domenica 13 ottobre 2013

Sei in: Repubblica > Ambiente > Italia, cala lo smog ma cresce il … + - Stampa Mail Italia, cala lo smog ma cresce il cemento meno 5 ettari al giorno, PM10 oltre soglia

Nona edizione del Rapporto sulla Qualità dell'Ambiente Urbano. Le 51 aree comunali monitorate hanno cementificato 220mila ettari di territorio, quasi 35mila solo a Roma. La lista delle città più inquinate comprende la Capitale, Taranto, Milano, Napoli e Torino e riflette quella della circolazione delle auto
ROMA - Migliora l'aria nelle città italiane, molte delle quali però restano ad alto rischio di sforamento dei valori considerati sicuri per gli inquinanti, mentre non si arresta la cementificazione, che ogni giorno richiede il suo tributo al territorio urbano: ben 5 ettari. La fotografia viene dai dati della nona edizione del Rapporto sulla Qualità dell'Ambiente Urbano presentato a Roma dall'Ispra.

Tra il 2000 e il 2010, afferma il documento, a livello nazionale c'è stata una diminuzione delle polveri sottili del 37%, complici anche le minori attività industriali, e in quasi tutte le 60 città prese in esame il trend è in diminuzione. "In tutte le città considerate tranne Livorno - sottolinea però il rapporto - nel 2011 le concentrazioni medie di pm10 sono state superiori al valore soglia consigliato dall'Oms, e in 6 centri abitati del bacino padano i valori hanno superato la soglia annuale prevista dalla normativa".
La lista delle città più inquinate da questo punto di vista, che vede Roma, Taranto, Milano, Napoli e Torino ai primi posti, riflette quella della circolazione delle auto. Se nelle otto metropoli considerate, con l'eccezione di Roma, le immatricolazioni sono in calo, i valori assoluti restano alti.

"Quello che abbiamo notato - spiega Silvia Brini, curatrice del rapporto - è che nelle città grandi, ad eccezione di Roma, le auto circolanti tendono a diminuire, mentre in quelle più piccole avviene il contrario". Oltre che inquinate le città risultano dal rapporto anche sempre più 'grigie'. Napoli e Milano hanno ormai consumato oltre il 60% del territorio, e anche Torino e Pescara superano il 50%. Le 51 aree comunali monitorate hanno cementificato 220mila ettari di territorio, quasi 35mila solo a Roma, con 5 ettari di nuove aree 'catturati' ogni giorno. Trento mostra i valori più alti di verde pubblico, mentre Messina, Venezia e Cagliari sono le città con le quote più alte di territorio protetto. "In questi tre casi si parla di percentuali significative, ben oltre il 50% - sottolinea Brini - un dato che ci ha positivamente impressionato". Quasi una reazione al colore monotono dominante nelle città sono sempre di più gli uccelli alloctoni, introdotti cioè da fuori, a cominciare dai pappagalli. Le specie più avvistate sono i parrocchetti, ma ci sono anche l'anatra mandarina, il cigno nero e l'amazzone fronteblu. http://www.repubblica.it/ambiente/2013/10/11/news/italia_cala_lo_smog_ma_cresce_il_cemento_meno_5_ettari_al_giorno_polveri_oltre_soglia-68399180/

Greenpeace, blitz alla Barcolana contro Gazprom sponsor del vincitore

Greenpeace, blitz alla Barcolana  contro Gazprom sponsor del vincitore
(ansa)
Gommoni in azione durante la più affollata e popolare regata italiana che si è corsa oggi nelle acque del golfo di Trieste. In azione anche poliziotti sulle moto d'acqua. Nonostante il parapiglia, Esimit Europa, sponsorizzata dal colosso dell'energia russo, ha vinto per la quarta volta. "La nostra protesta non è certo contro il mondo della vela: il problema è che Gazprom è una minaccia per l'Artico e per tutti noi" spiega un portavoce dell'associazione ambientalista
di SIMONA CASALINI
Una protesta con gommoni di Greenpeace alla Barcolana. Nel bel mezzo di una regata con oltre 1000 barche partecipanti. E' stata messa in atto nel Golfo di Trieste contro l'imbarcazione "Esimit Europa 2", sponsorizzata dal colosso russo Gazprom.
I gommoni dell'associazione ambientalista hanno cercato di ostacolare il percorso dello scafo mentre oltrepassava la seconda boa del percorso, sulla linea del traguardo. Sul posto sono intervenute anche le moto d'acqua della polizia.

Nonostante il fuoriprogramma, la barca sponsorizzata dai russi ha poi vinto per la quarta volta consecutiva la storica regata velica.  L'assalto degli attivisti era tutto mirato contro lo sponsor russo della barca, con l'intento di sensibilizzare l'opinione pubblica contro il piani di trivellazione nell'Artico del colosso dell'energia vicino a Putin. Non solo. L'azione gli attivisti di Greenpeace è servita ad attirare l'attenzione sui 28 attivisti e i 2 giornalisti che sono nelle mani delle autorità russe dal 19 settembre, accusati di 'pirateria' per una manifestazione pacifica. Seguendo la barca Esimit Europa 2 fino all'arrivo gli attivisti di Greenpeace hanno aperto lo striscione con scritto (in inglese) "Via dall'Artico!" e bandiere con il messaggio"#FreeTheArctic30".

"La nostra protesta non è certo contro la Barcolana o il mondo della vela: il problema è che Gazprom, lo sponsor della barca Esimit, è una minaccia per l'Artico e per tutti noi. E' paradossale che questa sia la prima barca con bandiera 'europea' e simbolo ufficiale dell'innovazione e dell'efficienza del nostro continente" afferma Federica Ferrario di Greenpeace. "La Gazprom, in prima linea nello sfruttamento delle risorse petrolifere dell'Artico, -aggiunge- è tra coloro che vogliono consegnare il Pianeta al caos climatico. Per difendere i suoi interessi è pronta a tacitare ogni voce di protesta".

La piattaforma Prirazlomnaya della Gazprom sarebbe la prima a trivellare l'Artico, ma ci sono seri dubbi su come potrebbe resistere alle dure condizioni climatiche locali. Proprio per attirare l'attenzione sui rischi di simili operazioni, Greenpeace ha cercato di scalare la piattaforma per una protesta pacifica tre settimane fa. La nave 'Arctic Sunrise' è stata quindi sequestrata dalle autorità russe e per l'intero equipaggio sono stati disposti due mesi di custodia cautelare. "Chiediamo a Gazprom di ritirare i piani di trivellazione nell'Artico e alle autorità russe di liberare immediatamente i 28 attivisti e i 2 giornalisti free lance, tra cui l'italiano Cristian D'Alessandro, detenuti con l'accusa di un crimine che non hanno commesso" conclude Ferrario. http://www.repubblica.it/ambiente/2013/10/13/news/greenpaece_blitz_alla_barcolana_contro_la_sponsor_gazprom-68498088/?ref=HREC1-3

Costituzione, Piazza del Popolo gremita è un messaggio al Colle

di | 13 ottobre 2013  http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/10/13/costituzione-piazza-del-popolo-gremita-e-messaggio-al-colle/742174/

