Secondo la ricerca scientifica, non di parte, quei contratti vanno rivisti. il fatto quotidiano 24 luglio 2013

doping “Io, anabolizzato della domenica”

Alla fine della gara non contava mica vincere il
prosciutto o il parmigiano Dop ma arrivare.
Quanto meno arrivare, senza troppo distacco per
evitare le risatine degli amici, il lunedì al bar. E
così alla bicicletta, alla passione di sempre, è facile accoppiare
qualche “aiutino” consigliato dagli esperti del ramo.
Due ruote e il farmaco “miracoloso”, il tandem dei sogni.
Così da 62enne appassionato di bici, si diventa dopati per
necessità, per non finire sommerso dalle battute al vetriolo
di chi ti lasciava indietro come l'ultimo degli sfigati. Non c’è
la competizione sportiva a guidare la scelta ma ragioni più
personali, a volte inconfessabili.
“Io ho iniziato così per restare vivo, sentirmi al passo. Vedevo
gli altri sfrecciare e io arrancare. Ho cominciato prendendo
il Ventolin, mi apriva i bronchi, più ossigeno, più
pedalate”. Un farmaco, usato contro gli attacchi d’asma,
all’occorrenza assunto con la malsana idea di volare sul
sellino e non restare indietro. Sentirsi un po’ più uguale agli
altri, un po’ più giovani. Il racconto di Andrea, un sessantaduenne
emiliano è l'esperienza di un amatore finito
nel girone infernale dei dopati, lui che inseguiva il successo
nei tornei di provincia tra borraccia e fatica. Però è finita
male. Andrea è andato a sbattere contro la sua vana gloria e
un fisico che gli ha risputato contro gli intrugli digeriti.
“Assumevo anche farmaci antinfiammatori come l’Aulin.
Scioglievo nell'acqua quattro o cinque bustine prima della
gara”.
Correre più degli altri
L'idea, assolutamente sballata, è che la combinazione consenta,
alla lunga di sentire e ammortizzare meglio le fatiche.
Balle. Ma la combinazione, la formula magica fatta in casa
per il successo domenicale, aveva anche un altro componente.
“Quando la gara era importante ho iniziato ad assumere
anche supposte di cortisone”. Sono iniziati i problemi
gastrici, ma quasi per miracolo senza provocare l’ulcera.
Gli effetti di un miscuglio mortifero. “La tachicardia è
stato il primo sintomo quello che ha acceso una spia, ma
non mi sono fermato”. C’era un’altra barriera da superare,
Andrea vedendo gli amici prendersi ulteriori pasticche,
spacciate per integratori, ha provato anche l’ultima frontiera.
“Io sono andato oltre il Ventolin, l’Aulin, il cortisone,
ho iniziato ad assumere anabolizzanti”. I derivati sintetici
del testosterone. L’obiettivo era quello di ridurre la parte
grassa, aumentare la muscolatura e migliorare le prestazioni,
correre più degli altri. Prendeva la sostanza iniettandosela
nei muscoli da potenziare: gambe e polpacci.
Trasformandosi così in un tossicodipendente in piena regola.
Oltre la tachicardia ha iniziato a fare la sua comparsa,
con l’assenza di cicli di assunzione, anche l’impotenza.
Questa volta Andrea ha preferito fermarsi. Da impiegato in
azienda, a un passo dalla pensione,
forte della passione per
le due ruote, si è trasformato
tristemente in uno sportivo
dopato. “Io volevo un fisico
asciutto, una buona massa muscolare,
ma che fosse efficace
alla disciplina che svolgevo”. Si
è ritrovato impotente e tachicardico.
È ripartito da un bravo
endocrinologo, iniziando la
disintossicazione.
Andrea ha i figli ormai grandi,
realizzati e lui è benestante,
una condizione comune, del
resto, per chi coltiva la scorciatoia
delle sostanze. Per gli
anabolizzanti, infatti, si arriva
a spendere non meno di 500
euro a settimana. Cifre importanti
che danno la misura del
giro di affari del mondo degli
sportivi malati di gloria effimera.
Ma quella di Andrea non è una
storia isolata, è un tratto distintivo
che accompagna lo
sport amatoriale, un tarlo, un
vizio che vale milioni di euro e
mette a rischio la salute degli
atleti. Ma non solo. Anche il
doping della domenica, quello
amatoriale, è infatti un reato.
Perché viola le leggi, oltre il
senso del ridicolo. Scorrendo i
gli archivi dei Nas, i Nuclei antisofisticazione
e sanità dei
Carabinieri, di casi analoghi se
ne trovano numerosi. “Eravamo
in Sicilia, a una gara ciclistica:
alcuni corridori ci hanno
visto in prossimità del traguardo,
raccontano gli inquirenti,
e invece di fermarsi dopo
l’arrivo hanno continuato a
pedalare”. Non sono propriamente
fuggiti. Pedalata dopo
pedalata, infatti, sono arrivati
all’ospedale, piuttosto lontano:
“Hanno chiesto referti medici,
sostenendo di essere caduti”.
Dario Praturlon, capitano
dei carabinieri del Nas, racconta
con il tono di chi non
può più sorprendersi. Dal
2007 gira l’Italia con militari e
medici per stanare gli sportivi
dilettanti che si dopano, e il
sottobosco che li rifornisce:
dall’amico che smercia fiale e
compresse, al gestore della palestra
che arrotonda, sino al
farmacista spregiudicato. “Ma in tanti comprano su internet,
all’ingrosso” spiega Praturlon.
Il lavoro è tantissimo, a conferma che il doping non è affare
solo degli sportivi professionisti, quelli che finiscono in
copertina o in tv: anzi. “Tra i dilettanti è un fenomeno di
grandi dimensioni” conferma Praturlon. L’ultimo report
per l'agenzia mondiale anti-doping, realizzato dal consulente
dell’agenzia e maestro di sport Alessandro Donati e
dalla criminologa belga Letizia Paoli ha esaminato indagini
giudiziarie, sequestri di sostanze, controlli antidoping per
arrivare a questi numeri: più di 250 mila persone assumono
sostanze dopanti, tra professionisti e amatori, per un giro di
affari di 425 milioni di euro.
A combattere il fenomeno ci sono (anche) i 160 carabinieri
del Nas, che assieme alla Commissione di vigilanza del
ministero della Salute controllano i non professionisti. Gli
atleti che gareggiano per lavoro sono invece di pertinenza
della procura antidoping del Coni. Ma la giustizia ordinaria
non fa troppa differenza tra dilettanti e professionisti. Chi
si dopa, chi vende farmaci vietati o li somministra rischia
una condanna penale, perché il doping in Italia è reato.
Il fenomeno le pene e il mercato
La pena base va dai tre mesi ai tre anni di carcere: aumenta
per atleti e medici professionisti. La lista “delle sostanze e
pratiche mediche il cui impiego è vietato per doping” viene
aggiornata periodicamente dal ministero della Salute. Continua
ancora Praturlon: “Le sostanze più usate dai dilettanti
sono gli ormoni, come il Gh (ormone delle crescita, ndr), il
testosterone e gli stimolanti, come l’efedrina. L’Epo (ormone,
aumenta l'ossigenazione del sangue, ndr) invece non è molto diffusa: costa troppo”.
Il mercato è comunque fiorente. Solo nel 2012, il Nas ha
sequestrato 54 mila tra fiale e compresse e arrestato 67
persone: 440 gli indagati. Un lavoro fatto su segnalazioni da
parte di procure e cittadini, ma anche in seguito a controlli
a campione sulle gare e le manifestazioni sportive. “Giriamo
l’Italia, e possiamo anche presenziare ai test dei medici”
spiega Praturlon, che aggiunge: “Il 2,5-3 per cento
degli atleti risulta positivo, una percentuale alta”. Dai numeri
si passa agli aneddoti. “Quando ci vedono alcuni atleti
vengono presi dal panico. Mesi fa, in una gara di body
building, una pesista è letteralmente scappata, e altre due ci
hanno provato. Talvolta assistiamo a sceneggiate. Un ciclista
di 50 anni, per giunta, medico, ci ha giurato e spergiurato
che non aveva mai assunto farmaci: eppure il test
era chiarissimo”. Il fatto quotidiano 29 luglio 2013 di Luca De Carolis e Nello Trocchia

