domenica 12 maggio 2013

Berlusconi se ti fanno un monumento... La voce del ladrone di Marco Travaglio

La voce del ladrone
di Marco Travaglio
Bella l’idea del pellegrinaggio nella sua Medjugorje
privata, Brescia, dove da vent’anni
sogna di traslocare i processi da Milano. Purtroppo
per lui, anziché dai giudici amici, il Cainano
ha trovato ad accoglierlo migliaia di contestatori
col dito medio alzato, cori “In galera” e
cartelli con scritto “Hai le orge contate”. Il pretesto
della scampagnata era sostenere un tal
Adriano Paroli, il solito ciellino candidato a sindaco.
Il quale, a cose fatte, è salito sul palco affiancato
– per peggiorare la sua già penosa condizione
Рdalla Gelmini. E si ̬ scusato di esistere:
“Non era previsto un mio saluto...”. Intanto il
Popolo delle Libertà – qualche migliaio di poveretti
– sfollava rapidamente la piazza, come
alla fine dei concerti quando arrivano gli elettricisti
e i facchini a portar via gli strumenti. Il
meglio era accaduto prima, quando l’anziano
delinquente (parola del Tribunale e della Corte
d’appello), aveva intrattenuto i complici sull’imprescindibile
tema dei cazzi suoi. Raramente
s’erano viste scene più paradossali (a parte il
silenzio di Pd, Letta e Napolitano, troppo impegnati
contro i 5Stelle per accorgersi di quanto
accade a Brescia). Un vecchietto di 77 anni coi
capelli bicolori – gialli sulla calotta asfaltata, neri
ai lati –, gli occhi che non si aprono più, la
dentiera che fischia e una preoccupante emiparesi
al labbro superiore, annuncia un piano
ventennale per salvare l’Italia da lui governata
per 10 anni su 12 (un premier con qualche potere
in più di Mussolini, un Parlamento ridotto
a bivacco di manipoli, una Consulta e una Giustizia
a sua immagine e somiglianza). Un monumentale
evasore promette a quelli che pagano
le tasse al posto suo di ridurgliele, dopo
averle votate (così come Equitalia). Il politico
più ricco del mondo lacrima il suo “struggimento
per chi ha perso il lavoro” a causa dei suoi
governi. Un imputato recidivo che da vent’anni
si trincera dietro l’immunità e le leggi ad personam
suam per non farsi processare, si paragona
a Tortora che rinunciò all’immunità per
farsi processare.
Il leader del terzo partito dà ordini al primo, da
vero padrone del governo Letta (“ci ho lavorato
a lungo, l’ho voluto io, è un fatto storico, epocale”).
E quando gli iloti sotto il palco urlano
“chi non salta comunista è”, ridacchia: “Io non
posso saltare perché coi comunisti ci governo
insieme!”. Il vicepremier e ministro dell’Interno
Alfano, col ministro Lupi, noti moderati non
divisivi e fautori della pacificazione, sfilano
contro un altro potere dello Stato. Molto applaudite
le parole dello spirito di mamma Rosa:
“Mi diceva che sono troppo buono per far politica:
da bambino mi impediva di legarmi campanelli
alle caviglie per avvertire le formichine
del mio passaggio e non schiacciarle”. Due sole
volte il Cainano perde il buonumore. Quando
evoca Grillo, la mascella si contrae, gli occhi a
fessura saettano, la gente tumultua. Quando cita
“gli eventi drammatici di questi giorni” si pensa
alle donne uccise o sfigurate con l’acido, ai morti
di Genova, alla guerra in Siria. Invece lui parla
della sua condanna, “me lo chiedono tutti”. Segue
la solita sbobba piduista sulla responsabilità
civile dei giudici (che c’è già dal 1988), la separazione
delle carriere, i pm ridotti ad “avvocati
dell’accusa che vanno dai giudici col cappello
in mano” (come Previti quando andava da
Squillante col cappello pieno di banconote), le
intercettazioni (non gli piacciono, a parte quella
Consorte-Fassino), la carcerazione preventiva
(non si arresta uno prima del processo: se scappa
o delinque ancora, tanto meglio). Poi viene
finalmente al punto: “Le carceri sono un inferno”.
Lo sanno bene i suoi guardagingilli Castelli,
Alfano e Palma, che le hanno ridotte così. Prossima
mossa: una bella amnistia. Così escono un
po’ di delinquenti e soprattutto non ne entrano
altri, tipo lui. Ma questo non lo dice, non è ancora
il momento: “Mi fermo qui, sono sopraffatto
dalla commozione”. Appena pensa alla sua
cella, gli vien da piangere.UN GOVERNO
AI SUOI ORDINI
di Antonio Padellaro
Dopo ciò che è successo ieri a
Brescia, un governo degno
di questo nome dovrebbe cessare
all’istante di esistere e il premier
dovrebbe altrettanto inevitabilmente
dimettersi. Per tre
ragioni almeno. Primo: in una
piazza spaccata a metà, da una
parte i fans azzurri, dall’altra i
contestatori grillini e quelli con
le bandiere rosse, il “delinquen -
te” confermato in appello per
evasione fiscale Silvio Berlusconi
ha sferrato l’attacco finale alla
magistratura, annunciando che
imporrà al governo, che lui controlla,
la sua personale riforma
volta a neutralizzare l’azione penale
e a ridurre i pm al rango di
obbedienti funzionari al servizio
dei politici. Secondo: Alfano
vicepremier e ministro degli Interni
e Lupi ministro delle Infrastrutture
erano lì, in prima fila,
ad applaudire le frasi eversive,
malgrado fino all’ultimo il Pdl
avesse smentito la partecipazione
di membri del governo. Un
colpo reso ancora più efficace
perché sferrato di sorpresa. Terzo:
attorniato dai suoi ministri
festanti, il Caimano ha detto,
chiaro e tondo, che si deve a lui
se questo governo è nato e che
solo per generosità non lo farà
cadere “con un fallo di reazione”
dopo la sentenza Mediaset che
l’altroieri l’ha condannato a 4
anni di carcere e a 5 di interdizione
dai pubblici uffici.
Insomma, con schietta ruvidezza
Berlusconi ha finalmente
detto ciò che tutti avevano capito:
Enrico Letta non conta
niente e se non ubbidisce alle
disposizioni di palazzo Grazioli
–oggi l’abolizione dell’Imu, domani
la demolizione della giustizia
e della legalità – può tranquillamente
tornarsene all’amato
subbuteo. Di fronte a tanta
insultante arroganza, il Pd
riunito a Roma ha reagito con
alcuni pigolii e l’unica dichiarazione
maschia è di Rosy Bindi.
Dopo il suicidio assistito (da
Napolitano) del partito, l’As -
semblea nazionale è parsa una
mesta cerimonia funebre con
tanto di esecutore testamentario,
l’ottimo Guglielmo Epifani.
Non parliamo naturalmente
dei milioni di elettori e militanti
traditi da un gruppo dirigente
desideroso, a quanto pare, di
farsi annettere dal cavaliere. A
un certo punto Epifani ha detto:
“Abbiamo rischiato di toccare il
fondo”. Non è esatto, segretario.
Dopo i ceffoni di Brescia,
adesso state scavando con buona
lena Il Fatto quotidiano 12 maggio 2013 nell'immagine alcuni manifestanti di Brescia non esattamente d'accordo con Berlusconi

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