mercoledì 13 novembre 2013

Sabaudia e Circeo, spiagge a rischio vendita

http://www.latina24ore.it/latina/75350/sabaudia-e-circeo-spiagge-a-rischio-vendita

13/11/2013, di . La maggior parte delle spiagge “attrezzate” dell’incantevole Parco Nazionale del Circeo che interessano il litorale dei comuni di Sabaudia e San Felice Circeo sono a rischio di vendita. Lo denunciano i Verdi facendo riferimento all’emendamento di alcuni senatori Pdl alla legge di stabilità. La denuncia parte dal presidente nazionale dei verdi Angelo Bonelli e il portavoce provinciale Giorgio Libralato.
“Saranno interessate – spiegano i Verdi – qualora l’emendamento venisse approvato, tutte le spiagge in concessione occupate da manufatti di qualsiasi genere connessi al suolo, ivi comprese le aree occupate da strutture e attrezzature alle medesime attività asservite. La vendita – continuano Bonelli e Libralato – delle spiagge chiamata sdemanializzazione è una cosa semplicemente vergognosa che va fermata perché sancirebbe la completa privatizzazione/cementificazione delle nostre coste, gli italiani e le future generazioni verrebbero espropriate di un bene che appartiene a loro ovvero alla collettività. L’Italia e’ proprio all’ultima spiaggia! Per contrastare tale proposta sciagurata ci saranno iniziative in diverse spiagge in Italia a cominciare da quella simbolo di Ostia. Anzichè aprire gli accessi al mare, ridare l’accesso e consentire la gradevole vista del paesaggio, specialmente nel tratto compreso tra Sabaudia il ponte Giovanni XXIII e Torre Paola si tenta di chiudere e privatizzare anche quelli rimasti pubblici come i numerosi stabilimenti che vanno da Bella Farnia alla stessa Torre Paola. L’esposto all’unione europea contro la svendita delle spiagge dell’emendamento D’Alì che viola il codice della navigazione e premia la speculazione è solo la prima delle iniziative in difesa delle spiagge libere per tutti”.

SIT-IN: NO ALLA VENDITA DELLE SPIAGGE - ROMA, GIOVEDI' 14 NOVEMBRE ore 15

TI ASPETTO,
DOMANI giovedì 14 novembre, alle ore 15 a Roma, ci sarà un sit-in presso piazza della Rotonda al Pantheon per protestare contro la vendita delle spiagge che si vorrebbe inserire, grazie ad emendamenti inizialmente presentati sia da senatori PDL che PD, nella Legge di Stabilità attualmente in discussione.
Spiegheremo le ragioni di chi crede che i beni comuni debbano essere tutelati e la spiaggia è un bene comune.
Chiediamo a chi condivide queste ragioni di partecipare per dire NO ALLA VENDITA DELLE SPIAGGE E PER LIBERARE DAL CEMENTO LE COSTE.
Basta con i lungomari trasformati in lungomuri di cemento !
Vai su su FACEBOOK, clikka partecipa e condividi:
https://www.facebook.com/events/258543260963797/?source=1
Leggi l'articolo di Nando Bonessio per saperne di più:http://www.laprimaveradiroma.org/ambiente/item/152-legge-di-stabilita-l-italia-all-ultima-spiaggia-con-la-scusa-di-fare-cassa-vendono-le-nostre-coste.html

Guarda il video del TG La7 con Angelo Bonelli:
http://tg.la7.it/politica/video-i769815

anche le spiagge di Sabaudia e San Felice nel parco del nazionale del Circeo sono a rischio svendita

La maggior parte delle spiagge "attrezzate" dell'incantevole Parco Nazionale del Circeo che interessano il litorale dei comuni di Sabaudia e San Felice sono a forte rischio svendita compreso nell'emendamento di alcuni senatori pdl alla legge di stabilità, lo affermano il presidente nazionale dei verdi Angelo Bonelli e il portavoce provinciale Giorgio Libralato. Infatti saranno interessate, qualora l'emendamento venisse approvato, tutte le spiagge in concessione"occupate da manufatti di qualsiasi genere connessi al suolo, ivi comprese le aree occupate da strutture e attrezzature alle medesime attività asservite". La vendita, continuano Bonelli e Libralato, delle spiagge chiamata sdemanializzazione è una cosa semplicemente vergognosa che va fermata perché sancirebbe la completa privatizzazione/cementificazione delle nostre coste, gli italiani e le future generazioni verrebbero espropriate di un bene che appartiene a loro ovvero alla collettività. L'Italia e' proprio all'ultima spiaggia! Per contrastare tale proposta sciagurata ci saranno iniziative in diverse spiagge in Italia a cominciare da quella simbolo di Ostia. Anzichè aprire gli accessi al mare, ridare l'accesso e consentire la gradevole vista del paesaggio, specialmente nel tratto compreso tra Sabaudia il ponte Giovanni XXIII e Torre Paola si tenta di chiudere e privatizzare anche quelli rimasti pubblici come i numerosi stabilimenti che vanno da Bella Farnia alla stessa Torre Paola. L'esposto all'unione europea contro la svendita delle spiagge dell'emendamento D'Alì che viola il codice della navigazione e premia la speculazione, concludono Bonelli e Libralato, è solo la prima delle iniziative in difesa delle spiagge libere per tutti.

svendita spiagge UN AFFARE PER POCHI Bonelli: “Lo Stato ottiene solo 102 milioni I titolari dei bagni incassano 10 miliardi

il fatto quotidiano 13 novembre 2013 “CON LA PROPOSTA di vendere le spiagge italiane siamo proprio all’ultima spiaggia”. Afferma Angelo Bonelli, presidente dei Verdi (che giovedì faranno un sit-in piazza del Pantheon a Roma), e snocciola le cifre della beffa: “In Italia sono state date dallo Stato italiano, nel corso degli anni, prima dalle capitanerie di porto e poi dalle regioni, 30.000 concessioni sul demanio marittimo legate a 15.000 stabilimenti balneari che insistono su 600 comuni costieri. Il tutto è avvenuto senza alcuna gara di evidenza pubblica. Le concessioni si sono trasferite nel corso degli anni da padre in figlio o vendute attraverso la creazione di società di gestione di servizi. Una monarchia”. E sui mancati introiti per le casse Italiane spiega: “Quanto ha incassato lo Stato dalle concessioni sul demanio marittimo? 102 milioni di euro nel 2012, mentre nel 2010-2011 circa 90 milioni di euro e gli anni precedenti la metà . In sintesi lo Stato incassa 3.400 euro a concessione, mentre gli incassi che gli stabilimenti balneari realizzano ogni anno in Italia si aggirano intorno ai 10 miliardi di euro, anche se i ricavi ufficiali parlano di 2 miliardi di euro”. Altro aspetto del problema sono gli affitti bassissimi: “I canoni di concessione sono molto bassi, se non ridicoli. In base alla legge per le aree scoperte dovrebbero pagare 1,27 euro centesimo metro/ q all'anno e per le aree dove insistono attività 2,12 euro mq anno. Un regalo. Ma nonostante ciò, queste tariffe sono bloccate da una proroga dello Stato che non applica questi adeguamenti”. E ora l’ultimo colpo di coda della politica.