doping anche negli scacchi scacco matto con pasticca

Scacco matto con pasticca Il fatto quotidiano 29 luglio 2013
Venerdì sera appuntamento fisso. Il
circolo degli scacchi era il ritrovo
degli amanti del gioco di ingegno e pensiero.
Avanzava come un computer senza
ostacoli, di successo in successo, Paolo
bruciava avversari scalzandoli con un
dito, scacco matto senza problemi. Di
mestiere avvocato, apprezzato, buon giro
di clienti, lo studio in un comune
dell’hinterland milanese. Le pratiche, la
segretaria, i ricorsi, ma a occupare le sue
giornate c’era soprattutto il tavolo da
gioco. Lì era il migliore, non c’era storia,
e quando arrivavano da fuori paese, gli
avversari si sedevano, cavalli, re e pedoni
cadevano come birilli.
PAOLO ERA IL CAMPIONE. Di provincia
ma campione. “Durante la giornata
di lavoro iniziai a studiare tecniche particolari,
specialmente aperture di partita,
strategie, volevo migliorarmi. Era il
mondo parallelo, oscuro, ma speciale”.
Difficile riuscire a gestire entrambe le
attività con la stessa attenzione. La passione
degli scacchi iniziò a diventare
predominante, fino a quando lesse di
uno scacchista risultato positivo al controllo
antidoping. Per lui si aprì un mondo,
quello dei dopati da sedia e tavolo da
gioco.
Aveva un assistito che aveva fatto abuso
di droga e divenne il suo confidente. Iniziò
con il Ritalin, un medicinale in voga
negli Stati Uniti, usato sui bambini iperattivi,
comprato su internet. Giusto così
per cominciare, ma fu un inizio da
dimenticare. Non sortiva l’effetto sperato.
“Mi induceva a uno stato contemplativo,
non mi faceva ragionare in modo
più rapido”. Non prendeva iniziative,
mancava lo slancio, il contrario di quanto
cercato. La seconda strada fu battuta
grazie agli amici, i colleghi di Milano.
Alle feste girava cocaina, ma Paolo non
ne assumeva perché dava un effetto rapido,
fugace. “Cominciai a prendere pasticche
di ecstasy ”, meno nota come
mdma, anfetamina con effetti euforici e
alteranti. Troppo. Una droga che esalta,
accelera, sconvolge, che ti catapulta in
realtà parallela, viaggi che per il gioco di
pensiero e la professione non poteva
permettersi. L’ultimo approdo del viaggio
di doping di Paolo è stato la dexedrina,
magiche pasticche da 15 milligrammi.
“Riuscivo ad acquistarla facilmente
su internet, ho cominciato a drogarmi,
avvertivo una particolare facilità
nei meccanismi di ideazione, creavo
nella mente la partita in modo molto
rapido rispetto agli avversari, amplificavo
le mie potenzialità. Ho cominciato
ad assumere due tre compresse a settimana”.
Diventava più rapido, uno scacchista da
serie A, ma contemporaneamente iniziò
a scemare la fame e il sonno. La fine della
parabola tossica dell’avvocato giocatore.
Palpitazioni, problemi cardiovascolari,
dolori al torace dopo un mese di uso. Per
uscirne ha cercato la strada del telefono
pulito, oggi servizio di consulenze on line
al sito www. positivo allasalute . it Dall’altro
capo del filo esperti come il medico
Gustavo Savino, il coordinatore del progetto,
che ha raccolto alcune di queste
storie. Savino e Raffaele Candini hanno
scritto un libro Storie di doping, Mucchi
editore.
ORA LO SCACCHISTA è in cura psichiatrica
per problemi di crisi di panico, la
cosa più leggera che gli è rimasta, prima
conviveva con turbe umorali e disturbo
bipolare. “Facendo un'analisi - spiega
Savino - su tutte le persone che ho sentito
l’idea del dopato è quella di sbalordire,
colpire, farsi riconoscere come primi
attraverso una prestazione vincente
con il minimo sforzo. L’altro aspetto è
che il dopato è convinto sia capace di
controllare le assunzioni. Oggi il dato
più preoccupante è che c’è una capacità
incredibile di acquistare le sostanze. Ulteriore
fattore che dovrebbe indurre interventi
e attenzione massima sul fenomeno”.
Nel. Troc.