Piazza del Popolo, a Roma, gremita come non si vedeva da tempo. L’adesione di centinaia di movimenti, la rete dei beni comuni, del volontariato, dell’accoglienza, la politica che si occupa delle persone. E poi le 440mila firme raccolte dal Fatto e che verranno consegnate ai presidenti di Camera e Senato perché rammentino che la sovranità appartiene al popolo e non invece a un sinedrio di nominati.
Dall’altra parte, un comitato di saggi imposto dal Quirinale con l’inchino del governo Letta. Rinchiusi da mesi nelle segrete stanze, tagliano a pezzi la Costituzione come se fosse una nave in disarmo. Ne modificano l’impianto, ne stravolgono lo spirito, ma il risultato finale lo scopriremo solo all’ultimo momento, quando probabilmente sarà troppo tardi per rimediare. Il tutto in un clima quasi da regime caucasico.
C’è voluto un bel coraggio a organizzare una manifestazione di piazza avendo contro tutti i poteri costituiti. Il giorno prima, guarda caso, arriva l’ordine di Napolitano a procedere senza indugi al cambiamento della Carta. Segnale che al Pd è giunto forte e chiaro. A parte qualche deputato senza collare, per la prima volta il partito un tempo immancabilmente presente con le proprie bandiere nei cortei a difesa dei valori costituzionali ha preferito disertare per non irritare Re Giorgio. Che viltà, che tristezza.
Con garbo tagliente il professor Zagrebelsky, già presidente della Consulta, coglie il punto: “Dicono che questa Costituzione è inadatta a governare. Ma loro sono adatti?”. Rodotà guarda la folla e completa il concetto: “Oggi tantissimi cittadini hanno deciso di riappropriarsi della Costituzione”. Proprio così. Chi sperava nel logoramento delle coscienze e nella rassegnazione che arma gli arroganti si segni la data di ieri.
C’è un’altra politica pronta a scendere in campo. Non sarà un partito come qualcuno va sperando, ma molto di più. Non sarà guidata da leader carismatici e neppure da miliardari pregiudicati. Avrà l’attuazione della Costituzione come programma e una frase di Sandro Pertini come viatico: “Dietro ogni articolo ci sono centinaia di giovani morti nella Resistenza. È una conquista nostra e dobbiamo difenderla, costi quel che costi”. Noi saremo lì.
da Il Fatto Quotidiano, 13 ottobre 2013

sabato 12 ottobre 2013

manifestazione in difesa della costituzione oggi a Roma

12 ottobre: manifestazione nazionale a Roma

Il 12 ottobre l'appuntamento è a Roma in Piazza della Repubblica alle ore 14.

Arriveremo da tutt'Italia per una grande manifestazione nazionale per difendere la Costituzione e soprattutto per rivendicarne l'applicazione.
Come è scritto nell'appello "La difesa della Costituzione è innanzitutto la promozione di un’idea di società, divergente da quella di coloro che hanno operato finora tacitamente per svuotarla e, ora, operano per manometterla formalmente. [...] Non è la difesa d’un passato che non può ritornare, ma un programma per un futuro da costruire in Italia e in Europa."
L'appuntamento è alle 14 in Piazza della Repubblica. Qui l'evento facebook della manifestazione.

Per la riuscita della manifestazione è però fondamentale la partecipazione di tutti. Questa, infatti, è una manifestazione promossa da personalità come Lorenza Carlassare, Don Luigi Ciotti, Maurizio Landini, Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky, ma si basa sull'impegno di tutti. http://www.costituzioneviamaestra.it/la-manifestazione.html

Partecipa

La manifestazione del 12 ottobre si basa sull'impegno di tutti noi cittadine e cittadini, e delle tante realtà organizzate che promuovono e aderiscono. La mobilitazione di massa sarà possibile solo se non ti limiterai a una partecipazione passiva. Ti chiediamo quindi di compiere alcune piccole azioni molto semplici. 
✔ Aderisci! Sottoscrivi l'appello. Il tuo nome verrà pubblicato nell'elenco delle adesioni individuali e riceverai via mail gli aggiornamenti delle iniziative e dei trasporti inerenti alla città in cui vivi.
✔ Avvisaci! Stai organizzando un'iniziativa nella tua città? Comunicacela scrivendoci una mail e aggiungila sulla mappa interattiva.
✔ Cliccalo! Seguici con un mi piace sulla pagina facebook e condividi i materiali che verranno pubblicati. Partecipa e diffondi l'evento Facebook. Ci trovi anche su google+
✔ Seguici! Diventa follower su twitter di @xlacostituzione e usa gli hashtag #12ott #laviamaestra Racconta i motivi della tua adesione, e di come vuoi che la Costituzione venga realmente applicata; raccoglieremo i tuoi tweet in questo storify.
✔ Muoviti! Organizza un pullman o altri mezzi di trasporto e aggiungi l'avviso sulla mappa interattiva.
✔ Diffondilo! Scarica, stampa e diffondi i volantini della manifestazione tra i tuoi amici, colleghi, vicini di casa.
http://www.costituzioneviamaestra.it/index.php/partecipa

Ferrara, inchiesta su 54 milioni di fondi per la cooperazione in Iraq: indagato Clini

Il fascicolo riguarda il progetto "New Eden" per opere di sviluppo nel settore idraulico nel Paese asiatico. I pm stanno facendo accertamenti su una società estense e su alcune fatture che avrebbero portato a presunte operazioni inesistenti

Ferrara, inchiesta su 54 milioni di fondi per la cooperazione in Iraq: indagato Clini
L’ex ministro dell’Ambiente Corrado Clini risulta indagato dalla procura di Ferrara. L’inchiesta della magistratura sta cercando di fare luce sulla fine di fondi ministeriali per 54 milioni di euro destinati per opere di sviluppo nel settore idraulico in Iraq. Il progetto “New Eden” era partito nel 2003 – quando Clini ricopriva ancora il ruolo di direttore generale del ministero dell’Ambiente – per iniziativa del ministero e dell’americana Iraq Foundation. Obiettivi del programma di cooperazione: ripristino ambientale, controllo dell’inquinamento e erosione dei corsi d’acqua, riforestazione, protezione della fauna locale nel sud dell’Iraq, controllo dei fenomeni di piena e gestione integrata dei bacini idrografici del Tigri e dell’Eufrate, l’area che la Bibbia identifica appunto con i Giardini dell’Eden.
Clini ha ricevuto dalla Procura un invito a comparire. Nel registro degli indagati sono iscritti altri nomi di persone sospettate a vario titolo di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, corruzione e riciclaggio. La Guardia di Finanza si è già recata negli uffici del ministero dell’Ambiente, dove è stata acquisita documentazione ritenuta importante ai fini delle indagini. Allo stesso modo sono stati perquisiti i locali di una società di Ferrara, la Med Ingegneria, primo referente tecnico dell’Iraq Foundation per il progetto nell’antica Mesopotamia. Si tratta di una società con sede nella prima periferia della cittadina emiliana, ma con basi operative a Padova, Ravenna, Cagliari, Genova ed Alessandria e con collaborazioni internazionali nel curriculum. A carico della Med Ingegneria sono state trovate fatture per presunte operazioni inesistenti. Secondo l’accusa avrebbero dato origine a un giro di denaro che dall’Emilia, attraverso il ministero, avrebbe portato in Iraq e, quindi, in Giordania. Qui gli inquirenti hanno individuato un conto corrente aperto per farvi confluire gli investimenti.
Il progetto “New Eden” aveva tutti i crismi di una riparazione post-bellica. Dopo i danni causati dagli interventi del passato regime iracheno – che aveva iniziato a prosciugare le paludi del sud del Paese, diventate rifugio per gruppi della guerriglia che lo combattevano – all’indomani della fine della seconda guerra del golfo la zona rischiava il completo essiccamento. Con “New Eden” gli attori internazionali si proponevamo lo scopo di “restaurare, per quanto possibile, l’ambiente pre-esistente, tenendo conto non solamente degli aspetti meramente ambientali, ma anche di quelli socio-economici”. Un fine nobile, insomma, che si poneva “l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita delle popolazioni locali e garantire lo sfruttamento delle immani risorse energetiche disponibili nel sottosuolo”.