Pd, Pdl e governatori: inciucio all’ultima spiaggia L’ACCORDO GIÀ C’È: NESSUNA VENDITA, CONCESSIONI TRENTENNALI A PREZZI RIDICOLI L’INGANNO

La soluzione, nonostante il Pd abbia ritirato gli emendamenti, è già scritta dalla senatrice Granaiola che partecipa ai sit-in con i balneari Il fatto quotidiano 13 novembre 2013 di Marco Palombi Le spiagge – o meglio gli spazi di pertinenza economica degli stabilimenti balneari – non verranno vendute (o sdemanializzate, come preferiscono dire i proponenti), però quasi: semplicemente le concessioni in essere verranno prorogate per la bellezza di trent’anni ai ridicoli prezzi attuali. All’ingrosso quello che voleva fare Giulio Tremonti alla fine della legislatura 2001-2006 e a cui il centrosinistra si oppose levando al cielo alti lai sui beni pubblici. Questo è l’accordo quasi segreto – raccontano fonti di maggioranza – che Pd, Pdl, Lega e presidenti di regione hanno già trovato in questi giorni: i dieci emendamenti fotocopia – quelli sulla vendita – presentati dai berlusconiani, dai democratici e dal Carroccio servono solo a rendere più digeribile il “compromesso” finale. Almeno non le abbiamo vendute, potranno giustificarsi nel Pd, il partito che registra il maggior numero di contrari alla proposta. L’INTESA, si diceva, è quasi segreta perché in realtà l’opera - zione propagandistica è già iniziata: “Il Pd alzi la voce: le spiagge sono di tutti – gonfia il petto il presidente della Toscana Enrico Rossi –. In realtà il problema delle concessioni degli stabilimenti marittimi si può risolvere con concessioni più lunghe”; “sarebbe politicamente inaccettabile e tecnicamente sbagliato – scandisce il ministro dell’Ambiente Andrea Orlando –. Un conto è interrogarsi su come evitare che la normativa europea impatti in modo eccessivamente negativo sulle imprese; un altro è pensare di aggirarla svendendo il patrimonio ambientale e paesaggistico”. Il riferimento è alla direttiva Bolkenstein, che imporrebbe la messa a gara di questo tipo di concessioni. La soluzione tecnica, peraltro, è già scritta nell’emendamento presentato dalla viareggina Manuela Granaiola (una vera eroina dei concessionari, tanto da partecipare persino ai loro sit in con relativi, accorati discorsi alle “care ragazze e ragazzi del mondo balneare”) e firmato da altri otto senatori del Pd prima di essere ritirato, ieri sera, dopo una giornata di polemiche: oltre alla “sdemania - lizzazione” degli edifici pertinenziali – per capirci, cose tipo i ristoranti – l’ultimo comma propone proprio una proroga dai venti ai trent’anni delle concessioni in essere sulle spiagge. Facile fin d’ora prevedere, alla fine, il riavvio della procedura di infrazione Ue che i governi Berlusconi e Monti bloccarono promettendo di far partire le gare. Ci si potrebbe chiedere: ma qual è il problema? Questo: lo Stato italiano svende (o concede per decine di anni, che è quasi lo stesso) le spiagge italiane e, per di più, si rifiuta di applicare la legge e incassare quanto sarebbe giusto. “Quan - do fu Tremonti a proporre di allungare la concessione intorno ai 50 anni la sinistra, giustamente, si oppose con forza – ri - corda Angelo Bonelli, lo scopritore dell’emendamento del Pd – Perché oggi fa proposte che ricordano quelle di Tremonti?”. Il fatto è, insiste il leader dei Verdi, “che si trattano le spiagge degli italiani come un fatto privato”: “Le imprese, poi, hanno già avuto quelle concessioni in assenza di qualsiasi gara di evidenza pubblica e sapevano perfettamente che la legge prevedeva (e prevede) che la proprietà sarebbe rimasta allo Stato”. I “BALNEARI”, però, sono una potenza economica con una provata capacità di influenza sulla politica. Il risultato è il seguente: l’erario rinuncia a parecchi soldi realizzando di fatto un trasferimento di ricchezza dalla collettività all’imprendi - toria privata. Facciamo due conti: in Italia ci sono circa 32 mila concessioni sul demanio marittimo che nel 2012 hanno fruttato alle casse pubbliche 102 milioni di euro. In media fa poco più di tremila e cento euro a stabilimento. Ecco un esempio illustre: il “Twiga” di Flavio Briatore e Daniela Santanchè a Marina di Pietrasanta, per dire, paga 8.000 euro l’anno e a bilancio 2012 registra un fatturato di circa quattro milioni di euro e utili per quasi 400 mila. Il paradosso è che la legge italiana fin dal 2003 (e con più incisività dal 2006) aveva previsto “l’ade - guamento dei canoni demaniali”, cioè il loro aumento: peccato che il relativo decreto attuativo non sia mai arrivato. “Questo significa che in dieci anni – spiega ancora Bonelli – lo Stato ha rinunciato a incassare circa cinque miliardi di euro, cioè quanto il Pdl prevede di incassare una tantum con la vendita. E la mia è una stima per difetto”. UN AFFARE PER POCHI Bonelli: “Lo Stato ottiene solo 102 milioni I titolari dei bagni incassano 10 miliardi” “CON LA PROPOSTA di vendere le spiagge italiane siamo proprio all’ultima spiaggia”. Afferma Angelo Bonelli, presidente dei Verdi (che giovedì faranno un sit-in piazza del Pantheon a Roma), e snocciola le cifre della beffa: “In Italia sono state date dallo Stato italiano, nel corso degli anni, prima dalle capitanerie di porto e poi dalle regioni, 30.000 concessioni sul demanio marittimo legate a 15.000 stabilimenti balneari che insistono su 600 comuni costieri. Il tutto è avvenuto senza alcuna gara di evidenza pubblica. Le concessioni si sono trasferite nel corso degli anni da padre in figlio o vendute attraverso la creazione di società di gestione di servizi. Una monarchia”. E sui mancati introiti per le casse Italiane spiega: “Quanto ha incassato lo Stato dalle concessioni sul demanio marittimo? 102 milioni di euro nel 2012, mentre nel 2010-2011 circa 90 milioni di euro e gli anni precedenti la metà . In sintesi lo Stato incassa 3.400 euro a concessione, mentre gli incassi che gli stabilimenti balneari realizzano ogni anno in Italia si aggirano intorno ai 10 miliardi di euro, anche se i ricavi ufficiali parlano di 2 miliardi di euro”. Altro aspetto del problema sono gli affitti bassissimi: “I canoni di concessione sono molto bassi, se non ridicoli. In base alla legge per le aree scoperte dovrebbero pagare 1,27 euro centesimo metro/ q all'anno e per le aree dove insistono attività 2,12 euro mq anno. Un regalo. Ma nonostante ciò, queste tariffe sono bloccate da una proroga dello Stato che non applica questi adeguamenti”. E ora l’ultimo colpo di coda della politica.