doping al figlio il genitore approva

Io ho assunto anabolizzanti per cinque
cicli poi ho smesso. In palestra
ero trainer e ne ho viste di ogni. Una
volta per farmi andai in una bettola e
dissi che avevo un pony. Presi il boldenone,
derivato del testosterone. Di
solito mi riforniva una mia amica infermiera”.
Raul è stato istruttore
per anni. Tra pesi e
panche ricorda le richieste
di sostanze
avute da tutti senza
distinzione, dall’avvocato
all’idraulico.
Quasi una costante
per chi vuole scolpirsi
il fisico, bruciando
l’anima. Ma di alcune
richieste conserva il
ricordo, domande
che raccontano un mondo che nasce
fuori e muore dentro le mura di quello
che i latini chiavano gymnasium, il luogo
dell’esercizio.
“QUANDO ARRIVAVANOda te - spiega
Raul al Fatto - ragazzetti di 14 anni
che, prima di chiederti diete e schede
di allenamento, ti dicevano 'caro mister,
che mi devo fare?', era disarmante”.
Nel pieno dello sviluppo, una sostanza
può alterare ogni equilibrio, ma
il diniego non cancella le pretese. “Mi
rifiutavo, ma i canali di approvigionamento
sono di una semplicità unica
basta Google e qualche soldo. E qualcuno
lo vedevo sbocciare troppo in
fretta, aumentare di prestanza fisica,
possibile solo se ti inietti roba. Della
salute non frega un cazzo a nessuno,
ma solo dell’immagine quella che fa la
differenza in questo mondo”.
Compri da internet, ma a casa può arrivare
di tutto e se hai 14 anni ogni
intruglio è un pericolo doppio in quella
fase delicata di crescita. Ma i ragazzi
al macero ci vanno da soli e qualche
volta accompagnati, cosa ancor più
agghiacciante, dai genitori. Come
quando, nell’inchiesta dei Nas di Bologna,
condotta dalla
Procura di Rimini,
vennero fuori genitori
che avrebbero
accompagnato dal
medico i propri figli.
La richiesta da brivido:
che gli diamo? Il
medico, attorno al
quale ruota l’inchie -
sta, avrebbe offerto i
suoi servigi, i farmaci
miracolosi. Per i figli,
alcuni minorenni, si
sarebbe fatta richiesta di visite e trattamento
dopanti con la speranza che
ottenessero buoni risultati. Fu trovato
omnitrope , un anabolizzante, che serve
per migliorare la prestanza fisica e le
performance, ma anche epo. Tennis o
ciclismo, una schiacciata a rete o una
pedalata, proiettando sui figli, carne
da macello, sogni di successo effimero.
L’omnitrope è un ormone della crescita.
Un’inchiesta che ora è arrivata
ad un punto di svolta con l’avviso di
conclusione indagine. Tra i coinvolti
ci sono un padre e il medico in concorso.
Accuse da provare in processo,
ma gli elementi emersi sono inquietanti.
Di contro c’è chi si allerta, osserva,
accompagna nell’attività sportiva
i propri figli, genitori che al primo
segnale dialogano e si rivolgono ad
esperti. La via maestra per scongiurare
futuri dannati.
Nel. Troc. Il fatto quotidiano 29 luglio 2013

doping il rischio del viaggio all'inferno

DANNI IRREVERSIBILI “Gli anabolizzanti hanno numerose controindicazioni.
Il rischio più grande è quello di provocare danni al cuore con
l'aumento del rischio di infarto”. Alessandro Donati è consulente italiano
dell’agenzia mondiale anti-doping, collabora con Libera, la rete di
Don Luigi Ciotti contro le mafie. Quando sono gli amatori a farne uso i
rischi aumentano perché è tutto un “fai da te” e non ci sono, per paradosso,
i controlli a cui sono sottoposti i professionisti, i quali sono
dopati sotto tutela di uno staff medico. “Tra gli effetti per chi assume
queste sostanze c'è l'aumento di probabilità di processi tumorali. Il
soggetto appare affetto da instancabilità, è iperattivo. Vive in uno stato
di esaltazione psichica”. Anche l'epo come ormone ha effetti devastanti.
“Provoca una eccessiva produzione di globuli rossi, sangue denso
come la marmellata, si dice in gergo. Il rischio è la trombosi, ma
anche l’ictus”. Il viaggio all'inferno di chi rischia la vita per una coppa. Il fatto quotidiano 29 luglio 2013

Consiglio di Stato: via libera a Tbm fuori Roma Oggi vertice con il ministro per il nuovo sito

I RIFIUTI DELLA CAPITALE

Consiglio di Stato: via libera a Tbm fuori Roma
Oggi vertice con il ministro per il nuovo sito

Sospesa la sentenza del Tar del Lazio. Continua la manifestazione dei residenti contro la discarica all'Ardeatina

 ROMA - Altra tappa per la questione rifiuti della capitale. Mentre si cerca di individuare il nuovo sito che va a sostituire Malagrotta, il Consiglio di Stato ha accolto al richiesta di sospensione della sentenza del Tar. Vale a dire che i rifiuti di Roma potranno essere trasportati negli impianti Tmb (trattamento meccanico-biologico) di Fiumicino, Ciampino e Città del Vaticano. E per quanto riguarda la questione della discarica è attesa per oggi la decisione al ministero dell'ambiente. Al vaglio c'è la zona di Falcognana, sull'Ardeatina.

IL VERTICE ALLA REGIONE - «La Regione ha dato le sue indicazioni, sul metodo per la scelta della località in cui realizzare la nuova discarica di Roma, ma la scelta spetterà al ministro dell'Ambiente, in base alla relazione che gli ha presentato il commissario Sottile». Questo in sintesi il senso della relazione dell'assessore Michele Civita in Consiglio regionale martedì. Oggi vertice con il ministro dell'ambiente Andrea Orlando.

(Foto Ansa)(Foto Ansa)
I TMB, TRATTAMENTO SMALTIMENTO RIFIUTI - I siti di Fiumicino, Ciampino e Città del Vaticano, sono quelli individuati fuori dalla capitale dal commissario straordinario per l'emergenza rifiuti Goffredo Sottile. Il Tar del Lazio aveva bocciato i decreti emanati dall'ex ministro Corrado Clini, che prevedevano il trattamento dei rifiuti romani nelle altre province. Oggi il Consiglio di Stato ha sospeso la sentenza del Tar. IL PROCEDIMENTO - A rivolgersi ai giudici amministrativi di secondo grado è stato il ministero dell’Ambiente Andrea Orlando e lo stesso commissario Sottile contro il Comune di Albano Laziale, la Società Saf Ambiente Frosinone Spa, l’Unione dei Comuni antica terra di lavoro.

La protesta sull'Ardeatina (Foto Jpeg)La protesta sull'Ardeatina (Foto Jpeg)
LA PROTESTA SULL'ARDEATINA - Continua la protesta dei residenti di Falcognana contro la discarica che dovrebbe ospitare i rifiuti trattati di Roma, sull'Ardeatina. Dopo quello di ieri, che è andato avanti fino a dopo la mezzanotte, gli abitanti annunciano un nuovo presidio oggi alle 18.
© RIPRODUZIONE RISERVATA http://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/13_luglio_31/rifiuti-post-malagrotta-consiglio-stato-si-trasporto-tmb-fuori-roma-2222416446663.shtml

NoTav, la marcia di solidarietà per gli indagati: “Siamo tutti terroristi”

Tanti giovani, ma soprattutto anziani e famiglie con bambini, sono oltre un migliaio i NoTav che hanno sfilato per le vie di Bussoleno, in Valsusa. La magistratura di Torino ha indagato 12 attivisti per attentato a scopo terroristico ed eversivo. La piazza ha risposto alle denunce con l’urlo, lanciato da Alberto Perino “Se essere contro il Tav vuol dire essere terroristi ed eversivi, qui lo siamo tutti da 24 anni”. Nicoletta Dosio, un’altra delle figure di spicco del movimento affianca le recenti indagini della procura di Torino alla vicenda dei due anarchici Sole (Maria Soledad Rosas) e Baleno (Edorado Massari) arrestati per terrorismo, e morti suicidi in carcere prima che venissero scagionati. La fiaccolata si svolge senza incidenti, le forze dell’ordine guardano da lontano il corteo dal quale vengono scanditi gli slogan di sempre. Intanto tra i manifestanti si parla della gru che questa mattina è stata vista passare sull’autostrada “probabilmente diretta al cantiere di Chiomonte. Servirà per montare la talpa”. Uno degli indagati prende il microfono: “Non ci hanno spaventato, quest’estate di lotta sarà ancora lunga”  di Cosimo Caridi
31 luglio 2013 per vedere il video http://tv.ilfattoquotidiano.it/2013/07/31/notav-marcia-di-solidarieta-per-indagati-siamo-tutti-terroristi/241172/

martedì 30 luglio 2013

Roma caos rifiuti dopo Malagrotta scoppia la protesta «No alla nuova discarica all'Ardeatina»