Antimafia, Fazzone: l’ex autista di Mancino che non voleva far sciogliere Fondi

L'ex presidente del consiglio regionale del Lazio, Pdl, entra nella commissione. Si fece in quattro per bloccare la richiesta di commissariare il suo Comune. E continua a essere sotto processo per abuso d'ufficio per aver invaso l'Asl di Latina di lettere di raccomandazione

Antimafia, Fazzone: l’ex autista di Mancino che non voleva far sciogliere Fondi
Ha iniziato la carriera – da poliziotto – come autista dell’allora ministro dell’interno Nicola Mancino, negli stessi anni della trattativa Stato-mafia. Vent’anni dopo entra, da senatore, nella commissione antimafia, in quota Pdl. Claudio Fazzone decisamente di strada ne ha fatta. Partito dal piccolo feudo del centrodestra in provincia di Latina, Fondi, ha sempre difeso l’operato dei suoi fedelissimi nel sud Pontino. Anche quando di mezzo c’era una richiesta di scioglimento del suo Comune. Per mafia. Era il 2008 quando il prefetto Bruno Frattasi, preoccupato dalle tante indagini della Dda, volle approfondire cosa stava avvenendo in quel piccolo Comune ad un centinaio di chilometri da Roma.
A Fondi – raccontavano tante indagini – c’era un intreccio pericolosissimo tra pezzi di ‘ndrangheta e amministratori pubblici, ad iniziare dall’ex assessore all’urbanistica di Forza Italia, Riccardo Izzi. Il sindaco, Luigi Parisella, aveva chiuso troppe volte gli occhi, raccontarono gli ispettori, dopo alcuni mesi di attenta analisi degli atti amministrativi. Un primo cittadino che con Fazzone non aveva solo un rapporto politico e di amicizia: erano proprio soci. Il neo componente della commissione antimafia non ebbe un solo attimo di tentennamento. Giurò che quel prefetto lo avrebbe querelato per le dure parole scritte sulla relazione che chiedeva lo scioglimento. Si fece in quattro, usò tutto il suo peso politico di uomo più votato della Regione Lazio per bloccare quella richiesta caduta sul suo piccolo feudo. E alla fine vinse: pochi giorni prima della decisione del consiglio dei ministri sul caso Fondi, il sindaco Parisella si dimise, evitando l’arrivo dei commissari prefettizi. Caso chiuso.
Meno fortuna il senatore Fazzone l’ha avuta con la giustizia. Da presidente del consiglio regionale del Lazio (2001-2005) aveva invaso la scrivania del dirigente della Asl di Latina con lettere di raccomandazione, tutte su carta intestata, tanto per far capire chi firmava. Oggi quella sua frenetica attività è sotto giudizio davanti al tribunale di Latina, che si dovrà esprimere a breve sull’accusa di abuso d’ufficio.
A Latina lo ricordano soprattutto per il suo peso nel Pdl locale. I suoi voti furono essenziali nel 2010 per l’elezione di Renata Polverini, che scese fino a Fondi per farsi immortalare insieme al senatore. Una volta eletto, optò per il Senato, lasciando il suo posto nel consiglio regionale al fedelissimo Romolo Del Balzo. La staffetta durò poco: il suo successore – arrivato dalla vicina Minturno – finì dopo poco agli arresti, per una brutta storia legata alla gestione dei rifiuti.
Oggi è arrivata per Fazzone una nomina di peso, all’interno della commissione che si occuperà di dossier delicatissimi. Come la trattativa Stato-Mafia, che vede imputato quello stesso Mancino che ha conosciuto all’inizio della sua carriera. 

Rifiuti tossici nel sud del Lazio, aperta inchiesta dopo dichiarazioni di Schiavone

La Procura di Cassino cerca i fusti velenosi di cui ha parlato l'ex collaboratore di giustizia del clan del Casalesi. Sospetti sulla cava di Penitro, a Formia, appena riattivata con un'ordinanza del sindaco

Rifiuti tossici nel sud del Lazio, aperta inchiesta dopo dichiarazioni di Schiavone
Carmine Schiavone di dubbi non ce n’erano. “Abbiamo sversato veleni anche nel sud del Lazio”, ha sempre dichiarato, dal 1993 ad oggi. Parole ripetute davanti alle telecamere nei mesi scorsi, per gli amanti del dubbio. La procura di Cassino ha deciso di andare fino in fondo, andando a cercare i fusti tossici, dopo aver ascoltato le parole dell’ex collaboratore di giustizia. Lo ha fatto su un territorio che fino a qualche giorno fa apparteneva ad un altro Tribunale, quello di Latina, passato sotto la sua giurisdizione dal primo ottobre, dopo la riorganizzazione decisa dal governo. Con un’inchiesta che parte da Formia – città roccaforte da trent’anni di almeno cinque gruppi di camorra – dove i sospetti si sono concentrati su una cava, Penitro. Uno sversatoio chiuso diverse volte, ma tornato attivo qualche giorno fa dopo un’ordinanza del sindaco Sandro Bartolomeo.
Ha una storia curiosa la cava di Formia. Il nome è riportato nella copiosa rassegna stampa che la Polizia provinciale presentò alla commissione d’inchiesta sui rifiuti nel 1997 – presidente Scalia – per mostrare le tante operazioni realizzate alla caccia dei veleni. Il primo sequestro dell’area era avvenuto il 14 aprile del 1991. La replica arriva sei anni dopo, nel 1997, quando la polizia provinciale rimette i sigilli nella discarica, trovando – sotto uno strato di argilla – alcuni contenitori da 200 litri “con sostanze tossiche e nocive”. All’epoca la notizia aveva ricevuto un certo rilievo, con l’apertura di un’indagine contro ignoti da parte della procura di Latina. Caso archiviato qualche anno dopo, nel 2001. Nessuno sa, però, se l’amministrazione comunale ha bonificato l’area. Non risultano, al momento, neanche delle ricerche specifiche per verificare se i due contenitore da 200 litri fossero solo la punta di iceberg ben più pericoloso. La cava, nel frattempo, sta continuando a ricevere rifiuti inerti, che coprono l’area del sospetto sversamento di rifiuti tossici.
Gli anni ’90 furono un decennio tragico per il sud pontino. Nel 1997, durante un’ispezione della commissione Scalia, i parlamentari scoprirono, in un deposito di Pontinia, 11.600 bidoni contaminati, molti dei quali ancora pieni di scorie. Un ritrovamento che ha poi occupato diverse pagine della relazione finale. Alla procura di Latina non c’è però traccia di un procedimento su quello che venne definito come uno dei principali ritrovamenti di rifiuti pericolosi degli anni ’90, mentre i documenti acquisiti tra il 1997 e il 1998 dalla commissione sul deposito di Pontinia non appaiono nell’elenco dei fascicoli liberamente consultabili. Secretati, come le parole di Schiavone, la cui audizione continua a non essere pubblica, nonostante le assicurazioni di un mese della presidenza della Camera. Quei fusti di Pontinia erano gestiti da un imprenditore di rilievo, attivo ancora oggi, Vittorio Ugolini.
Il suo nome appare in una informativa della Criminalpol di Roma datata 12 dicembre 1996, come uno dei tanti imprenditori in stretto contatto con Cipriano Chianese, avvocato considerato in molte inchieste la mente dei traffici gestiti dai casalesi, oggi imputato per disastro ambientale. Nella lunga lista dei veleni del sud del Lazio il primo posto tocca alla discarica di Borgo Montello. “Qui portavamo i fusti tossici”, ha raccontato Carmine Schiavone. Oggi le analisi dell’Arpa Lazio dimostrano – dati alla mano – la presenza di sostanze di origine industriale nelle falde acquifere. Dagli archivi spunta l’unica sentenza di condanna per l’avvelenamento di quel sito, del gennaio 1997: quattro mesi di reclusione per l’allora direttore della discarica, Adriano Musso. Motivo: “Aver effettuato fasi di smaltimento di rifiuti tossici e nocivi”. Nessuno, però, ha mai cercato il corpo del reato. Quei veleni sono ancora lì.