Valle dei kiwi, veleni «secretati» adiacenti alla discarica di Borgo Montello

http://www.ilmanifesto.it/attualita/notizie/mricN/10113/
Andrea Palladino
12.11.2013
Un rapporto dell'Arpa: arsenico e metalli pesanti vicino alla discarica di Borgo Montello. Un dossier dell'Agenzia ambientale datato marzo 2012 e mai reso noto mostra un forte inquinamento delle acque vicino alle coltivazioni

Ci sono luoghi chiamati con nomi suggestivi. C'era la Campania felix, trasformata nella Terra dei fuochi. E c'era - molto più a nord - un giardino nato dalle terre di bonifica, strappato alle paludi, sul confine tra le province di Roma e Latina. "Valle d'oro" è il toponimo indicato sulle mappe. Forse un migliaio di ettari: insalata, pomodori, uva da tavola, venduta in tutta l'Italia. Ma soprattutto il kiwi dop, frutto trapiantato qui dalla Nuova Zelanda trent'anni fa. D'oro, perché l'agricoltura, da queste parti, era la vera miniera dei coloni veneti arrivati negli anni trenta per prosciugare questa terra, ararla e trasformarla nel granaio del paese.
Al confine est della valle c'è dagli anni '80 una macchia grigia. Prima piccola, appena visibile. Poi un mostro da 50 ettari, un tumore che si allarga sulla terra, lambendo i confini del fiume Astura. Ha le sue tossine, quel bulbo. Piombo, arsenico, ferro, manganese. Ed ha un altro business, la monnezza. Moneta contante per chi la gestisce. Le acque profonde delle falde, lambiscono la coltivazioni, uniscono il tumore scavato nelle vallate con i giardini profumati dei kiwi. In mezzo c'è un fiume, l'Astura, e una terra di nessuno chiamata S0. Tutto iniziò da lì, da un vallone dove i camion del comune di Latina cominciarono nel 1973 a scaricare la monnezza. Poi arrivarono le altre buche, una, cinque, alla fine nove invasi, con milioni di tonnellate di rifiuti.
Il peggior incubo di chi qui è nato e cresciuto si è dimostrato alla fine reale. Dal 2009 i tecnici dell'Arpa Lazio hanno iniziato cercare la traccia dei veleni fuori dagli invasi della discarica cresciuta a dismisura. C'era il timore che le sostanze normalmente presenti nelle falde avessero superato il fiume, confine labile con le coltivazioni. Dal 2010 l'ente ambientale che dipende dalla Regione Lazio ha iniziato a prelevare i campioni delle falde acquifere sui bordi dei campi, oltre il fiume. Il risultato è un pugno nello stomaco. L'arsenico, ad esempio: prendendo come limite di legge i 10 microgrammi per litro, nei due pozzi della rete piezometrica che contorna il fiume Astura dalla parte della Valle d'oro l'Arpa ha trovato valori fino a 30 volte superiori. Nel giugno del 2010, ad esempio, un campione conteneva 260 microgrammi di arsenico per litro; nel gennaio del 2011 in un altro prelievo è stata riscontrata una concentrazione di 382 microgrammi per litro. Valori che vanno aldilà di ogni limite. E ancora, il pericolosissimo piombo: i grafici del rapporto che il manifesto ha potuto consultare mostrano istogrammi ben oltre i valori consentiti. E infine il ferro, il manganese, con tassi di concentrazione oltre le medie della zona.
Non è solo un problema di veleni, trovati nelle falde a pochi metri dalle coltivazioni pregiate di frutta e verdura. È una questione di silenzio. Questi dati sono contenuti in un rapporto mai divulgato alla popolazione, partito dagli uffici dell'Arpa Lazio il 20 marzo del 2012. Un secondo rapporto - consegnato lo scorso maggio - è ancora introvabile, mantenuto sotto riserbo dagli uffici ambientali della Regione Lazio. La scorsa settimana diverse testate di Latina lo avevano chiesto, dopo che si era sparsa la voce su una contaminazione delle falde acquifere della zona agricola vicina a Borgo Montello. Il commissario dell'Arpa Lazio, Corrado Carruba, quei dati non li ha voluti fornire: «Manca una valutazione finale dell'Ispra», aveva spiegato. La Regione Lazio ha fatto di più, diffondendo un comunicato stampa perentorio: «I dati non sono ancora disponibili perché incompleti».
Di avviso diverso l'Ispra, chiamata in causa dalla agenzia regionale diretta da Carruba: «Si ritiene che i dati siano pubblici e che siano accessibili presso gli Enti preposti», hanno risposto ad una richiesta specifica del manifesto i dirigenti dell'istituto sotto la responsabilità del ministero dell'ambiente. Per poi aggiungere, chiarendo ulteriormente il quadro: «L'approfondimento tecnico del modello concettuale del sito insistente nell'area delle discariche di Borgo Montello, è del tutto indipendente dal procedimento amministrativo di bonifica e/o messa in sicurezza che resta in capo agli enti preposti». Un concetto che, tradotto, suona più o meno come una smentita della versione divulgata dalla regione e dall'Arpa Lazio.
Nessuno, da quando il rapporto è stato consegnato alla regione e al comune di Latina, ha avvisato del pericolo la popolazione e i coltivatori. Non risulta al manifesto nessuna campagna di analisi specifica delle acque utilizzate per la coltivazione della frutta e degli ortaggi nella zona di Valle d'oro. Eppure l'arsenico è un cancerogeno di prima classe, capace di concentrarsi nei prodotti agricoli e, alla fine della filiera, nel corpo. Forse quei veleni sono confinati nei due pozzi utilizzati per il monitoraggio, e forse i dati raccolti lo scorso anno - numeri tenuti ancora sotto chiave - potranno rassicurare tutti. Difficile dirlo, visto il silenzio che oppongono le istituzioni regionali. Quello che è certo sono le morti, diffuse attorno alla discarica e ai terreni che i casalesi qui controllavano. In una sola via, a pochi metri dal casolare sequestrato agli Schiavone, dove gli abitanti ricordano l'arrivo dei camion carichi di fanghi, su dodici famiglie si contano cinque morti per tumore nell'ultimo anno e mezzo: «Dovete valutare con attenzione quello che noi avvocati chiamiamo nesso causale», rispondono dall'Arpa Lazio. Per ora da queste parti aspettano i dati sui veleni.

Giovedi prossimo (14 novembre ) alle ore 15 a Roma, ci sarà un sit-in presso piazza della Rotonda al Pantheon per protestare contro la vendita delle spiagge.

Spiegheremo le ragioni di chi crede che i beni comuni debbano essere tutelati e la spiaggia è un bene comune.
Chiediamo a chi condivide queste ragioni di partecipare per dire NO ALLA VENDITA DELLE SPIAGGE E PER LIBERARE DAL CEMENTO LE COSTE.
Basta con i lungomari trasformati in lungomuri di cemento !

NO ALLA VENDITA DELLE SPIAGGE

www.verdi.it

Autore: Redazione web
Con la proposta di vendere le spiagge italiane siamo arrivati proprio all'ultima spiaggia. Ma vediamo i numeri di uno scandalo tutto italiano che non ha paragoni in tutto il mondo per quanto riguarda i privilegi e la cementificazione delle delle coste.

In Italia lo Stato ha dato nel corso degli anni, prima attraverso le capitanerie di porto e poi con le regioni, 30.000 concessioni sul demanio marittimo legate a 15.000 stabilimenti balneari che insistono su 600 comuni costieri. Il tutto è avvenuto senza alcuna gara di evidenza pubblica. Le concessioni si sono trasferite, nel corso degli anni, di padre in figlio o sono state vendute attraverso la creazione di società di gestione di servizi. Una vera e propria monarchia.