MALAGROTTA BIS nell'area di falcognana

Post Malagrotta, scoppia la protesta
«No alla nuova discarica all'Ardeatina»

Centinaia sull'Ardeatina per dire no al nuovo sito vicino al Divino Amore. Tra loro anche Alemanno. L'assessore Civita: ma un luogo va trovato per evitare il «rischio Napoli»

 

ROMA - È Falcognana, un sito al km 14 circa di via Aredeatina, dove già esiste una discarica di rifiuti speciali, il luogo che sarebbe stato indicato per la nuova discarica di Roma, per soli rifiuti trattati. Secondo quanto annunciato a fine giugno, in occasione del vertice sull'emergenza rifiuti tra il ministro dell'Ambiente Andrea Orlando, il governatore del Lazio Nicola Zingaretti e il sindaco di Roma Ignazio Marino, l'individuazione del sito alternativo alla discarica romana di Malagrotta da parte del commissario Goffredo Sottile doveva avvenire entro la fine di luglio. La relazione di Sottile, a quanto si apprende, è stata inviata al ministero dell'Ambiente e per mercoledì è atteso l'annuncio ufficiale. Che fa seguito ad un mese di lavori del tavolo tecnico a cui hanno preso parte tra gli altri il commissario Sottile, tecnici di Comune di Roma, Provincia, Regione Lazio e Ama.

Circolazione bloccata (Jpeg)Circolazione bloccata (Jpeg)
«NO ALLA DISCARICA» - E alle 18 scoppia la protesta di cittadini e residenti della zona che si sono trovati a Falcognana per dire «No alla follia di una nuova Malagrotta nella attuale discarica per rifiuti pericolosi sita nei pressi di Falcognana (Divino Amore)». Alla protesta organizzata dall'Associazione Cuore Tricolore, anche famiglie intere e bambini. I manifestanti hanno bloccato la circolazione. In piazza anche l'ex sindaco di Roma Gianni Alemanno e il presidente del municipio Andrea Santoro (Pd). Tanti i cartelli tra cui: «No discarica al Divino Amore pattumiera di Roma». «Io farò partire una diffida formale al prefetto Sottile», ha annunciato Santoro che ha aggiunto: «Se sarà necessario andremo dal ministro».
Schieramento di forze dell'ordine (Jpeg)Schieramento di forze dell'ordine (Jpeg)
«EVITARE RISCHIO NAPOLI» - «Anche spingendo al massimo la differenziata, un sito per lo smaltimento dei rifiuti trattati va trovato, per evitare il 'rischio Napolì o di portare rifiuti all'estero con costi maggiori sulla tariffa». Lo ha detto l'assessore ai rifiuti della Regione Lazio, Michele Civita, intervenendo alla seduta odierna del Consiglio Regionale e parlando dell'individuazione della nuova discarica. «Non bisogna dire che si fa una 'Malagrotta 2' - ha aggiunto Civita - perché sarebbe solo un falso che rischia di alimentare le paure dei cittadini». E comunque, spiega, «siamo in attesa della valutazione del ministro» e «nei prossimi giorni conosceremo l'orientamento del Governo sulla base della relazione che ha fatto il commissario». «La questione rifiuti si è protratta per troppo tempo e oggi siamo in una situazione di non ritorno: se dal 2008 avessimo trattato tutti i rifiuti, come prevede la legge, la situazione sarebbe diversa, così come sarebbe diversa se il comune di Roma avesse scelto con coraggio la strada della raccolta differenziata porta a porta. Ora - ha affermato Civita - serve un atteggiamento responsabile che guardi al bene comune e all'interesse generale».
Anche ragazzi in strada (Jpeg)Anche ragazzi in strada (Jpeg)
OK A CHIUSURA DEFINITIVA DI MALAGROTTA- Al termine del dibattito, il Consiglio regionale, presieduto da Daniele Leodori, ha approvato una risoluzione, primo firmatario il capogruppo del Pd, Marco Vincenzi, in cui, premessa la «ferma volontà di chiudere definitivamente la discarica di Malagrotta», si impegna la Giunta regionale a «sollecitare il commissario a promuovere iniziative di ascolto e partecipazione dei cittadini e degli enti locali alle scelte proposte». Nella mozione si elencano, poi, «i criteri da seguire nella scelta dei siti idonei». In particolare, il Consiglio regionale indica come priorità «la salvaguardia del diritto alla salute dei cittadini e la tutela dell'ambiente», che le «dimensioni del sito siano contenute e tali da abbandonare il criterio delle megadiscariche, che siano conferiti in discarica solo rifiuti trattati», che si prevedano «i necessari presidi ambientali per ridurre l'impatto ambientale e sociale», che si definiscano «con chiarezza tempi e quantità dello smaltimento», che si prevedano, infine, «specifiche iniziative al fine di ridurre l'impatto complessivo sul territorio circostante». Il Consiglio regionale ha poi respinto due mozioni presentate rispettivamente dal M5S e dai gruppi di centrodestra.
(Imagoeconomica)(Imagoeconomica)
LA PROTESTA - Intanto la popolazione dell'Ardeatina è sul piede di guerra e promette mobilitazioni. Lunedì il presidente del IX Municipio, Andrea Santoro, ha consegnato agli uffici del sindaco di Roma, Ignazio Marino, del presidente della Regione, Nicola Zingaretti, e del commissario Sottile, sia il documento votato all'unanimità dal Consiglio municipale venerdì scorso sia una sua lettera che esprimono la netta contrarietà a realizzare una discarica a pochi passi dal santuario del Divino Amore. «Vi scrivo per ribadire le mie preoccupazioni sull'ipotesi della realizzazione di una nuova discarica sul territorio del municipio IX e in particolare sull'Ardeatina, al km 14» è riportato nella missiva.

