venerdì 24 maggio 2013
risanamento coatto all'Ilva sequestrati 8 miliardi ai Riva scarsa sicurezza ha ucciso 3 operai
“RISANAMENTO COATTO ALL’I LVA”
SEQUESTRATI 8 MILIARDI AI RIVA
IL GIP: LA SCARSA SICUREZZA HA UCCISO TRE OPERAI. CONTI E BENI
DELLA CASSAFORTE DESTINATI A EVITARE L’INQUINAMENTO KILLER
di Francesco Casula e
Antonio Massari Il fatto quotidiano 25 maggio 2013
Aimpressionare non
è solo la cifra - 8,1
miliardi da sequestrare
al Gruppo Riva
– ma soprattutto che quel
“modello aziendale” sia la “con -
causa” della morte di Claudio
Marsella, Francesco Zaccaria e
Ciro Moccia: tre operai dell’Ilva
di Taranto sacrificati per un tesoro
che secondo la procura la
Riva Fire, società che controlla
lo stabilimento ionico, ha risparmiato
dal 1995 a oggi evitando
di ammodernare la fabbrica,
causa di “malattia e morte”.
E 8,1 miliardi sono “l'im -
porto necessario per effettuare
tutte le opere di risanamento
ambientale” che, secondo l’ac -
cusa, ancora oggi la famiglia Riva
non dimostra di voler realizzare.
E il gip Patrizia Todisco
ordinando il sequestro alla Gdf
di Taranto. Per il pool di inquirenti
guidato dal procuratore
Franco Sebastio, infatti, l’attivi -
tà dell’Ilva “ha cagionato e cagiona
danni ambientali e sanitari
inaccettabili” per via della
“mancata attuazione degli interventi
per il miglioramento
dell’impatto ambientale”.
OMISSIONI su omissioni: negli
atti se ne contano ben 34, con
l'Ilva che disattende i protocolli
di intesa, definiti dai pm “una
colossale presa in giro”. Ed è da
quelle promesse mai mantenute
e dalle prescrizioni imposte successivamente
all’Ilva, che i custodi
giudiziari Barbara Valenzano,
Emanuela Laterza e Claudio
Lofrumento sono partiti per
stimare la somma necessaria per
adeguare gli impianti. Relazioni
nelle quali si evidenzia, ancora
una volta, che “nulla risulta attuato”.
Anzi. Il “modello di organizzazione
aziendale, e la gestione
degli impianti, consente e
agevola stabilmente la commissione
di reati”. E dagli atti, infatti,
emergono nuove ipotesi di
reato legati al riutilizzo dei fanghi
e, soprattutto, la mancata
“attuazione di un modello organizzativo
e gestionale”, che ha
rappresentato la “concausa non
trascurabile” della morte di tre
operai e del ferimento di un
quarto negli ultimi mesi. L'Ilva
“ometteva di attuare il sistema
di gestione della sicurezza”. Per
gli inquirenti “la mancata realizzazione
dei lavori di manutenzione
di impianti e apparecchiature
e l’assenza delle condizioni
di igiene e sicurezza negli ambienti
di lavoro” è la testimonianza
di una palese “situazione
critica per la tutela della salute
dei lavoratori”. E a pagare le
conseguenze del mancato ammodernamento
degli impianti,
anche con la vita, sono in primo
luogo gli operai. Gli stessi che
l’azienda ha strumentalizzato
nelle manifestazioni contro la
magistratura tarantina. Per il
gip Todisco l’Ilva non ha intenzione
di rispettare le prescrizioni
contenute nell’autorizzazio -
ne integrata ambientale (Aia)
voluta dall’ex ministro Corrado
Clini: “Allo stato non si ha evidenza
di alcuna iniziativa intrapresa
dalla società al fine di ottemperare
alle disposizioni prima
impartite dai custodi e poi,
in parte, confermate” nell’Aia.
L’atteggiamento dell’azienda, in
sostanza, non è cambiato. La famiglia
Riva, secondo l’accusa,
non vuole provvedere ai costosi
interventi per le misure di sicurezza.
Misure che “le norme dell’ordinamento,
i vari atti d’inte -
sa stipulati con gli enti pubblici
ed i provvedimenti delle autorità
competenti imponevano di
eseguire” e che l’azienda non ha
mai realizzato. Omissioni che si
sono trasformate in un fiume di
soldi per la Riva Fire “che altrimenti
avrebbe dovuto ricapitalizzare
la controllata Ilva spa,
utilizzando la liquidità” del
Gruppo Riva oppure “esponen -
dosi con gli istituti di credito”.
Negli stessi anni però - era il
2006 - si premuravano di finanziare
con 98mila euro la campagna
elettorale di Pierluigi Bersani,
che accettava, nonostante
Emilio Riva avesse subìto già
una condanna. In quel caso non
si omisero di investire. Ma torniamo
agli atti: per i magistrati è
evidente che le omissioni erano
svolte dai vertici aziendali nella
piena consapevolezza “della
concreta devastazione dell’am -
biente e della concreta e gravissima
lesione inferta continuativamente
alla salute di lavoratori
e dei cittadini”.
“La produzione non si tocca” ha
però chiarito il procuratore Sebastio.
La Guardia di finanza,
diretta dal colonnello Salvatore
Paiano, dal tenente colonnello
Giuseppe Dell’Anna e dal maggiore
Giuseppe Dinoi, potrà aggredire
i beni di Riva Fire e, “solo
in via residuale”, quelli dell’Ilva
purchè non siano strettamente
collegati all’attività produttiva.
LIMITAZIONI che la procura di
Taranto ha chiesto e ottenuto
dal gip dopo il pronunciamento
della Consulta che dichiarando
legittima la legge “salva Ilva” ha
consentito all’azienda di produrre
e vendere acciaio. L’Ilva
intanto corre ai ripari. Oggi si
riunirà a Milano il cda “per decidere
sulle iniziative conseguenti”.
Frasi che insomma ricordano
i ricatti occupazionali e
le minacce già sentite.
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