Quanto ha incassato lo Stato dalle concessioni sul demanio marittimo? 102 milioni di euro nel 2012. Nel periodo 2010-2011 la cifra scende a circa 90 milioni di euro mentre, per gli anni precedenti, si arriva alla metà. In media lo stato incassa 3.400 euro per ogni concessione concessione, mentre gli incassi che gli stabilimenti balneari realizzano ogni anno in Italia si aggirano intorno ai 10 miliardi di euro, anche se i ricavi «ufficiali» parlano di solo 2 miliardi di euro.

I canoni di concessione sono molto bassi se non ridicoli. In base alla legge 27 dicembre 2006 n. 296 comma 251 per le aree scoperte dovrebbero pagare 1,27 euro centesimo metro/q all'anno e per le aree dove insistono attività 2,12 euro metro/q anno. Un regalo! Ma nonostante ciò le tariffe continuano ad essere bloccate da una proroga dello Stato che non applica questi adeguamenti.

Ma non finisce qui. Nonostante una legge dello Stato italiano lo prevedesse in relazione anche ad una disposizione europea del 1993, il governo negli ultimi 10 anni non ha provveduto a inserire nel rendiconto generale dello Stato (ossia nel bilancio) le entrate derivanti dalle concessioni del demanio marittimo. Quindi, negli ultimi 10 anni, è «sparita» una entrata, seppur inadeguata e sottodimensionata, come abbiamo spiegato. Com'è potuto accadere tutto questo? Perché c'è un ritardo nell'accatastamento delle spiagge italiane, ma se quelle cifre fossero state inserite nel rendiconto generale dello Stato e quindi messe a bilancio, avremmo evitato agli italiani qualche taglio, ad esempio nella sanità o nel trasporto pubblico.

L'idea di «far cassa» con la svendita delle nostre spiagge è una follia. Lo è ancor di più se si considera un tema sottovalutato e che, invece rischia di distruggere le nostre coste: «il consumo delle spiagge italiane». Degli 8.000 km  circa di coste italiane , 4.000 km sono occupati dalle concessioni sul demanio marittimo che di fatto hanno espulso i cittadini o dal vedere il mare con una trasformazione dei lungomari in lungomuri o dal potere accedere alla spiaggia. Un processo di privatizzazione, nonostante la legge garantisca il libero accesso al mare norma voluta da noi Verdi e che gli organi proposti al controllo non fanno rispettare.

Ma a quanto corrisponde il consumo di spiagge italiane in favore di questo processo di privatizzazione/cementificazione? Prendendo come esempio tipo una concessione da 2.000 metri quadri (le concessioni vanno da un minimo di 300 mq siano ad un max 40-50 mq) la superficie occupata/cementificazione è di 60 milioni di mq pari a 6.000 ettari. Una cifra che non è paragonabile a nessun paese d'Europa. In Francia esiste una fondazione pubblica che si chiama «Conservatoire du litoral» che acquisisce coste e spiagge al bene comune, per non parlare dell'Inghilterra ma anche degli stessi Stati Uniti d'America culla del liberismo economico.

La vendita delle spiagge chiamata sdemanializzazione è una cosa semplicemente vergognosa che va fermata perché sancirebbe la completa privatizzazione/cementificazione delle nostre coste, gli italiani e le future generazioni verrebbero espropriate di un bene che appartiene a loro ovvero alla collettività. L'Italia e' proprio all'ultima spiaggia!


Angelo BONELLI
Presidente dei Verdi

Di seguito il testo completo dell'emendamento presentato dai senatori Pdl
Art 3 bis - Ridefinizione delle aree del demanio marittimo a scopo turistico ricreativo e misure per favorire la stabilità delle imprese balneari, gli investimenti, la valorizzazione delle coste.

1. Le aree ricomprese nell’ambito del demanio marittimo oggetto di concessione per l’esercizio di attività con finalità turistiche ricreative di cui all’art. 01 Legge 4.12.1993 n. 494 ed occupate da manufatti di qualsiasi genere connessi al suolo, ivi comprese le aree occupate da strutture e attrezzature alle medesime attività asservite, sono individuate con atto ricognitivo dirigenziale dall’Agenzia del Demanio ed escluse dal demanio marittimo, in quanto non più utilizzate per i pubblici usi del mare, con decreto del ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con quello dell’economia e finanze. L’inclusione nel decreto produce il passaggio dei beni al patrimonio disponibile.

2. L’occupazione e l’uso delle aree e dei manufatti erariali, a seguito dell’emanazione del decreto di cui al precedente comma, prosegue, nella fase transitoria, in favore del titolare della concessione demaniale attuale, sino alla piena nuova attribuzione delle aree delle concessioni in oggetto.

3. Stante le ragioni di oggettiva trasformazione di queste aree che hanno ormai perso l’originale caratteristica e quelle di pubblico interesse determinate dalla necessità di contribuire efficacemente ad un rapido risanamento dei conti pubblici, le aree individuate ai sensi del comma 1 sono cedute con riconoscimento, a favore del concessionario attuale, del diritto di opzione al loro acquisto, da esercitarsi entro 180 giorni dall’emanazione del decreto interministeriale di cui al successivo comma 4, nonché il diritto di prelazione per il caso di vendita ad un prezzo inferiore a quello di esercizio dell’opzione medesima. In ogni caso e fatto salvo l’obbligo in capo a quest’ultimo di garantire a chiunque l’accesso al mare e di mantenere la destinazione turistico-ricreativa esistente delle predette aree e strutture. E’ posto il divieto assoluto di esercitare il diritto di opzione per le superfici coperte realizzate in assenza dei titoli autorizzatori validi o in presenza di abusi edilizi.

4. La cessione di cui al comma 3 dovrà avvenire al prezzo che verrà stabilito da apposito decreto emanato dal Ministro dell’Economia e delle finanze e dal Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentite la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano e le organizzazioni di settore maggiormente rappresentative sul piano nazionale.

5. Le restanti aree facenti parte della medesima concessione di cui al comma 1, allo scadere della proroga di cui al decreto-legge 18 ottobre 2012 n. 179 convertito, con modificazioni , dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, sono oggetto di nuova assegnazione secondo i principi della concorrenza con riconoscimento del diritto di prelazione legale in favore del concessionario optante, sulla base di un piano dei servizi senza contenuto economico, al fine di preservare l’unicità dell’offerta balneare, la tutela ambientale e la specificità territoriale e culturale dei servizi prestati.

6. Al concessionario non optante, allo scadere della proroga legale, è riconosciuto dal concessionario subentrante un indennizzo per gli investimenti e i valori commerciali creati i cui criteri saranno definiti con apposito decreto del Ministro dell’Economia e Finanze.