NUOVA EMERGENZA - E così la questione dei rifiuti di Roma diventa di nuovo scottante. All'ordine del giorno del Consiglio di Stato c'è la discussione se confermare o meno la sospensiva della sentenza Tar che aveva stoppato l'invio di parte dei rifiuti «tal quali» di Roma nei Tmb di Albano, Viterbo e Colfelice. Il commissario ai rifiuti di Roma, Goffredo Sottile, dovrà poi consegnare entro mercoledì al ministro dell'Ambiente, Andrea Orlando, la proposta sul sito che dovrà raccogliere l'eredità di Malagrotta. Proposta che, a meno di clamorose sorprese, sarà quella di utilizzare una discarica di rifiuti pericolosi sulla via Ardeatina, per conferire lì gli scarti del trattamento dei tmb e la fos prodotta.
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Rifiuti, nuovo sito a Falcognana "Niente discarica al Divino Amore"

Dovrebbe sorgere sull'Ardeatina il sito alternativo a Malagrotta. Il minisindaco del IX municipio Santoro ha annunciato di sfilare insieme ai cittadini. Protesta anche il presidente dell'VIII, Catarci: "Troppo vicino all'Appia antica"L'assessore regionale con delega ai rifiuti, Civita, attende la decisione del commissario Sottile. I manifestanti, intanto, hanno bloccato l'Ardeatina



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Gli irriducibili del nucleare

Prima di una sospensione ad agosto, in questo e nel prossimo post vorrei aprire una riflessione sugli scenari energetici futuri su cui agiscono potenti forze e che, nonostante i 27 milioni di voti del referendum antinucleare, continuano ad essere sottratti all’informazione e alla volontà popolare.
Hermann Scheer già alla fine del secolo scorso, riteneva che in seguito all’esaurimento dei fossili il futuro energetico fosse ad un bivio: atomo o sole, tra loro in conflitto come alternative, sociali, ambientali e economiche, prima che tecnologiche. L’accelerazione della crisi climatica (l’Agenzia Europea per l’Ambiente valuta in 15.000 miliardi di euro i danni per eventi catastrofici nel sud dell’Europa nel prossimo quinquennio); la diffusione di tecnologie estrattive rivoluzionarie per gas e petrolio (shale gas e trivellazioni in condizioni ambientali estreme); il rapido avvicinamento alla grid parity da parte delle fonti naturali e i progressi nell’efficienza energetica, hanno reso più articolato lo scenario previsto da Scheer. È comunque rimasto il discrimine tra un sistema sempre più accentrato e basato su fonti ad alta densità energetica ed elevatissimo impatto ambientale e un sistema diffuso, a matrice territoriale, decarbonizzato e senza una rigida distinzione tra produttori e consumatori. In effetti, con il lento declino del sistema tradizionale (v. anche i post precedenti e l’affermazione di Bloomberg secondo cui il 70% della nuova potenza elettrica che verrà installata nel mondo entro il 2030 sarà alimentata da fonti rinnovabili) sono i dati che annunciano un passaggio storico rispetto al quale la politica evidenzia tutto il suo deficit progettuale, per piegarsi agli interessi poco lungimiranti di un potere economico-finanziario-industriale che ha portato alla crisi attuale.
Non c’è segno di svolta a livello mondiale ma, a parte rare eccezioni (la Germania in particolare), solo esitazione. In questa irresponsabilità diffusa, il governo e la classe dirigente nostrani si distinguono nel ripercorrere con baldanza le strade antiche, mentre mistificano – per lo più con affermazioni e dati opinabili – i progressi sul versante delle energie verdi.
È utile cominciare a fare il punto sulla direzione di marcia del sistema energetico da qui alla seconda metà del secolo e sulla effettiva praticabilità di nuove strade che le lobby non ci vogliono far scoprire. Eppure qui si gioca una parte rilevantissima dell’uscita dalla crisi. Pertanto irritano le affermazioni un po’ volgari di Paolo Scaroni (Eni): “Abbiamo investito in modo dissennato nelle energie rinnovabili, vecchie, costose e inefficienti: eravamo ubriachi? Sul fronte energetico l’Europa non ha molta scelta: o creiamo le condizioni per lo shale gas o dobbiamo pensare ad altre opzioni, tra le quali il nucleare”. E di rimando Chicco Testa (Assoelettrica): “Dal 2005 abbiamo fatto errori enormi: i lavori verdi non sono mai stati sviluppati, non abbiamo mai costruito una filiera, non ci sono lavori qualificati. Ci sono solo giardinieri e lavoratori che puliscono gli impianti fotovoltaici”. L’arrogante sicurezza tradisce il disegno di fondo: contrastare la diffusione degli impianti alimentati da rinnovabili deridendoli come economia di nicchia e assistita e penalizzandoli, evitando di riprogettare la rete e le reti per funzioni di accumulo, di scambio locale multidirezionale e di flessibilità nell’allocazione dell’offerta programmata.
Ma ciò che più preoccupa è l’incertezza di tutto il sindacato e in particolare della Cgil nel sostenere con fermezza il modello vincente in base all’occupazione, alla salute e alla stabilizzazione del clima. In un recente convegno, il segretario generale degli elettrici ha sostenuto che occorre “gestire la transizione per uscire dal fossile, con una posizione comune dell’Europa sull’atomo, difendendo i posti di lavoro e rafforzando la competitività delle imprese”. E l’Ires-Cgil afferma che: “i due sistemi energetici, vecchio e nuovo, devono convivere perché ognuno serve all’altro”. Ancora, nelle conclusioni del convegno, si è detto che “va gestita la fase di transizione per uscire dal fossile, cercando di farsi meno male possibile e difendere i posti di lavoro”.
Di conseguenza, dopo aver apprezzato le “tecnologie innovative di cattura e stoccaggio della CO2, della gassificazione e idrogenizzazione dei combustibili” ed aver approvata la costituzione dell’Italia come Hub europeo del gas, l’attenzione del sindacato sembra concentrarsi soprattutto sul prezzo di questa materia prima, vero dominus delle politiche energetiche e tariffarie del futuro. Insomma, il mondo del lavoro, decisivo per il governo della riconversione, si pronuncia in definitiva per la convivenza del sistema dei fossili con quello delle rinnovabili. Non rendendosi conto che è quanto le grandi utilities e il mondo della finanza perseguono, ben sapendo che il primo è cento volte più potente del secondo.
Ripeto: l’alternativa è tra due prospettive organizzative della società e tra due diversi approcci al rapporto tra scienza, tecnologia e democrazia. Chi sostiene che esse possano e debbano convivere nel tempo medio-lungo, ora che si cominciano a confrontare anche sotto il profilo economico e industriale, prende un abbaglio. È proprio su questo che la politica energetica nazionale si discosta dalla prospettiva assunta dalla Ue! E lo dimostra il dibattito in corso sugli incentivi alle diverse fonti (non solo le rinnovabili) e le contraddizioni che si stanno aprendo nella gestione dell’attuale rete elettrica ed energetica, impraticabile, così come è stata progettata, al modello decentrato e cooperativo delle rinnovabili. Sono convinto di una precisa strategia delle corporation e delle grandi utility per mantenere legata al modello ereditato dal gas, dal carbone e dal petrolio tutta la fase di transizione imposta dall’emergenza climatica. Questa strategia ha due punti fermi:
1) mantenere il sistema energetico all’interno del sistema speculativo-finanziario che domina le grandi opere e del sistema industriale multinazionale garantito dalle strategie militari e dai blocchi geopolitici;
2) mantenere a tutti i costi, anche con il sussidio degli stati o la creazione di bolle speculative, la profittabilità di grandi centrali a combustione o a fissione anche nel caso in cui i costi dei combustibili o i bilanci energetici diventassero proibitivi.
È in questa prospettiva che si può realizzare un rientro del nucleare su scala continentale e mondiale e che si alimenta nel frattempo con la bolla dello shale gas, il miraggio del sequestro di CO2 in caverne impenetrabili, nonché la favola dell’Italia hub del gas in Europa. Anche se le popolazioni continueranno ad avversare una prospettiva come quella dell’atomo, le lobby e gli interessi militari potrebbero renderla difficilmente evitabile, inchiodando la direzione della transizione sui loro schemi.