Meet-up 878, i manganellatori del Movimento che mettono in riga i «buonisti» di sinistra

Grillini/CIRCOLO DI RIFERIMENTO DELLA CAPOGRUPPO AL SENATO TAVERNA, A CACCIA DEL VOTO DI DESTRA
http://www.ilmanifesto.it/area-abbonati/ricerca/nocache/1/manip2n1/20131011/manip2pg/03/manip2pz/346988/manip2r1/palladino/
TAGLIO BASSO - Andrea Palladino

Buonismo. «Supercazzola di sinistra». O anche «immondizia ipocrita», sempre di sinistra. Il tam tam era partito subito, poche ore dopo il voto dei due senatori del M5S in commissione giustizia a favore dell'emendamento che abroga il reato di clandestinità. A rinserrare le fila sul «non-programma», mantenendo fissa la barra a destra, è un tale Tinazzi, alias di Ernesto Leone. Nome che dice poco a chi non mastica i social network grillini, ma che pesa - e tanto - nell'universo dei 5 stelle. E' l'organizer di un gruppo particolarissimo, conosciuto con il nome in codice «meetup 878». Senza un territorio, trasversale, contenitore ormai collaudato dei duri e puri, di quei pasdaran della linea ortodossa di Beppe Grillo e Gian Roberto Casaleggio. Circolo di riferimento per alcuni eletti, a iniziare dalla senatrice Paola Taverna, neo capogruppo al Senato, fino al deputato Alessandro Di Battista (che partecipa spesso alle loro riunioni), leader in ascesa del movimento.
Ernesto «Tinazzi» Leone sulla bacheca del meetup 878 aveva spiegato bene qual è la linea ufficiale sul tema migrazione, molte ore prima del post di Grillo: «Con un emendamento il movimento 5 stelle abolisce il reato di clandestinità, seguito a ruota dal Pd. Questa è una scelta grave e seria che alcuni nostri parlamentari hanno compiuto in buona fede, ma che doveva essere discussa e votata sul portale del movimento, oggi chiamato sistema operativo. E' un invito a venire allegramente in Italia. Andate e moltiplicatevi in little Italy dove c'è prosperità e lavoro per tutti. Fate quello che vi pare, ma non prendetemi per il culo». E ancora, in un secondo post pubblicato mercoledì sera: «Basta con il facile protagonismo. Esiste un altro movimento M5S che fa esattamente il contrario, cavalcando un buonismo, diventato stupidismo e visto il problema immigrazione, emenda una amnistia/indulto togliendo dai reati la clandestinità».
Da tempo il gruppo 878 - con a capo l'ex manager di multinazionali Ernesto Leone - si è assunto il ruolo di «manganellatore» all'interno del M5S. Non ha una veste ufficiale e riconosciuta, ma un peso molto forte sulla rete, dove riesce a agglutinare quella base informe nata e cresciuta attorno al blog di Beppe Grillo. Gente che ha una fede assoluta e incrollabile nelle teorie cospirazioniste del signoraggio, che mal sopporta l'intera sinistra, vero obiettivo da abbattere, spesso antieuropeista. L'elenco dei 511 attivisti è blindato e accessibile solo a chi entra nel circolo. Una scelta che, all'interno del movimento nel Lazio, aveva causato qualche polemica, soprattutto prima delle elezioni. E' però chiara la direzione dell'influente gruppo. L'intervista sul blog di Grillo a Nigel Paul Farage, leader del partito antieuropeista e conservatore britannico Ukip, ha riscosso, ad esempio, un notevole successo, tanto da essere definita «brillante». Ma altrettanto dura è la loro battaglia per espellere dal movimento chi non si allinea: «La base M5S non vede l'ora di andare a nuove elezioni per liberarsi di non tanti (ma nemmeno pochi) cialtroni che ha messo dentro e che nulla c'entrano col movimento 5 stelle per processi sbagliati in parte», scrive Ernesto «Tinazzi» Leone il 13 agosto scorso. L'obiettivo dichiarato è quello di isolare chiunque non segua l'indicazione di Grillo e Casaleggio, che puntano alle elezioni anche a costo di mantenere il Porcellum, evitando con cura ogni forma di dialogo con gli altri gruppi parlamentari: «Oggi il pretesto per gente che ha vinto la lotteria delle parlamentarie è la legge elettorale, alibi per cercare di apparentarsi col Pd. Man mano vengono fuori nuove persone, emergono da riempilista, nonne, zie, mamme senatori di deputati, ex quadri direttivi di Sel, segretari di partito, ex candidati nei partiti, partecipanti a primarie Pd, che da tavolazziana memoria fottono e chiagnono per la mancanza di dibattito, democrazia interna, dialogo e politica», prosegue il leader del meetup 878.
Il nocciolo duro del M5S - ovvero quel cerchio magico stretto attorno a Grillo e Casaleggio - sta apertamente puntando a recuperare i voti in fuga della destra populista. A cominciare dalla Lega nord. L'alleanza sui temi economici che Casaleggio ha stretto con i piccoli imprenditori veneti della Confapri - think tank veneto diretto dall'imprenditore Massimo Colomban - è esemplare. Dalle commissioni parlamentari, fino ai dibattiti pubblici i fedelissimi richiamano moltissimi temi cari al centrodestra, a partire da quello delle tasse. E oggi degli immigrati. Da anni, poi, Grillo spara a alzo zero contro le rappresentanze sindacali, tanto da proporre un «non sindacato» fotocopia del «non movimento».
I militanti del nord est di stretta osservanza - come l'ex consigliere comunale di Treviso David Borrelli - non negano di puntare a raccogliere il consenso tra i leghisti delusi, che rappresentano una buona fetta dell'attuale base elettorale grillina. Chi non accetta la linea - come Paola De Pin, uscita dal gruppo del senato qualche mese fa - viene pubblicamente bastonato dal quel «popolo della rete» tanto caro al gruppo 878: «Ha tradito il suo elettorato, è un'opportunista e basta, mi auguro solo che l'abbia fatto per i soldi di cui spero abbia un estremo bisogno», è uno dei commenti sulla pagina Facebook del meetup di Tinazzi.
C'è da scommettere che a breve inizierà il linciaggio nei confronti dei due senatori che in commissione hanno votato l'abrogazione del reato di clandestinità. Il manganello della rete è dietro l'angolo, pronto a colpire.

Tangenti e amianto, sede della Regione Piemonte sorgerà su terreni inquinati

E' quanto emerge dall'ordinanza di custodia cautelare che ha portato all'arresto dell'ex presidente della giunta nell’indagine sugli appalti del Consorzio della Venaria Reale. “Al grattacielo? È tutto eternit. "Lo mettono sotto”, dice una degli arrestati in una intercettazione