7. Le risorse derivanti dalla cessione dei diritti di proprietà delle aree ricadenti al comma 1 confluiscono, per un valore pari al 50% del totale, in un apposito fondo che dovrà essere utilizzato a garanzia dei mutui contratti per la realizzazione di investimenti nel settore turistico, con caratteristiche e tipologie individuati con successivo Decreto del Ministro delle Infrastrutture in concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze e con il Ministro dei beni culturali e del turismo.
L. STABILITA': BONELLI (VERDI), SPIAGGE? ESPOSTO UNIONE EUROPEA CONTRO FURTO ANNUNCIATO EMENDAMENTO D'ALI' VIOLA CODICE DELLA NAVIGAZIONE E PREMIA LA SPECULAZIONE INVECE DI SVENDERE LE SPIAGGE LO STATO SPIEGHI MANCATI INTROITI D CANONI CONCESSIONI
"L'emendamento D'Ali' e' in totale contrasto con l’art. 35 del Codice della navigazione e anche con l’art. 829 del Codice civile, perché se fosse approvato le aree del demanio marittimo non sarebbero piu' utilizzabili per usi pubblici del mare: la sdemanializzazione servirebbe solo a far diventare l'uso del mare da pubblico a privato favorendo le lobby e i soliti noti che fino ad oggi hanno realizzato ricchezze pagando concessioni risibili". Lo dichiara il Presidente dei Verdi Angelo Bonelli che aggiunge: "Domani mattina noi Verdi presenteremo un esposto presso l'Unione europea su quello che riteniamo un furto annunciato fatto nei confronti della collettività italiana". "La vendita delle spiagge viene fatta allo scopo di far mantenere la proprieta' di strutture che sono state realizzate sulle spiagge: questa e' una scelta che io ritengo 'schifosa' perche' il Codice della navigazione prevede che le opere da realizzare sulle spiagge debbano essere 'amovibili' mentre quelle che permangono, perché 'fisse', vengono acquisite dallo Stato senza alcun rimborso - spiega il leader ecologista -.

L'articolo 49 del Codice della navigazione (Devoluzione delle opere non amovibili) non lascia dubbi: 'Salvo che sia diversamente stabilito nell'atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la Facoltà dell'autorita' concedente di ordinarne la demolizione con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato'". "L'emendamento D'Ali e' 'contra legem' ed e' quindi contro lo Stato e gli italiani, perche', addirittura, prevede rimborsi per le strutture realizzate sul demanio: un premio alle speculazioni e al cemento che hanno distrutto le spiagge - prosegue -. In Italia nel corso degli anni si e' edificato in modo selvaggio e indiscriminato sulle spiagge il 56% delle nostre coste e' aggredito dal cemento: il record spetta al Lazio e Abruzzo con il 63%, seguono Emilia Romagna, Sicilia, Liguria e le altre regioni - conclude Bonelli -.

Le spiagge non possono essere vendute e tantomeno la durata delle concessioni allungate sino a 50/70 anni. Bisogna far semplicemente pagare i canoni cosi' come prevede la legge e lo Stato deve spiegare agli italiani, ai quali negli ultimi anni ha chiesto sacrifici pesantissimi, perche' in questi stessi anni ha rinunciato ad incassare canoni demaniali che avrebbero portato nelle casse pubbliche almeno 500 milioni di euro a fronte dei 102 milioni incassati". Roma, 10 novembre 2013

Legge di Stabilità. L’Italia all’ultima spiaggia. Con la scusa di fare cassa vendono le nostre coste

Legge di Stabilità. L’Italia all’ultima spiaggia. Con la scusa di fare cassa vendono le nostre coste Scritto da 