Femminicidio, urliamo per fermare la mattanza

Ancora una volta non siamo arrivati in tempo. Stavo commentando su Twitter l’ennesimo caso di femminicidio avvenuto il 28 luglio a Massa Carrara, quando sulle agenzie è apparsa la notizia del femminicidio-suicidio a Taurisano in provincia di Lecce. Ancora due donne uccise dai mariti: altri due casi in cui il partner non accetta che una relazione affettiva finisca. Siamo a oltre settanta donne ammazzate nel 2013, da gennaio a oggi.
Le cause profonde della violenza sono radicate nelle relazioni di potere storicamente ineguali tra uomini e donne, nella discriminazione sistemica basata sul genere e sul pregiudizio culturale della superiorità del maschio rispetto alla femmina. Più volte ho parlato di “machismo criminal” riprendendo una definizione dell’ex premier spagnolo Zapatero.
In Parlamento abbiamo affrontato il tema della violenza di genere ripetutamente, ne abbiamo evidenziato la drammaticità e cercato di spiegarne la complessità e le molteplici facce, abbiamo chiesto e assunto impegni precisi. Tutti insieme abbiamo chiesto al governo impegni su 15 punti, come ci avevano chiesto le associazioni di donne, trasformando i contenuti specifici della Convenzione di Istanbul in singoli obiettivi di intervento. E ci siamo detti che è tempo di atti concreti, tempo di avviare efficaci azioni di contrasto e insieme di sensibilizzazione, prevenzione, protezione, punizione, rieducazione.
Abbiamo anche deciso il varo di un nuovo Piano nazionale contro la violenza e l’istituzione di un Osservatorio permanente nazionale accompagnati dalla formazione specializzata degli operatori.
La precedente ministra delle Pari Opportunità Josefa Idem aveva previsto la istituzione di una task force contro la violenza. Ora l’ex canoista dimessasi per non aver pagato le tasse sulla palestra nel ravennate, per questo non fa più parte del governo e le sue deleghe sono state distribuite a ministri e viceministri che ne hanno già altre. Abbiamo stigmatizzato questo fatto e chiesto al presidente del consiglio Enrico Letta di nominare al più presto una nuova ministra dimostrando che le Pari Opportunità non sono un dicastero di serie B. Una richiesta che dopo i femminicidi di questi giorni non può più restare inevasa. Forse lo abbiamo chiesto con troppa cortesia, a voce troppo bassa. Forse dovremmo cominciare a urlare per farci ascoltare.
Per queste due donne non siamo arrivati in tempo. Nonostante il fatto che, in entrambi i casi, le vittime avessero denunciato il loro aguzzino alle forze dell’ordine. Come è accaduto altre volte. Femminicidi che potevano essere evitati. E che tutti, in misura ovviamente diversa, ci troviamo un po’ sulla coscienza. http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/07/30/femminicidi-cominciamo-a-urlare-per-fermare-a-mattanza/671065/

La stampa tedesca dal 2008 a oggi: “Italia = Berlusconi = caos = debiti”

Il pregiudizio non muore, come testimonia lo studio sull’immagine della Penisola nei media tedeschi, dell’Europaische Akademie Berlin, ente indipendente che collabora con il ministero degli Affari Esteri tedesco, che analizza titoli e servizi pubblicati da Die Zeit, Frankfurter Allgemenine e Bild Zeitung

Berlusconi e Merkel
Inaffidabili e traditori, cialtroni e scansafatiche. L’Europaische Akademie Berlin, ente indipendente che collabora con il ministero degli Affari Esteri tedesco, ha effettuato uno studio sull’immagine dell’Italia nei media tedeschi, analizzando titoli e servizi dal 2008 ad oggi pubblicati da Die Zeit, Frankfurter Allgemenine e Bild Zeitung. Tre giornali differenti, che si rivolgono ad un pubblico diverso, da cui emerge con prepotenza un giudizio pesante sull’Italia.
Il pregiudizio tedesco sul conto del popolo italiano, del resto, è vecchio di cent’anni ed è stato rafforzato nel tempo. Il peccato originale risale alla prima guerra mondiale, poi confermato con l’epilogo della seconda. Il giudizio storico è stato poi alimentato dal mito costruito negli anni della dolce vita, di un Paese popolato da maschi veraci, votati più al piacere che alla fatica. Oggi quell’impronta rimane e il pregiudizio torna a riproporsi, pescando da quell’immaginario.
Negli articoli presi in esame dall’analisi si parla principalmente dei protagonisti del sistema politico, delle elezioni e della crisi del sistema, oltre che di economia e di crisi finanziaria. L’equazione che ne emerge è particolarmente pesante: “Italia = Berlusconi = caos = debiti”. Ad esporre i risultati dello studio il professor Eckart Stratenschulte (direttore dell’ente), in occasione di un seminario dedicato alla Germania, organizzato da Villa Vigoni, centro Italo-Tedesco per l’eccellenza europea.
“A farla da padrone, tra i politici italiani raccontati dai giornali tedeschi, è stata la figura di Silvio Berlusconi – ha spiegato Stratenschulte -. Sono famose le copertine e le prime pagine che gli sono state riservate, spesso irriverenti. Ancora oggi in Germania domina l’incomprensione su come gli italiani possano continuare a votare Berlusconi, sia come imprenditore dei media, sia per gli scandali che lo hanno travolto, per le leggi ad personam, ma soprattutto per quello che è successo sul caso Ruby, in particolare per la bugia sulla parentela con Mubarak, che all’epoca era ancora un importante Capo di Stato, una cosa incomprensibile e inconcepibile per un tedesco”.
Accanto ad un giudizio pesante su una certa classe politica c’è però anche il tentativo di spiegare il caso italiano è diverso da quello greco: “Per noi la Grecia è stato un vero incubo e lo è tutt’ora. Soprattutto la Frankfurter e Zeit, in questi anni hanno spiegato che l’Italia non è la Grecia. Certo c’è preoccupazione per la situazione di crisi in Italia, perché l’Italia è una grande forza economica e un tracollo avrebbe conseguenze disastrose per tutta l’eurozona, ma sono stati fatti notare gli sforzo compiuti, prima con il governo Monti e adesso con il governo Letta. I tedeschi capiscono e apprezzano lo sforzo di dare un governo al Paese che vada oltre le spaccature”.
Interessante, per comprendere il giudizio tedesco sull’Italia, un sondaggio pubblicato recentemente nel quale è stato chiesto chi fosse il partner più affidabile per la Germania: “L’82% per cento ha messo al primo posto la Francia, poi a scendere ci sono altri paesi come Usa, Polonia e solo il 32% ha risposto Italia”. Quando invece si è trattato di rispondere alla domanda su quale paese dovesse uscire dall’Europa il risultato è stato differente: “Il 74 % degli intervistati ha detto che l’Italia deve rimanere dentro l’eurozona e solo il 20% ritiene che debba uscire. Un risultato migliore di Spagna, Portogallo e ovviamente della Grecia”.
Stratenschulte ha spiegato che non ci sono solo stereotipi negativi sul conto degli italiani: “Siete caotici ma charmant. Venite visti comunque come il Paese della moda, della cultura, della gastronomia, del buon vivere, dell’architettura e del design. Io non sarei preoccupato per l’immagine italiana. Per chiudere con una battuta possiamo dire che forse alla base c’è un po’ di invidia, perché i tedeschi lavorano per entrare in paradiso mentre gli italiani lavorano meno perché sono già in paradiso”.
Prova a metterci una buona parola anche Michael Georg Link, viceministro degli Affari Esteri tedesco, con delega alle politiche comunitarie: “Io sono del Baden Württemberg, abbiamo relazioni molto strette con il Nord Italia ormai da 40 anni. C’è molto rispetto a livello tecnico e industriale. La nostra immagine dell’Italia è che ci sono molte italie differenti. Sappiamo che l’Italia è uno dei migliori alleati quando si tratta di portare avanti l’idea europea. Oggi siamo molto lieti della collaborazione tra Guido Westerwelle ed Emma Bonino, che a Mallorca hanno appena firmato una dichiarazione di intenti per continuare nel processo di integrazione europea. Gli anni del governo Berlusconi, in Germania, sono stati percepiti come anni perduti per l’Europa. Durante quel periodo è mancata una voce forte italiana a Bruxelles, oggi stiamo riflettendo su come approfondire la collaborazione perché crediamo molto nella forza di questo governo Letta”.