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/10/12/tangenti-e-amianto-futura-sede-regione-piemonte-sorgera-su-terreni-inquinati/739528/
Più che un grattacielo, la futura sede unica della Regione Piemonte è un torre di Babele che genera scandali. L’ultimo è quello svelato con l’arresto di Ezio Enrietti, presidente della giunta regionale tra il 1980 e il 1983, nell’indagine sugli appalti del Consorzio della Venaria Reale. Tra gli indagati dai pm Giancarlo Avenati Bassi, Stefano Demontis e Francesco Pelosi ci sono anche Paolo Rosa, presidente della società costruttrice Torre Regione Piemonte (Trp) e Maria Grazia Ferreri, moglie di Enrietti e funzionario a capo della Direzione patrimonio della Regione.  
Area ex Avio contaminata. La Lavori Edili Stradali srl (Les) di Enrietti, ritenuto dai pm amministratore di fatto, ha ottenuto da Trp un subappalto da circa 3,5 milioni di euro per gli scavi e il movimento terra nel cantiere dell’area ex Avio, terreno contaminato su cui sorgerà il grattacielo di 43 piani progettato da Massimiliano Fuksas, vincitore di un concorso indetto nel 2001 dall’ex governatore Enzo Ghigo. Enrietti, come si capisce dalle intercettazioni, è ben consapevole che il terreno è inquinato: glielo ricorda il 14 aprile 2012 il suo collaboratore Claudio Santese, pure lui finito in manette: “Lì viene fuori altra merda rossa lì, materiale che gli impianti non si prendono”. Se gli impianti non lo prendono, loro sanno dove metterlo. Lo conferma Francesco Pernice, direttore del settore “Conservazione beni architettonici e impianti” del Consorzio della Venaria Reale, arrestato lunedì: “Al grattacielo? È tutto d’amianto. Nascosto l’amianto lo mettono sotto”. E così la Les riesce pure a risparmiare 650mila euro sui costi.
Il gip sui terreni: “Inquietante questione da approfondire”. Per il gip Loretta Bianco l’utilizzo di terreni contaminati è “un’inquietante questione che, come già anticipato nella richiesta del pm., dovrà essere ulteriormente approfondita nel prosieguo delle indagini”. Il Consorzio smentisce l’uso di suolo inquinato nei lavori, ma intanto ieri i carabinieri del Nucleo operativo ecologico hanno prelevato dei campioni da analizzare. Bisogna capire se sono state fatte delle bonifiche e capire chi le ha fatte, a chi spettavano. Una risposta potrebbe fornirla Ferreri che, secondo il gip, è un “perno silente intorno al quale ruotano gli appalti aggiudicati dalla Regione direttamente o indirettamente alla Les”. Il capo della Direzione patrimonio, responsabile unico della gara d’appalto per la costruzione della Sede unica della Regione, ha seguito l’epopea del grattacielo dall’inizio: “insieme ad altri, aveva trattato l’acquisto dell’area in questione originariamente occupata dalla Fiat Avio”.
La truffa di Zunino. Prima ancora di questa indagine, la Procura di Torino aveva indagato sulla compravendita dell’area ex Avio, su cui un tempo sorgeva uno stabilimento del settore aerospaziale della Fiat. L’immobiliarista Luigi Zunino, “il più furbo dei furbetti” del quartierino, e la sua Risanamento spa avevano comprato alla fine del 2003 l’area dalla Fiat per 26,2 milioni di euro per poi rivenderla per 51,4 milioni alla Regione Piemonte. L’immobiliarista usò un trucchetto semplice, destando prima i sospetti dell’ente e poi quelli del sostituto procuratore Cesare Parodi, che ha indagato Zunino per “truffa aggravata”: nelle copie dei rogiti forniti alla Regione il “furbetto” aveva cancellato col bianchetto il costo da lui sostenuto, sostituendolo con uno più alto, così da indurre la Regione in errore e guadagnare 25 milioni. Poi nel contratto preliminare di vendita, grazie a una clausola capestro, riuscì a scaricare sulla Regione i costi per la bonifica, circa 20 milioni di euro. Dopo una condanna a 18 mesi in primo grado, nel processo d’appello concluso nel 2010 i giudici hanno dichiarato la prescrizione dei reati.
La parcella di Fuksas. Alcuni mesi dopo la prescrizione di Zunino, nell’agosto 2010, il neogovernatore Roberto Cota, insospettito dai costi dell’opera e dalla parcella da 22,5 milioni di euro di Fuksas, fa un esposto alla Procura regionale della Corte dei conti che ha avviato un’indagine molto complessa. Lo scorso marzo il sostituto procuratore regionale Corrado Croci ha inviato ai componenti della giunta di Mercedes Bresso e ad altri funzionari, tra cui spicca Ferreri, l’avviso di “costituzione in mora”, una sorta di avviso di garanzia.  
Nel documento si legge che i costi per la costruzione e la parcella di Fuksas sarebbero lievitati da quando nel marzo 2006 la giunta ha chiesto all’archistar di adattare all’area ex Avio il progetto originale del 2001, previsto su un’altra zona. Si passa da 75 metri di altezza ai 204 metri, su una superficie di 70mila metri quadri contro i 40mila originari. Raddoppiano l’altezza, la superficie e anche il numero di dipendenti regionali da ospitare. Aumenta anche la parcella di Fuksas: gli onorari riconosciuti solo per la “supervisione artistica” salgono a 431mila euro circa, ma secondo i calcoli della procura e dei consulenti dovrebbero fermarsi a 303mila euro perché bisogna escludere dal conteggio i lavori per fondamenta e impianti idraulici, termici ed elettrici, che di artistico hanno ben poco. Mentre l’indagine prosegue l’assessore al bilancio Gilberto Pichetto Fratin ha avviato una trattativa con l’architetto per ridefinire il compenso dello staff impegnato nell’assistenza artistica, 240mila euro in sei mesi: “Ho la massima stima dell’architetto Fuksas e sono certo che sarà una proficua collaborazione nell’interesse della città”, ha detto il 3 agosto scorso. Il collega Gian Luca Vignale invece lunedì dopo gli arresti ha preferito cancellare la visita programmata al cantiere.

Porto Tolle: Greenpeace assolta, ora a processo ci va Enel

 di | 11 ottobre 2013

Assolti. Lo scorso 4 ottobre sono stati assolti 25 attivisti di Greenpeace che, nel 2006, furono protagonisti per tre giorni di una azione di protesta alla centrale di Porto Tolle (Rovigo) che Enel vuole convertire a carbone. L’azione era motivata anche dal fatto che, per “far spazio” a questa nuova centrale, l’allora governo Prodi aveva presentato un piano di emissioni di Co2 al rialzo, che prevedeva soglie di emissione non in linea con gli impegni dell’Italia in materia di difesa del clima. Con quell’azione Greenpeace chiedeva il blocco della conversione a carbone – allora peraltro vietata dalla legge istitutiva del Parco regionale veneto del Delta del Po – e la riduzione del piano di emissioni di Co2.
La protesta non ebbe effetti sul governo, che tirò dritto, presentando un piano di emissioni elevate proprio per “far posto” anche a Porto Tolle. A tagliare il piano – di oltre la metà rispetto a quanto richiesto da Greenpeace – fu, qualche mese dopo, la Commissione Europea. Successivamente una coalizione di ambientalisti, tra cui Greenpeace, vinceva al Consiglio di Stato un ricorso contro l’autorizzazione del progetto, che ora è di nuovo in itinere. 
Enel nel frattempo è un’azienda molto diversa, almeno in termini di immagine. Dalla fine del suo monopolio sull’elettricità, e sempre più con l’accresciuta concorrenza nel settore, investe milioni e milioni di euro in marketing e comunicazione. Investe per raccontare ai consumatori e ai cittadini che è un’azienda attenta alla sostenibilità e al profilo etico del suo business. Forse va raccontata una storia un po’ diversa. Enel è il quarto emettitore assoluto, in Europa, di gas serra; il primo in Italia. Solo nel nostro Paese, le emissioni delle sue centrali a carbone causano una morte prematura al giorno e danni per quasi 2 miliardi di euro l’anno. Che l’azienda non rifonde. 
Enel comunica in una sola direzione. Inonda l’opinione pubblica di messaggi promozionali ma non accetta interlocuzione alcuna. Si presenta ai processi contro Greenpeace con una linea non molto diversa da quella delle autorità russe che in questi giorni detengono i nostri attivisti “colpevoli” di una protesta pacifica contro le trivellazioni petrolifere in Artico. I legali di Enel si presentano ai processi contro Greenpeace con una linea non tanto diversa da quella presa dalle autorità russe in questi giorni: oltre a richieste esorbitanti di danni, chiedono di considerare Greenpeace una “associazione a delinquere”. Il giudice a Rovigo, come quello a Brindisi, ha respinto la richiesta di considerarci tali. Del resto, la risposta ai nostri rapporti scientifici – elaborati da Istituti terzi – sui morti dovuti alle emissioni delle centrali a carbone dell’azienda, Enel ha risposto con querele e denunce, ma senza alcun argomento tecnico.
Ora a processo ci va anche Enel – già condannata per disastro ambientale per la stessa centrale di Porto Tolle – e Greenpeace si è costituita, assieme ad altre associazioni, parte civile nel procedimento. Esistono studi epidemiologici predisposti dal pm che mostrano tali effetti. La centrale di Porto Tolle, alimentata a olio combustibile, ha funzionato grazie a continue deroghe ambientali, non avendo mai applicato una direttiva europea sulle emissioni del 1988: un altro caso di violazione pianificata delle norme ambientali. 
La centrale di Porto Tolle per anni ha emesso inquinanti con quantità anche 20-30 volte superiori a quelle previste nel piano della sua conversione. Utilizzando un modello previsionale dell’Università di Stoccarda, gli impatti sanitari di una centrale a carbone a Porto Tolle, come quella progettata da Enel, equivarrebbero a 85 casi l’anno di morte prematura associabile alle emissioni. Dall’analisi delle emissioni della vecchia centrale a olio combustibile, che Enel ha utilizzato pienamente fino al 2006, è lecito ritenere che la mortalità in eccesso associata all’operatività di quell’impianto fosse maggiore di circa 10 volte almeno. 
In queste settimane, l’ultima trovata di Enel è su tutti i media: tv, giornali, web, social. #Guerrieri è un hashtag presto divenuto un “crashtag”, un vero case history di fallimento di una campagna pubblicitaria: migliaia di cittadini e consumatori lo hanno utilizzato per contestare l’azienda, per ricordare le sue inefficienze e i suoi impatti sul clima, sull’ambiente, sulla salute. Migliaia e migliaia di persone, sui canali social, hanno sfidato Enel con l’irriverenza. I ‘guerrieri’, quelli in cui Enel non pensava di imbattersi, sono anche coloro che si battono perché l’azienda riduca la sua quota di produzione a carbone, giunta al 50 per cento della produzione in Italia. Sono quelli usciti assolti dal processo a Porto Tolle, e che continuano la battaglia come parte civile per inquinamento e danni alla salute: fratelli di quei 30 ‘guerrieri’ detenuti oggi in Russia per aver cercato di difendere l’Artico e il clima dal petrolio. Sono i guerrieri dell’arcobaleno.