Può una crisi economica comportare una scelta di governo così oscena ed antidemocratica come quella di mettere in vendita per l’ennesima volta un bene comune, patrimonio di tutti?
No, nulla può giustificare la proposta di sdemanializzazione delle spiagge presentata con un emendamento del PDL alla legge di stabilità attualmente in discussione al Parlamento.
E’ qualcosa di semplicemente schifoso, che va fermato perché sancirebbe la completa privatizzazione di una delle caratteristiche “bellezze paesaggistiche” del nostro Paese con la conseguente ulteriore cementificazione delle nostre coste.
Invece di vedere aumentare la tutela di questo patrimonio, come conseguenza di un’eventuale approvazione della proposta i cittadini italiani e le future generazioni verrebbero espropriati di un bene che appartiene a loro ovvero alla collettività.
Di fatto si tratta di un’operazione di tutela di interessi per una lobby che è sempre stata molto forte ed è stata sempre spalleggiata da una politica pronta a mantenere promesse ed a ricambiare favori elettorali.
In Italia, dal dopoguerra ad oggi, sono state rilasciate dallo Stato italiano, prima dalle capitanerie di porto e poi dalle regioni, 30mila concessioni sul demanio marittimo legate a 15mila stabilimenti balneari che insistono su 600 comuni costieri.
Il tutto è avvenuto sempre senza alcuna gara di evidenza pubblica: le concessioni, prima nominali, si sono trasferite nel corso degli anni da padre in figlio, successivamente sono state vendute attraverso la creazione di società di gestione di servizi: un vero e proprio “diritto ereditario” mai volutamente corretto o regolamentato dalle istituzioni pubbliche.
La “sdemanializzazione” sarebbe anche un espediente per aggirare quanto da tempo ci chiede l’Unione Europea: l’Italia si adegui alla direttiva Bolkestain, assegnando in concessione gli arenili demaniali in base ad aste pubbliche e a criteri trasparenti.
E mentre si perpetrano questi trattamenti di favore le spiagge italiane sono diventate le più cementificate d'Europa, gli accessi al mare sono spesso consentiti, violando la legge, solo attraverso il pagamento di un pedaggio.
I lungomari si sono stati trasformati in un lungomuri di cemento che impediscono l'accesso e la vista mare nonché la possibilità di godere liberamente del bene-paesaggio.
Questa situazione riguarda circa 4.000 km di spiaggia degli 8.000 che costituiscono le coste italiane.
Se si considera che quasi 3.000 km di costa sono rocciose o occupate da servizi portuali, immediatamente si comprende che in proporzione le “spiagge libere” sono una percentuale irrisoria ed assolutamente sproporzionata a tutto danno di chi vorrebbe godere liberamente del diritto alla balneazione.
Cementificazione selvaggia
Le concessioni complessivamente riguardano un’enorme estensione di territorio e di fatto, soprattutto a causa della mancata vigilanza degli organi proposti al controllo, sono oggetto di un progressivo processo di privatizzazione: come detto, spesso la legge che garantisce il libero accesso al mare, fatta approvare con fatica dai Verdi e dagli Ecologisti alla fine degli anni ‘90, viene del tutto ignorata.
Per non parlare della cementificazione selvaggia che, a causa dell’assenza di qualsiasi minimo controllo, ha sempre seguito le concessioni.
Come abbiamo detto, in Italia si contano circa 30.000 concessioni che, partendo dall’estensione media di una concessione valutata in circa 3.000 metri quadri, sviluppano complessivamente 90 milioni di m2 pari a 9.000 ettari.
La media di superficie occupata/cementificata è in media del 20% dell’estensione delle concessioni, ossia tra stabilimenti, servizi, cabine, piscine, palestre, ristoranti, bar, locali notturni, negozi, alloggi personale, centri benessere, equivalgono ad una “colata di cemento” di circa 18.000.000 (diciottomilioni) di m2 direttamente “fronte mare”.
Una cifra che non è paragonabile a nessun paese d'Europa. In Francia esiste una fondazione pubblica che si chiama Conservatoire du littoral che acquisisce coste e spiagge tutelandole come
bene comune, per non parlare dell'Inghilterra o degli stessi Stati Uniti d'America culla del liberismo economico.
Ma c’è di più: oltre il danno la beffa
Come è noto le nostre spiagge sono oggetto di erosione a causa dell’antropizzazione selvaggia che spianando le dune, cementificando l’entroterra e costruendo miriadi di porti turistici, ha modificato l’ecosistema che non ha retto all’impatto.
E’ sicuro che in un domani prossimo i gestori privati delle spiagge chiederanno allo Stato di sostenere le spese per le opere di difesa necessarie per impedire alle mareggiate di spazzare via tutto, realizzando barriere, effettuando ripascimenti, sistemando massi di pietra e tetrapodi di cemento.
E non sarà più possibile prevedere, neppure lontanamente, di rimuovere e spostare con costi minori ed effetti migliori impianti e attrezzature commerciali-balneari che l’attuale legislazione definisce come “precarie“ e sono la concausa della modificazione dell’habitat costiero.
Ma quanto incassa (o sarebbe meglio dire “non incassa”) lo Stato dalle concessioni del demanio marittimo?
Dai dati ufficiali dell’Agenzia del Demanio Marittimo si riscontrano 102 milioni di euro nel 2012, mentre nel 2010-2011 circa 90 milioni di euro e gli anni precedenti la metà.
In sintesi lo stato incassa 3.400 euro a concessione, mentre gli incassi che gli stabilimenti balneari realizzano ogni anno in Italia si aggirano intorno ai 10 miliardi di euro.
Gli incassi così irrisori sono dovuti ai bassi canoni di concessione applicati in base alla legge 27 dicembre 2006 n. 296 comma 251 che prevede: per le aree scoperte destinate alla balneazione 1,27 € x metro2/anno e per quelle dove insistono attività commerciali 2,12 € x metro2/anno.
Ma nonostante questo, l’applicazione delle tariffe è bloccata da una proroga governativa che impedisce l’entrata in vigore degli adeguamenti del 2006.
Lo scandalo appare più evidente se si passa a calcolare l’effettivo canone che questi gestori privati delle spiagge pagano attualmente alla collettività: in pratica uno stabilimento di 10 mila metri2 (1 ettaro) corrisponde un canone, applicando l’indice fermo a prima del 2006, irrisorio di 1 euro e 10 centesimi a metro2/annuo per complessivi 11.000 €/anno che equivalgono a 900 €/mese mentre incassa milioni di euro considerando solo il fatturato denunciato all’Agenzia delle Entrate.
Un vero e proprio regalo
Ma c’è di più: nonostante la Legge lo prevedesse, in applicazione di una disposizione europea del 1993, il governo negli ultimi 10 anni non ha provveduto ad inserire le entrate delle concessioni nel Rendiconto Generale dello Stato e quindi di conseguenza nel bilancio non compaiono i ricavi derivanti dalle concessioni del demanio marittimo.
Quindi negli ultimi 10 anni è venuta meno la contabilizzazione di una somma importante, seppur inadeguata.
Perché è stato fatto?
Perché c'è un ritardo nell'accatastamento delle cubature realizzate dai concessionari sulle spiagge italiane?
Forse se quelle cifre fossero state inserite nel rendiconto generale dello Stato, e quindi del bilancio, più di qualcuno avrebbe potuto rendersi conto dell’enorme truffa?
Di certo avremmo evitato agli italiani qualche taglio, ad esempio sulla sanità, sul trasporto pubblico o sull’istruzione.
La vendita delle spiagge è un atto indecente che va assolutamente fermato.
Non possiamo consentire che venga cancellato un diritto basilare, esistente da sempre, quello del libero accesso alle spiagge e al mare che finora è stato garantito proprio dalla demanialità.
Occorre mobilitarsi per impedire questa operazione disastrosa.
Nel 2011 una analoga operazione, che concedeva le spiagge ai soggetti già titolari di concessione per 90 anni, contenuta nel decreto sviluppo, venne bloccata dal Presidente della Repubblica e le concessioni vennero ridotte a 20 anni senza per questo riuscire a soddisfare le richieste della UE.
Appelliamoci di nuovo al Presidente, mobilitiamo scienziati, università, geologi, paesaggisti, investiamo il Ministero dell'Ambiente e quello dei Beni Culturali, coinvolgiamo tutti coloro che riceverebbero un danno non risarcibile da questa operazione priva di di sostenibilità; muoviamoci tutti, fra pochi giorni potrebbe essere troppo tardi.
Come Verdi Ecologisti siamo pronti alle “barricate democratiche" e ad assediare pacificamente il Parlamento per difendere un bene comune che “appartiene a tutti".
Quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa un dovere!

domenica 3 novembre 2013

Campania: i rifiuti di Gomorra, la Fukushima italiana

di | 3 novembre 2013
Milioni di tonnellate di rifiuti ospedalieri, industriali e addirittura radioattivi stipati dappertutto: sotto le sopraelevate della superstrada Caserta-Napoli, vicino ai campi sportivi, nelle cave per l’estrazione della sabbia, sotto le coltivazioni, dove pascolano le bufale, persino nei corsi d’acqua e nei laghi.
La desecretazione dell’audizione del pentito Carmine Schiavone nell’ambito della commissione d’inchiesta sulle eco-mafie, fornisce la prova della gravità dello scempio ambientale compiuto lungo decine di anni in Campania e nel basso Lazio.
La rimozione del segreto su un documento tanto importante è una buona notizia ovviamente, giacché permette ai cittadini (in primis agli abitanti di quei luoghi) di comprendere appieno le modalità attraverso cui una tra le zone più belle e fertili d’Italia è stata trasformata in un ricettacolo di morte e degrado.
Ciò che meno convince è la tempistica dell’intervento: la desecretazione è intervenuta ben 16 anni dopo le dichiarazioni del boss, che in sostanza ripetevano (corredate dai documenti) le informazioni che aveva già fornito agli organi inquirenti nel periodo successivo al suo pentimento, cioè dal 1993 in poi.
Il ritratto che ne esce è quello di un apparato il cui agire risultava “legittimato” dagli appoggi della politica locale (e anche da una cittadinanza a volte ignara, a volte impaurita, a volte distratta) che ha infettato ogni scampolo di libertà d’impresa e l’intero ciclo della gestione dei rifiuti. Tale sistema usava il territorio come fattore di produzione del denaro: i protagonisti importavano dietro grandi compensi i rifiuti dal nord Italia e da mezza Europa, in cambio offrivano buche da riempire. Dunque succedeva ciò che Roberto Saviano ha raccontato in Gomorra ormai 7 anni fa, destando un vespaio di polemiche.
Si leggono nel documento, poi, frasi di questo tenore, pronunciate per bocca di un mafioso: “La mafia e la camorra non potevano esistere se non era lo Stato… Se le istituzioni non avessero voluto l’esistenza dei clan questo avrebbe forse potuto esistere?”. A parte i toni e la caratura del personaggio, un’accusa di questo tipo (un refrain che ritorna spesso nelle dichiarazioni dei mafiosi e dei pentiti) avrebbe dovuto causare una levata di scudi da parte delle più alte cariche di uno Stato calpestato e infamato e, in definitiva, della politica intera.
In molti, vi assicuro, anche non campani, ci aspettavamo la convocazione di una conferenza stampa in cui si spiegassero ai cittadini le strategie dello Stato per reagire alla catastrofe, illustrando le responsabilità di chi doveva controllare e indugiando anche sulle responsabilità di chi dall’estero ha conferito rifiuti speciali e addirittura fanghi radioattivi (che evidentemente non tutti possono produrre).
A parte le poche voci fuori dal coro, invece, la politica ha continuato impassibile nella sua soap opera sempre meno avvincente. Sarebbe stato bello sentire che la prossima missione del Governo fosse stata, prima ancora che il Tav, il recupero del territorio tramite un progetto di bonifica fatto con le migliori tecnologie e basato sul rilancio economico successivo dei siti recuperati. Insomma, un contenuto di serietà e speranza per quel ch’è possibile, tra gli schiamazzi e gli starnazzamenti generali.
Sarebbe stato rispettoso per la gravità della situazione. Sarebbe stato un bel messaggio di vicinanza a quella che la Presidente della Camera Laura Boldrini ha chiamato “parte lesa” della vicenda. Sarebbe stato un bel colpo di reni. Purtroppo, però, questa storia, un horror degno di Halloween e del ponte dei morti, ha da sempre interessato, più che i reni, bocche voraci e coscienze tombate in fondo a un buco, come i rifiuti.http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/11/03/campania-i-rifiuti-di-gomorra-la-fukushima-italiana/764722/