lunedì 29 luglio 2013

caos rifiuti Latina Ambiente, nessun accordo la fine è segnata

Rifiuti: tra Comune e Unendo posizioni inconciliabili
si valuta l'ipotesi dello scioglimento

LATINA - La fine di Latina Ambiente è segnata. Nel consiglio di amministrazione di oggi pomeriggio, decretate posizioni sempre più distanti tra il socio pubblico, il Comune, e il socio privato, la Unendo. Si è a un passo dal collasso, al punto che si è cominciato a parlare di esame delle cause di scioglimento. Unendo, il socio privato, ha espresso una chiusura totale alle richieste del Comune, come la ripresa in carico della bollettazione Tia anche per il 2006-2009 o la restituzione degli utili.

Il Cda ha convocato l’assemblea straordinaria dei soci, entro 20-25 giorni, per la fine di agosto. In quella seduta, il Cda domanderà ai soci se intendano rifinanziare la società; ipotesi difficile, visto che secondo il socio privato non ce ne sarebbe proprio bisogno. Con ogni probabilità, quindi, tra 25 giorni Latina Ambiente sarà sciolta.

Lunedì 29 Luglio 2013 - 20:50
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Basilicata, sospetti su trasporto speciale notturno. M5S: “Forse scorie nucleari”

I 5 stelle hanno annunciato un'interrogazione urgente per spiegare quanto accaduto all'alba sulla ss 106 Jonica, dove un convoglio scortato da carabinieri, polizia e guardia di finanza (circa 300 unità) ha trasferito un non meglio precisato carico dal centro Itrec, situato nel comprensorio Enea-Trisaia di Rotondella all’aeroporto militare di Gioia del Colle

Basilicata, sospetti su trasporto speciale notturno. M5S: “Forse scorie nucleari”
Cosa è stato trasportato di preciso e qual era la destinazione finale non è noto. “Lo dovranno però immediatamente spiegare al territorio e ai cittadini i ministri dell’Interno e della Difesa”, dice il senatore M5S Vito Petrocelli, annunciando un’interrogazione urgente. La scorsa notte, attorno alle 3, un carico è stato trasferito dal centro Itrec, situato nel comprensorio Enea-Trisaia di Rotondella, in Basilicata, all’aeroporto militare di Gioia del Colle (Bari). Circa 300 tra poliziotti, carabinieri e finanzieri hanno scortato il tir con container e presidiato i principali svincoli, lungo il tragitto, durato circa 3 ore. La notizia ha subito generato allarme tra la popolazione, anche perché, secondo quanto dice Petrocelli, “dalle prime indiscrezioni, sembrerebbe un travaso di materiale radioattivo”. “Era troppo evidente che si trattava di un trasporto speciale”, commentano alcuni attivisti No scorie Trisaia che hanno visto transitare sulla SS106 Jonica il convoglio con al seguito blindati delle forze dell’ordine: un tir motrice e due mezzi dei vigili del fuoco “di cui uno particolare”. La Ola, Organizzazione lucana ambientalista, ha chiesto chiarimenti anche al sottosegretario degli Interni, il lucano Filippo Bubbico.
La Basilicata oltre ad avere il più grande giacimento petrolifero onshore d’Europa, e per questo trivellata in lungo e in largo, è anche un vero e proprio cimitero di scorie nucleari. Qui, a Scansano Jonico, nel 2003 era stato addirittura proposta la costruzione (in una miniera di salgemma) di un deposito unico nazionale di scorie radioattive. Ma la popolazione scese in massa per le strade e riuscì ad opporsi a quella che, per l’intero territorio della piccola regione, sarebbe stata una sciagura. E a pochi chilometri da Scansano c’è il centro Itrec di Trisaia, gestito dalla Sogin – la società dello Stato incaricata della bonifica ambientale dei siti nucleari – dove è stata programmata la costruzione di un deposito temporaneo per lo stoccaggio di rifiuti nucleari, “derivante dalle attività di decommissioning dell’impianto”. “Ma il piano di smantellamento – fa notare il comitato No scorie Trisaia – prevede l’arrivo all’Itrec di due cask (contenitori metallici corazzati, ndr) di contenimento con successivo incapsulamento delle barre e svuotamento della piscina, con destinazione il Deposito Nazionale. Se cosi fosse è accaduto qualcosa nell’interno dell’Itrec che ha fatto accelerare i tempi di incapsulamento?”.
I lavori di bonifica ambientale dovrebbero concludersi nel 2026. Ma sulle modalità e sui dettagli del Piano globale di disattivazione dell’impianto Itrec di Trisaia non è dato saper nulla. Come appurato infatti lo scorso marzo dalla Gazzetta del Mezzogiorno, “i rifiuti nucleari della Basilicata sono coperti da segreto di Stato“. Alla richiesta del quotidiano di visionare i documenti, dopo 8 mesi di solleciti il ministero dello Sviluppo Economico ha fatto sapere che “nei documenti sono contenuti dati, informazioni ed elaborati che, in base alla normativa vigente, e segnatamente ai sensi del Dpcm 22 luglio 2011, recante Disposizioni per la tutela amministrativa del segreto di stato e delle informazioni classificate debbono considerarsi informazioni classificate controllate, secretate”. “Non ci può essere segreto che tenga – commenta il senatore del M5S – perché la gente ha il diritto di sapere cosa accade nel luogo dove vive, per esercitare il diritto all’essere informati, ma anche al potersi regolare e difendere di conseguenza”. A chiedere chiarimenti al governo è anche il presidente dimissionario della Regione Basilicata, Vito De Filippo: “Il senso dello Stato mi spinge a credere che se le notizie dovessero trovare effettivo compimento – commenta De Filippo – il ministero dell’Interno e della Difesa avranno avuto i loro buoni motivi per agire e chiediamo che ce le spieghino in tempi rapidissimi. Ma episodi come questi – aggiunge –, con il mancato coinvolgimento dei territori interessati, potrebbero minare quel rapporto di trasparenza e collaborazione tra diversi livelli dello Stato indispensabile per gestire una questione delicata come quella delle scorie nucleari, rischiando di riaprire la vecchia ferita di Scanzano”.
Nel centro Itrec di Trisaia sono presenti materiali radioattivi di II e III categoria “a cominciare dalle 84 barre di uranio-torio che – ricorda Petrocelli – negli anni tra il 1969 e il 1971, ai sensi di un accordo mai ratificato dal Parlamento italiano, giunsero dalla centrale Elk River degli Stati Uniti d’America e mai sono state restituite”. Ed è per questo che “al più presto chiederò anche un incontro con il nuovo ambasciatore Usa a Roma”.