Terra dei Fuochi, se le tossine e l’omertà si combattono con la musica


Ricevo e pubblico da Salvatore Setola, valente giornalista del Mucchio Selvaggio – Extra e OndaRock, la segnalazione di questa iniziativa che andrà di scena questo fine settimana in quei luoghi campani martoriati dalla piaga dei rifiuti tossici, finalizzata a rompere il muro d’omertà e far parlare di un tema troppo a lungo insabbiato. (AA)
 ”Nella Terra dei Fuochi – quel lembo di Campania tra l’alto napoletano e il basso casertano – quasi ogni famiglia ha in carico sulle spalle una croce pesante come un macigno: il tumore di un proprio caro. In quelle lande, la terribile malattia ne risparmia pochi. Ne muoiono gli anziani, ormai rassegnati a finire i loro giorni sul letto di un reparto di oncologia; ne muoiono gli adulti, consapevoli che dalle loro parti passare i sessant’anni indenni equivale a un terno al lotto; ne muoiono i giovani, terrorizzati dall’afrore luttuoso che si respira per le strade dei loro paesi.
Soprattutto, ne muoiono i bambini, la cui unica colpa è quella di essere nati in un ambiente avvelenato. È una mattanza senza fine, un olocausto silenzioso di cui si conoscono da tempo i responsabili: la camorra locale, le aziende del Nord e le istituzioni colluse. Un mix letale che ha trasformato le campagne fertili dell’Agro Aversano e dell’Agro Atellano in ricettacoli di ogni schifezza tossica, radioattiva e nociva in genere. Fortunatamente, nelle ultime settimane la popolazione, guidata dall’inesauribile vigore di don Maurizio Patriciello, sembra essersi svegliata da un lungo torpore. Quattromila manifestanti ad Aversa e a Casal di Principe, ottomila a Giugliano, ben trentamila a Caivano.
Ma l’urlo di un popolo afflitto, per quanto acuto e disperato possa essere, può cadere nel vento, se dall’altra parte chi dovrebbe ascoltare fa finta di essere sordo. Per tacere delle deprecabili illazioni del ministro della Salute Beatrice Lorenzin – che ha attribuito l’alta incidenza di tumori in Campania agli “stili di vita errati” – e le vergognose offese di Mario Adinolfi e –ultimo proprio nella giornata di ieri – tale Claudio Velardi. Circostanze che rischiano di trasformare, come da prassi italica, il dramma in farsa.
Un’azione forte è quello che ha fatto la scorsa notte l’artista Giovanni Pirozzi, installando nelle piazze e nelle strade di San Cipriano d’Aversa, Casal di Principe e Casapesenna – ovvero il cuore del clan dei Casalesi – più di centocinquanta manichini realizzati con quasi cinquemila bottiglie di plastica. Sono figure che rappresentano in larga parte persone comuni impegnate in attività quotidiane: una mamma tiene in braccio il suo neonato, un uomo porta in giro il cane, una scolaresca assiste alla lezione, una rock band suona in uno scantinato. Niente di straordinario, se non fosse che ognuno di loro cova nel proprio organismo della macchie nere che attirano l’attenzione al primo sguardo e gelano il sangue nelle vene: sono tutti potenziali morti. Morti che camminano; così si sente la gente che vive in quei posti.
L’ installazione a cielo aperto rientra nell’ambito della rassegna “Accendiamo la speranza!”, organizzata dalle associazioni Work In Progress e Albanova Bene Comune: una tre giorni che si apre oggi pomeriggio alle ore 19 in piazza Marconi a San Cipriano d’Aversa, dove si terrà una tavola rotonda sul delicato tema “Rifiuti e tumori” a cui parteciperanno il dottor Antonio Marfella (medico dell’Istituto Nazionale Tumori “G.Pascale” di Napoli, uno dei primi a denunciare la drammatica situazione della Terra dei Fuochi ), il vescovo di Aversa Angelo Spinelli, il dottor Enrico Fontana (presidente di Libera Terra Mediterraneo) e il professore Stefano Tonziello. Interverranno inoltre i comici Maria Bolignano e Paolo Caiazzo. Domani invece, sempre a partire dalle ore 19 ma in piazza Del Giglio, nei pressi della stazione di San Cipriano d’Aversa, si terrà un concerto indie-rock, evento più unico che raro da quelle parti.
Sul palco si alterneranno band di diversa estrazione stilistica e culturale, esponenti della sempre florida scena partenopea: dalla poesia elettroacustica dei Foja al rock d’autore venato folktronica dei Veltanshaung, dalla fabbrica di poliritmi di Capone & BungtBangt alle fantasiose sperimentazioni timbriche degli altrettanto percussivi Bidonvillarik, dall’intrigante fusion etno-mediterranea degli sos alle suggestioni bandistiche e cinematografiche del sassofonista Pino Ciccarelli. E poi ancora l’hip-hop d’assalto di Capecappa e Underground Science Naples e quello più melodico di Rocco Hunt. L’auspicio è che indipendentemente dal gradimento della proposta musicale – che si presenta comunque abbastanza variegata da poter appagare diversi palati musicali – giovani e meno giovani accorrano numerosi anche dai paesi limitrofi.
Sarà sicuramente una nuova tappa della presa di coscienza civile in atto negli ultimi mesi, ma potrebbe essere anche un’importante occasione d riscatto culturale per un territorio problematico che in passato ha stroncato sul nascere il minimo accenno di vitalità musicale (qualche anno fa a Casal di Principe un concerto dei 24 Grana finì in rissa). La causa è buona e giusta, la musica anche: trasformiamo i roghi tossici in vampe di speranza!”
Salvatore Setola