Terzigno, veleni cancerogeni nella discarica della rivolta. Ma il rapporto è insabbiato

La denuncia dell'avvocato ambientalista che ha ottenuto il documento: "Comune e Regione sapevano da maggio e non hanno informato la popolazione". L'impianto oggi chiuso fu teatro di duri scontri fra polizia e popolazione tre anni fa

di | 3 novembre 2013
Commenti (39) L’inganno ci fu all’inizio. Quando fecero credere agli abitanti di Terzigno e dintorni che quella terra verde e rigogliosa ai piedi del Vesuvio avrebbe goduto delle tutele di Parco Nazionale. Invece lì è stata aperta una discarica. Ci hanno sversato centinaia di migliaia di tonnellate di monnezza. Volevano aprirne una seconda. Ci fu una rivolta di popolo e il governo Berlusconi&Bertolaso dovette ripiegare in ritirata. Era l’autunno del 2010, gli scontri iniziarono proprio a fine ottobre e proseguirono a novembre. Ma le tracce di quella stagione non sono state eliminate. I veleni continuano a circolare nel corpo malato di questo territorio. Si insinuano nelle falde acquifere. Rendono a rischio l’aria e i gas sprigionati dai rifiuti intombati.
La discarica di Cava Sari 2, in località Pozzelle, nel cuore del Parco, è chiusa da più di un anno. La spazzatura è stata coperta di argilla per la ‘messa in sicurezza’, mentre è stato realizzato un impianto per l’estrazione del biogas, sostanza in grado di produrre energia da mettere in commercio. Il pericolo per la salute pubblica, però, è una questione ancora aperta. “Il gestore all’atto dell’ispezione non ha segnalato altre situazioni di criticità oltre quelle note e relative prevalentemente ai parametri ferro, manganese e fluoruri. Ciò contrasta con quanto descritto nella Relazione di gestione 2012, pagina 22, in cui il gestore dichiara l’avvenuto superamento dei limiti, sistematicamente e a partire dal mese di aprile 2012, in tutti i pozzi di monitoraggio, per il tricloropropano e il dibromoetano”.
Sono due sostanze gravemente cancerogene. Che sbucano in maniera inquietante nel “rapporto conclusivo delle attività di ispezione ambientale ordinaria” redatto dall’Agenzia Regionale per l’Ambiente della Campania (Arpac) sulla discarica Cava Sari. Un rapporto riservato di 18 pagine, datato fine maggio. Trasmesso al settore Ecologia della giunta regionale, al sindaco di Terzigno, e per conoscenza ad Asìa ed Ecodeco (gruppo A2A), le società che si occupano della gestione ‘post-mortem’ dello sversatoio. Un documento che sarebbe rimbalzato da un cassetto all’altro di qualche ufficio senza essere diffuso al pubblico, se non fosse stato della tenacia dell’avvocato ambientalista Maria Rosaria Esposito.
La legale ha chiesto e ottenuto l’accesso agli atti dell’agenzia regionale, estraendone una copia. Ed ora commenta allarmata: “Il Comune di Terzigno e la Regione Campania sanno da maggio che c’è un problema di grave inquinamento delle falde acquifere e tutto tace, mentre la popolazione non sa e non deve sapere. A tre anni dagli scontri di Terzigno, che fecero balzare agli onori della cronaca una situazione terrificante, in cui si è stata una installata una discarica (la Cava Sari 2, ndr) all’interno di un’altra vecchia discarica (Cava Sari 1, ndr), mai messa in sicurezza, accanto a 800 ecoballe, è sceso un silenzio assordante. Più pericoloso e spaventoso dei gas lacrimogeni e dei manganelli di Stato”.
Il rapporto Arpac indica i risultati delle analisi dei campioni di acqua prelevati nei tre pozzi-spia, uno a monte e due a valle della discarica. “Il campione relativo al pozzo PZ1 (a monte, ndr) non rientra nei limiti normativi per i parametri fluoruri, ferro e manganese. Il campione relativo al pozzo PZ2 (a valle, ndr) non rientra nei limiti normativi per i parametri fluoruri, alluminio, manganese e nichel. Il campione relativo al pozzo PZ3 (secondo a valle, ndr) non rientra nei limiti normativi per i parametri fluoruri, ferro e manganese”. Conclusioni: “I saggi di tossicità eseguiti sui tre pozzi mostrano livelli di tossicità cronica”. Che potrebbero anche essere spiegati, per alcune sostanze, con l’origine vulcanica dell’area. Resta però un’anomalia: i valori di un pozzo a valle sono diversi da quelli del pozzo a monte. Sono l’alluminio e il nichel, fuori norma del secondo pozzo. Come se l’acqua scendesse con determinate caratteristiche e arrivasse a valle più inquinata. Un segnale di una probabile infiltrazione nella falda delle schifezze provenienti dalla discarica.
A preoccupare l’avvocato Esposito c’è anche una circostanza evidenziata in neretto in una parte del rapporto. “Non risultano pervenuti i dati sulla misura della percentuale di ossigeno e metano presso i pozzi di captazione per il controllo della esplosività dei biogas”. Si tratta di sostanze altamente infiammabili, bisogna saperle tenere a bada. L’Arpac sottolinea che mancano alcuni dati importanti nel protocollo di messa in sicurezza della zona. Chi lo sa, non dovrebbe stare tranquillo. E dovrebbe intervenire.http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/11/03/terzigno-veleni-cencerogeni-nella-discarica-della-rivolta-ma-rapporto-e-insabbiato/763859/

sabato 2 novembre 2013

Schiavone nel '97: in 20 anni tutti morti nel Casertano

Terra dei Fuochi, chi sapeva dal 1997 perché non ha parlato? Perché ci ha condannati a morte?

le navi dei casalesi Carmine Schiavone parla della nave affondata con rifiuti nucleari


http://www.youtube.com/watch?v=gyM-YyoFdEU&feature=youtu.be&a


Le navi dei casalesi
www.youtube.com
Carmine Schiavone parla della nave affondata con rifiuti nucleari. "Me ne parlò Sandokan", racconta. L'intervista completa su il manifesto del 2 novembre 2013.

