giovedì 30 maggio 2013

Milano, terra all’arsenico in ex fabbrica di armi chimiche. Ma l’area è off-limits

Tra le case di Riozzo di Cerro al Lambro, nel milanese, è abbandonata da decenni l'area della Saronio, che durante la guerra produceva gas letali per l'esercito di Mussolini. E' di proprietà del Ministero della Difesa e nessuno può entraci, ma le poche analisi fatte dimostrano una concentarzione del veleno superiore ai limiti di legge. Mezzi (Sel): "Ritardo clamoroso nelle informazioni"

Area Saronio
Spaventa ancora l’area occupata un tempo dalla fabbrica di armi chimiche Saronio, che oggi si scopre essere inquinata dall’arsenico. Siamo a Riozzo di Cerro al Lambro, vicino a Melegnano e quindi a pochi minuti da Milano. Eppure qui, nel cuore di una delle aree più urbanizzate di Lombardia, esiste il sito abbandonato (circa 25mila metri quadrati) di una fabbrica che almeno sin verso il 1943 produceva armi per la guerra chimica ad uso degli eserciti di Mussolini.
L’area è di proprietà del Ministero della Difesa ed è quindi inaccessibile. Le polemiche però non mancano. Da quando la Saronio, colosso della chimica italiana, abbandonò il territorio ed in particolare il vicino impianto di produzioni di vernici di Melegnano, ovvero verso la fine degli anni ’60, dell’impianto militare non se n’è saputo più nulla.
La zona è off-limits e nessun ente civile, come Asl e Arpa, ha mai potuto metterci piede per misurare il livello di inquinamento. Nel frattempo palazzine, capannoni, parchetti pubblici e piste ciclabili sono cresciute attorno, “ma il ritardo col quale filtrano informazioni sui livelli di inquinamento e sui tempi di un’eventuale bonifica, sono davvero clamorosi” denuncia Pietro Mezzi, consigliere in Provincia a Milano per Sel ed ex sindaco di Melegnano.
E come dargli torto? Il documento ufficiale più recente è una relazione dell’Arpa di Milano del gennaio del 2012 che solo oggi è resa pubblica e che riferisce di un sopralluogo fatto presso l’ex azienda chimica, nonché di un’attività di carotaggio eseguita dall’Esercito, ma solo nel 2010. Quest’ultima, dalla chiusura dell’impianto, è l’unica ispezione fatta – che sia dato a sapersi – sui livelli di inquinamento.
L’Esercito continua a mantenere a riguardo il più stretto riserbo, ma attraverso la relazione dell’Arpa qualcosa in più finalmente si sa. Prima di tutto che sono stati prelevati “5 campioni di terreno” attraverso i quali si è appreso che “le concentrazione di arsenico riscontrate in un campione di terreno, risultano essere al di sopra dei limiti previsti per area a destinazione residenziale”.
“Ciò dimostra la veridicità di quanto avevo previsto anni fa, ovvero la presenza di questo pericoloso inquinante” dice Edoardo Bai, ex Direttore del dipartimento prevenzione dell’Asl di Melegnano, che aggiunge: “Nonostante siano stati fatti, in un zona vastissima, solamente 5 prelievi, uno di questi mostra un eccesso dell’elemento incriminato. Del resto l’arsenico era utilizzato per la realizzazione della Lewisite, uno dei gas utilizzati nella guerra chimica di Mussolini. Ma cinque prelievi su 25 mila metri quadri di area non possono bastare”.
Questo in realtà lo sostiene anche Arpa, che ha ribadito “di sottoporre il sito alla caratterizzazione”, “ovvero – spiega Bai – ad un prelievo di ‘carote’, cioè di porzioni cilindriche di terreno. Ma facendone molte di più che 5. Perché farne 5 o farne 200 di prelievi è diverso, perché il terreno può essere monitorato in maniera più dettagliata, individuando con precisione dove c’è inquinamento e dove non c’è n’è”.
“Mi domando – termina Bai – come mai le autorità non procedano più celermente e obblighino l’esercito a fare quanto stabilito per legge. È  come se ci fosse una sorta di rispetto eccessivo per l’autorità militare, proprietaria dell’area. Invece questa deve obbedire alla legislazione italiana come tutti gli altri. Che intervenga il comune di propria autorità, perché se c’è arsenico nel terreno questo potrebbe penetrare in falda e portare danni ben maggiori”.

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