Terremoto e idrocarburi: la Commissione è indipendente e libera?

Esce in questi giorni un testo della Commissione nominata dalla Protezione Civile per lavorare su “eventuali relazioni tra terremoto ed esplorazioni per la ricerca di idrocarburi” e per “fare chiarezza sulle cause e sui falso miti collegati al terremoto dell’Emilia del Maggio 2012″. 
In particolare si afferma che: “Il Capo Dipartimento della Protezione Civile, con decreto n. 5930 11 dicembre 2012 e s.m.i., ha individuato esperti di altissimo livello internazionale, non coinvolti in attività e consulenze riguardanti il territorio emiliano-romagnolo, quali componenti di questa Commissione.”
Subito mi suonano strane le parole non coinvolti in attività e consulenze riguardanti il territorio emiliano-romagnolo.
Perché hanno specificato “il territorio emiliano-romagnolo?”
E se ne hanno in altri territori?
E se ne hanno a livello nazionale?
E se ne hanno a livello europeo?
Il presidente di questa commissione si chiama Peter Styles: professore di geofisica applicata e ambientale della Keele 4 University del Regno Unito.
Il prof. Peter Styles fa anche parte del “Shale Gas Europe expert advisory panel” cioè del pannello di esperti della “Shale Gas Europe”.
Eccolo qui, direttamente sul loro sito:
shale gasshale gas
A leggere il tutto, pare quasi quasi che il Professor Peter Styles sia una persona indipendente e libera e che i consiglieri di questa Shale Gas Europe siano innocenti “esperti” accademici.
E invece. Invece continuando a indagare sul sito della “Shale Gas Europe” si scopre che questa altro non è che un consorzio per promuovere l’immagine positiva del fracking in Europa finanziata da Chevron, Shell, Halliburton, Cuadrilla, Statoil, Total.
Eccoli:
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Ora, tutto è possibile, ma nutro forti dubbi dell’imparzialità del Professor Peter Styles e come me, tutti dovrebbero. Anche se lui è integerrimo, credo che il suo conflitto di interessi sia veramente palese.
Uno che è direttamente collegato a sei grandi nomi dell’industria petrolifera non può essere adeguato a presiedere una commissione che in teoria dovrebbe guardare tutti gli eventi in modo disinteressato e indipendente.
E gli altri?
Beh, eccoli.
Paolo Gasparini:
Professore emerito di Geofisica dell’Università “Federico II” di Napoli. Qui il suo curriculum: vanta varie consulenze per Agip, Snam, Texaco, Unocal e per la Turkish Petroleum Corporation, TPAO, tutte ditte petrolifere.
Ernst Huenges: 
Direttore dell’International Centre for Geothermal Research al German Research Centre for Geosciences (GFZ, Postdam, Germania). Il GFZ anche se cerca di sembrare un ente indipedente e finanziato dal governo tedesco, e’ in realta’ sponsorizzato da Bayerngas, ENI, Exxon Mobil, Forest Oil, GDF Suez, Lundin, Marathon Oil, Petrobras, Petrochina, PetroSA, Repsol, RWE-DEA, Schlumberger, Statoil, Total, Vermilion Energy Trust, Wintershall AG.
Lo dicono loro stessi: GFZ sta per GeoForschungsZentrum e qui ringraziano i petrolieri per i fondi:
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Paolo Scandone: professore ordinario di Geologia strutturale, in quiescenza, dell’Università di Pisa. Il gruppo di Stratigrafia, Tettonica e Sismotettonica di cui era a capo assieme ad Etta Patacca e’ stato finanziato da: Enterprise Oil, ENI e British Gas.
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Stanislaw Lasocki 
Professore di Scienze della Terra; capo del Dipartimento di Sismologia e Fisica della Terra presso l’Istituto di Geofisica, Accademia delle Scienze, Varsavia, Polonia e direttore del Triggered and Induced Seismicity. Working group, per studiare la sismicita’ indotta. E’ l’unico per cui non paiono esserci collegamenti diretti con l’industria del petrolio e del gas.
Franco Terlizzese
Direttore generale per le risorse minerarie ed energetiche del Dipartimento per l’Energia del Ministero dello Sviluppo Economico. Il suo ufficio fu creato nel 2009, e al convegno di Assomineraria di quell’anno disse i due obiettivi primari del suo ufficio erano di snellire le procedure burocratiche per lo sfruttamento degli idrocarburi e ripartire con gli studi ambientali nell’Alto Adriatico, dove la subsidenza indotta dalle trivelle ha causato non pochi problemi in passato.
In tempi più recenti al Sole 24 ore ha dichiarato: “Il problema è che in Italia non si fanno pozzi esplorativi, necessari per uno sviluppo oculato dei giacimenti. È necessario spingere le compagnie petrolifere a investire in ricerca per creare un patrimonio di conoscenza che l’Italia e in particolare la Basilicata ci auguriamo riescano a ottenere“.
E cosa altro poteva concludere una commissione il cui presidente e i cui membri sembrano avere per la maggior parte legami con l’industria del petrolio e del gas?
Ma è ovvio: che è tutto a posto.
E infatti, il rapporto degli esperti di altissimo livello internazionale non coinvolti in attività e consulenze riguardanti il territorio emiliano-romagnolo afferma che gli idrocarburi in superficie ci sono sempre stati, che la reinizione di acqua salata nel sottosuolo è utile per ridurre la subsidenza, che i terremoti del 2012 sono accaduti in zone già interessate da eventi sismici in passato. Nessun dubbio, nessuna domanda, nessun proponimento per il futuro: se continuare o no a trivellare l’Emilia – e lo stivale tutto – o se, alla fine, è sempre cos’ ‘e niente.