“Ho visto tutto, nei terreni di Venafro hanno sepolto rifiuti industriali…”

 
VENAFRO (Isernia). Intorno al campo in località ‘Masseria Lucenteforte’ si è finalmente risvegliato l’interesse. Se ne parla, se ne scrive. Ancora molto poco. Ci si reca sul posto, abbandonato da troppi anni. Una storia seppellita. Le voci, molto basse, giravano da tempo. Ma niente di ufficiale. Anzi si! Sono ufficiali i certificati, le carte, i documenti, il ripristino, la ‘bonifica’ (superficiale, molto superficiale).
“Tutto è stato fatto”, ha affermato il proprietario Ernesto Nola di Venafro. Ma cosa è stato fatto? “C’è stata una conferenza di servizi, con la Regione, il Comune di Venafro e l’Arpa, che ha stabilito che tutto stava a posto. Ho ceduto a titolo gratuito questo materiale, mi dicevano di mettere il terreno buono. Invece hanno fatto un disastro, tutti questi buchi. Sono stato danneggiato da questi pseudo imprenditori d’assalto”.
Imprenditori d’assalto li definisce Nola. Il proprietario che ha firmato tutti i contratti. In quel campo ‘a riposo’ si registrano cose troppo strane. Anche il terreno, dopo essere stato calpestato da soggetti “poco affidabili”, si è ribellato. Ha cacciato fuori pezzi di plastica, di ferro, di ghisa. Funghi neri, schifosi. Una melma verde che appare quando piove. Cosa c’è sotto quel campo? Cosa è stato interrato? Chi non ha fatto il proprio dovere? Tre aziende si sono occupate del terreno, tutte contrattualizzate dal Nola,  in ordine: la Bimed di Medici, la Rasmiper di Moscardino e la Edilcom di Di Nardo.
Tutto inizia nel 1990 e finisce, ufficialmente (dati Arpa Molise), nel 2008. Restiamo in attesa dei documenti richiesti (e visionati) all’Arpa il 17 ottobre scorso. Perché oggi quel terreno ‘a riposo’ versa in condizioni pietose? Abbiamo incontrato un nuovo testimone oculare (“Ho visto tutto, voglio raccontare tutto. Non ho paura di parlare”), proprietaria di un terreno che dista cento metri dal ‘campo a riposo’: “noi abbiamo un terreno nelle vicinanze, lì ho trascorso la mia vita. Non posso dire di non aver visto. Ho visto dei camion che scaricavano cose ferruginose, cose grigie, nere. Scavavano e mettevano. C’era un signore (Antonio Moscardino, ndr) che propose a mio marito di utilizzare l’uliveto per il misto. Voleva scavare il nostro terreno, io vedevo che scavavano notte e giorno. Ho visto i camion che scaricavano rifiuti industriali”.
Moscardino ha sulle spalle i fatti di Campomarino (“Gestiva, trasportava e riceveva – scrive il Gip Roberto Veneziano del Tribunale di Larino – ingenti quantitativi di rifiuti speciali pericolosi smaltiti illecitamente mediante interramento”, pena patteggiata, un anno e otto mesi di reclusione) e di Vinchiaturo (“Creava – scrivono i giudici della Corte di Appello di Campobasso nel 2006 – le condizioni di concreto pericolo di inquinamento delle acque e del suolo, pericolo poi concretamente attualizzato a seguito di un incendio del materiale”, sei mesi e 3mila euro di ammenda, reato raggiunto dalla prescrizione).
Tutti si ricordano del personaggio ‘poco affidabile’, ma pochi parlano (“è pericoloso”). È più pericoloso non sapere cosa è stato interrato, cosa è rimasto in quel terreno. “Mio marito – racconta la signora – mi diceva sempre ‘è una vergogna’, poi si è ammalato di Sla. Ha vissuto in quel campo. Noi ci chiediamo ancora se la Sla è una malattia ambientale o personale. Mio marito viveva in quella campagna, aveva il suo uliveto. Ha respirato tutta quell’aria, mi ricordo che una volta mi raccontò che stava passando di lì e si sentì male. Un forte capogiro, si dovette fermare e non so per quanto tempo non capì nulla. Mentre passava proprio in quel posto”.
La testimonianza della signora è fondamentale per capire diverse cose. Il ‘modus operandi’, il sistema utilizzato da chi cercava terreni vergini per traffici mortali e la conferma di un passato poco chiaro. Messo, come il campo di Nola, a riposo. Lo stesso geologo, Vito La Banca, che firma nel 2007 la comunicazione del ripristino ambientale, mette in dubbio la versione ufficiale: “i lavori di bonifica sono stati fatti in due puntate, più che una bonifica una pulitura. Solo superficiale, il materiale presente sul terreno. Poi è calato il silenzio su questa storia. Non è stata fatta una vera bonifica, ma una pulitura superficiale”. È stato dichiarato il falso? Chi ha dichiarato il falso? Perché la gente del posto non deve sapere la verità? Per Vittorio Nola, presidente del Consorzio di Bonifica di Venafro: “i controlli in questa Regione non funzionano, è un fatto acclarato”. Cosa significa? Perché queste denunce non si fanno pubblicamente?“Sotto quel terreno (‘Masseria Lucenteforte’, ndr) c’è una bomba. Sono disposta a testimoniare, ho visto tutto. Da me è venuto Moscardino, mio marito mi disse di questo contatto, di questa richiesta. A lui serviva il misto, ma non riempiva con altra terra. Riempiva con rifiuti industriali. Dissi a mio marito di non fare nulla, Moscardino era un residuo di galera. Voleva pagarci per questa operazione. Ancora mi chiedo perché quell’uomo bellissimo, bravissimo di mio marito è morto. Di due malattie, di Sla e di cancro all’intestino. C’è qualcosa di strano o no?”.
È possibile rispondere alle domande lecite della signora? È possibile consultare un Registro dei Tumori in Molise? Un marito morto di Sla e di cancro e un figlio con una rara malattia. “È una storia – spiega il figlio della testimone oculare disposta a parlare – uscita fuori dopo tanto tempo. Ne ho sempre parlato, nessuno mi ha creduto. Ora mi danno ragione. Mio padre all’epoca fece anche delle fotografie, ero piccolo. Ricordo i camion che andavano a scaricare, passavano sulla strada. Portavano una terra nera e fumante, ancora bollente. Scaricavano in continuazione, mi ricordo tutto. Stiamo parlando di un terreno avvelenato, speravo che questa storia uscisse fuori. Doveva uscire prima, molto prima”. Ma perché dopo tanti anni la signora, la testimone oculare, ha deciso di parlare, di dire tutto quello che ha visto? “Sono stanca, voglio sapere perché questo marito mio, che  andava tutti i giorni lì, è morto di due brutte malattie. I miei figli hanno visto tutto, erano ragazzini di otto, nove anni. Hanno visto il ‘mostro’. Mio marito si è ammalato nel 2002. E le falde acquifere dopo tanti anni? Dopo tante schifezze?”.
Dalla Procura della Repubblica di Isernia, coordinata da Paolo Albano, qualcosa sembra muoversi. È già stato effettuato un primo sopralluogo dall’Arpa di Isernia e dal Noe (Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri) di Campobasso. È stato scavato a sette, otto metri per interrare del materiale particolare? È arrivato il momento di scavare, di capire cosa c’è sotto. In tutti i sensi.