Fukushima, il Giappone chiede aiuto alla comunità internazionale

Fukushima, il Giappone chiede aiuto alla comunità internazionale

Il premier Shinzo Abe apre “alle più avanzate conoscenze” provenienti dall'estero per contenere il problema della radioattività e dell'acqua contaminata. Se qualcosa dovesse andare storto, i piani di ripresa da qui al 2020, quando Tokyo ospiterà le Olimpiadi, potrebbero essere compromessi

Fukushima
Suona come una mezza resa la frase del premier giapponese Shinzo Abe a un convegno internazionale sull’energia e l’ambiente ieri a Kyoto: “Abbiamo bisogno della vostra conoscenza e della vostra esperienza”. Dopo che la scorsa settimana è stata rivelata una nuova perdita di acqua contaminata dalle cisterne di stoccaggio della centrale nucleare di Fukushima Daiichi, il primo ministro giapponese ha dato la sua disponibilità ad aprire “alle più avanzate conoscenze” provenienti da fuori i confini nazionali per contenere il problema. Inoltre, sei lavoratori sono stati esposti direttamente a una perdita di acqua contenente materiali radioattivi. Ma è solo l’ultimo di una serie di incidenti che hanno messo in luce la precarietà in cui si trovano a lavorare gli addetti nella centrale nucleare danneggiata. Lo scorso anno la stampa aveva rivelato che alcuni dei lavoratori della Tepco avevano ricevuto l’ordine di indossare placche di metallo per truccare i dati dell’esposizione alle radiazioni.
È la prima volta che su Fukushima il Giappone lancia un sos ufficiale alla comunità internazionale: ora anche il primo ministro sembra ammettere fra le righe che non tutto è “sotto controllo”. Giovedì scorso è arrivato l’annuncio di Tepco: altra acqua ad alta concentrazione di materiali radioattivi (200mila becquerel per litro, secondo le loro stime), usata per tenere sotto controllo la temperatura nei reattori della centrale, sarebbe finita in mare. Dietro la nuova débâcle dell’azienda elettrica di Tokyo, ci sarebbe stato il maltempo che negli ultimi giorni ha investito il Giappone: la troppa acqua piovana accumulatasi tra le barriere dove si trovano le cisterne avrebbe costretto gli operatori a pomparne più di quanta ne potessero contenere. Dunque, un grossolano errore di valutazione. E l’opinione pubblica appare sempre più preoccupata e sfiduciata.
A dare voce alla frustrazione della popolazione della prefettura di Fukushima è stato il governatore della prefettura Yuhei Sato. “Il presidente (di Tepco) Inose aveva garantito che avrebbe impiegato tutte le risorse a disposizione della sua azienda per fermare le fuoriuscite di acqua contaminata. Dubito seriamente che rispetterà la parola data. La gestione della questione è stata superficiale e insoddisfacente”. Accuse amplificate appena qualche giorno prima da Shunichi Tanaka, presidente della Nuclear Regulation Authority, la commissione di valutazione degli standard di sicurezza degli impianti nucleari giapponesi. “E’ unicamente l’operatore – quindi Tepco – a doversi assumere la responsabilità della messa in sicurezza dell’impianto”.
Intanto, rivela l’agenzia Jiji, sarebbe allo studio del governo un piano per la divisione di Tepco in due entità: una gestirà Fukushima, l’altra porterà avanti l’amministrazione dell’azienda. Ed è proprio a Fukushima che si gioca la credibilità di Abe. Se qualcosa dovesse andare storto, i piani di ripresa da qui al 2020, quando Tokyo ospiterà per la seconda volta nella sua storia le Olimpiadi, potrebbero essere compromessi. E allora Abe non resta che giocarsi anche la carta dell’aiuto dall’estero. Anche perché negli ultimi giorni sui media nipponici le critiche al premier si sono moltiplicate. In particolare, rispetto alle rassicurazioni date dal premier al Cio e a tutta la comunità internazionale. Affermazioni in contraddizione con quanto titolato dai giornali giapponesi appena due settimane prima. Il 20 agosto, infatti, Tepco aveva rivelato una fuoriuscita di almeno trecento tonnellate di acqua contaminata, passata inosservata per mesi. In molti oggi si interrogano sulla “bugia” di Abe. “Per quanto si siano volute a tutti i costi le Olimpiadi – scriveva giorni fa il settimanale Shukan Kinyobi – com’è possibile che nessuno abbia capito che mentire davanti alla comunità internazionale non farà che diminuire la fiducia nei confronti Giappone?”
di Cecilia Attanasio Ghezzi

domenica 6 ottobre 2013

Lampedusa il grido di vergogna del Papa ai politici: il protocollo dell'isola dei conigli

IL PROTOCOLLO D E L L’I SO L A DEI CONIGLI di Antonio Padellaro Ma quali imperdonabili colpe hanno i poveri morti di Lampedusa abbandonati, bruciati, annegati e adesso usati, maneggiati, falsificati ed esibiti come una qualunque, dozzinale merce politica e televisiva? Che dire del ministro Alfano che “unendosi alla vergogna del Papa” ne tradisce il pensiero e lesto se ne appropria avendo, al contrario, Francesco rivolto il grido sdegnato anche e soprattutto a quegli uomini di governo che potevano fare e non hanno fatto. E che poco hanno intenzione di fare visto che Angelino mette le mani avanti e ci comunica che “forse non sarà l’ultima tragedia” come se gli oltre 6mila migranti, che in un decennio hanno concluso la loro traversata in fondo al mare morto siciliano, fossero la conseguenza di una fatalità imperscrutabile e ine inevitabile. Cosa dunque dobbiamo pensare quando la presidente della Camera Boldrini ci dice che “nulla dovrà essere più come prima”, visto che “prima” c’era lei che per conto dell’Onu si occupava a tempo pieno di quei rifugiati di cui ora non risulta che si occupi più nessuno? E quel tutto che deve cambiare perché nulla sia più come prima come potrà farlo in presenza di leggi infami e imbecilli come quella Bossi-Fini che prevede l’ac - cusa di favoreggiamento anche per chi soccorre in mare persone stremate che stanno per morire? (Senza contare il reato di immigrazione clandestina che sarà contestato ai superstiti, colpevoli forse, di essere rimasti vivi). Come può cambiare la burocrazia vigliacca del nulla impastato col niente che, mentre le barche dei pescatori affondavano stracolme di corpi disperati, avrebbe risposto alla richiesta di trasbordarli sulle motovedette, “non possiamo, dobbiamo aspettare il protocollo”. Frase talmente abietta che l’unica cosa da augurarsi è che non sia mai stata pronunciata. E se il premio Nobel per la Pace andrebbe giustamente assegnato alla nobile gente di Lampedusa, per il senso profondo che hanno dato alle parole accoglienza e soccorso, quale solenne menzione di biasimo si dovrebbe appuntare sul petto di chi doveva intercettare il barcone con il dispositivo Frontex o per lo meno, avvistarlo con i radar e che avrà per sempre sulla coscienza quella moltitudine implorante e sommersa a poche centinaia di metri dalla costa? Vicino a quell’Isola dei Conigli, dalla notte del 2 ottobre luogo geografico della disperazione e dell’ignavia. Che hanno fatto di male i poveri corpi di Lampedusa per essere esposti infine nei talk show della sera, vittime che i consueti ospiti urlanti si sono rinfacciate nel solito pollaio tra finta commozione e autentica oscenità? Potrebbe non essere l’ultima pena riservata a questi eritrei e somali colpevoli di essere fuggiti dalla fame se, come si teme, il minuto di silenzio loro tributato negli stadi dovesse essere interrotto dai fischi e cori razzisti. Sarebbe la degna marcia funebre per un Paese che è naufragato molto tempo fa. Il fatto quotidiano 6 ottobre 2013

Governo trova soldi per le missioni all’estero. Briciole all’emergenza immigrati

Staccato un assegno da 226 milioni per il rifinanziamento di 25 spedizioni internazionali. Deluso chi si aspettava un diverso riparto delle risorse per rispondere subito al problema immigrazione dopo la tragedia di Lampedusa

Governo trova soldi per le missioni all’estero. Briciole all’emergenza immigrati
Mentre le immagini della tragedia di Lampedusa facevano il giro del mondo, il Consiglio dei ministri staccava un assegno da 226 milioni per le missioni internazionali delle Forze armate e di polizia. E l’emergenza immigrazione dalla Libia e dalle coste del Nord Africa, a quanto pare, ha raccolto ancora le briciole. I ministri si sono riuniti venerdì, giorno del lutto nazionale, rispettando un minuto di silenzio per le vittime del naufragio a mezzo miglio dall’Isola dei Conigli. Ore 14.20. Un minuto dopo approvavano su richiesta del ministro della Difesa Mario Mauro e del ministro degli Esteri Emma Bonino il rifinanziamento di 25 missioni per due mesi, dal 1 ottobre al 31 dicembre 2013. Chi si aspettava un diverso riparto delle risorse per dare una risposta immediata all’emergenza rimane deluso. Nessun cambio in corsa, anche se nel frattempo la cronaca della tragedia a Lampedusa si intrecciava con la questione dei fondi per il pattugliamento delle coste e il contrasto alla tratta di esseri umani nel Canale di Sicilia.
Una questione emersa subito, quando ci si è chiesti come sia stato possibile che il barcone arrivasse a 800 metri dalla costa senza essere intercettato dai servizi di pattuglia e motovedetta. A porla, senza veli e filtri, è stato proprio il sindaco di Lampedusa accogliendo il ministro degli Interni, Angelino Alfano: “Anche noi siamo l’Italia”, ha scandito Giusi Nicoli. E ancora: “Caro Letta, venga con me a contare i morti”. Ma la politica, scossa dalle immagini, ha reagito ributtando la questione nel campo dell’Europa, rea di aver lesinato fondi. E quella è la linea al momento. Così non stupisce che mentre tutto questo accadeva il Consiglio dei ministri desse il via libera al rifinanziamento delle missioni militari, ormai scadute, senza modificare il riparto.
Le missioni: 17 uomini in Libia, 500 nei Balcani
Ancora in prima linea l’Afghanistan con con 124 milioni per la missione Isaf/Eupol che ci vede impegnati con oltre 3mila militari. A seguire la Unifil in Libano per 40 milioni, altri 11 per la compartecipazione alle missione Nato contro la pirateria negli oceani. Alla Libia, invece, sono andati 2,8 milioni per garantire la partecipazione del Corpo della Guardia di Finanza, la manutenzione delle unità navali cedute dal governo italiano al governo libico e lo svolgimento di attività di addestramento del personale della Guardia costiera libica. Altri 91.430 euro sono stanziati come contributo di partecipazione del personale della Polizia di Stato alla missione europea Eubam Libya. Del resto a Tripoli, secondo l’ultimo report del ministero della Difesa (settembre 2013) abbiamo 17 soldati in tutto, al seguito della missione Cirene, mentre secondo i dati forniti dalle autorità libiche sulle coste ci sarebbero 20mila profughi in attesa di partire. Per fare un confronto: nei Balcani siamo presenti con 554 militari, solo all’aeroporto di Dakovica dal 1999 abbiamo impegnati 150 uomini dell’aeronautica.
“A Lampedusa il Nobel, i soldi all’Afghanistan”, lamentano le associazioni impegnate nei soccorsi e nell’accoglienza di profughi e richiedenti asilo che si chiedono perché non c’erano motovedette italiane. E la risposta che arriva da più parti è che l’Italia ha speso sì una barca di soldi per far fronte all’emergenza, ma nei muri dei Cie. Tra il 2005 e il 2012 il Viminale ha speso quasi 1,6 miliardi di euro, tra i fondi europei Rimpatri e Frontiere esterne e il Programma nazionale (Pon) Sicurezza. Gran parte dei soldi messi a disposizione (quasi 200 milioni di euro l’anno) sono serviti per costruire, ristrutturare e gestire i 29 Centri di identificazione ed espulsione (Cie) sul territorio.
L’emergenza Nord Africa finita sulla carta
Sotto accusa anche il mancato rifinanziamento del piano straordinario di accoglienza terminato per esaurimento fondi il 31 dicembre 2012. Gli sbarchi continuavano ma quel giorno si è ufficialmente concluso il piano nazionale “Emergenza Nord Africa”, avviato nel 2011 per far fronte all’ondata di profughi messa in moto dalla rivoluzione tunisina a dalla guerra in Libia. Un miliardo e 300 milioni i soldi stanziati dallo Stato, distribuiti al ministero dell’Interno e alla Protezione civile dal 2011 ad oggi, 20mila euro per ogni persona, circa 46 euro giornalieri versati alle strutture di accoglienza per ciascun rifugiato.
Ogni regione ha accolto un numero di profughi proporzionale ai suoi abitanti. La Protezione civile ha coordinato il piano, Roma ha incaricato le prefetture locali o gli assessorati regionali come responsabili della gestione. Ma nonostante numerosi appelli dal mondo della cooperazione e dai settori più sensibili delle istituzioni non è stato rifinanziato. Ancora il 16 settembre, il sottosegretario alla Giustizia Giuseppe Beretta chiedeva un ripensamento: “Negli ultimi tre mesi sono sbarcati in Sicilia oltre 3mila migranti, soprattutto siriani ed egiziani, e le previsioni dicono che entro l’anno ne arriveranno 10mila, la maggior parte siriani. Sarebbe forse opportuno soprassedere sulla decisione di smantellare il sistema dell’emergenza Nord Africa perché i nuovi enti gestori diffusi sul territorio e la sperimentazione di nuove modalità di fare accoglienza rappresentano un patrimonio che non va disperso”.
Due mesi prima era stato il garante dei diritti per l’infanzia a chiedere risorse aggiuntive: “Non si può passare dai fondi per l’Emergenza Nord Africa, ormai conclusa da quasi un anno, a un’ordinarietà che non lo è”, diceva Vincenzo Spadafora in un vertice alla Prefettura di Palermo per discutere dello sbarco in quei giorni di mille immigrati sulle coste dell’isola delle Pelagie. “Bisogna affrettarsi, non si possono vedere ogni anno le stesse terribili immagini”. E invece se ne sono viste anche di peggiori.
La polemica sui fondi con l’Europa
Intanto c’è chi chiama in causa l’Europa e chiede più fondi. Anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha sollecitato un maggior impegno di Frontex, l’agenzia fondata nel 2004 dal Consiglio europeo per gestire il pattugliamento e intervenire nelle operazioni di salvataggio in mare. Per l’emergenza del 2011, con l’operazione Hermes, l’agenzia aveva inviato nelle acque della Sicilia quattro aerei, due navi e due elicotteri militari, per un costo preventivato di 2 milioni di euro a carico dell’Ue. Ma giovedì all’alba non c’era nessuno nella scia di mare tra il porto libico di Zuwarah e Lampedusa. A rispondere a stretto giro è stato il commissario per l’Integrazione Cecilia Malstrom sottolineando come l’Italia sia stata tra i principali beneficiari di finanziamenti europei, con 230 milioni di euro tra il 2010 e il 2012 e altri 137 nel 2013. Si è poi assunta l’impegno a dirottare nel Mediterraneo il piano Eurosur da 340 milioni entro il 2020. Come dire l’Europa c’è. Ora tocca al governo fare la sua parte per rivendicare risorse e investirne di proprie.
L’intervista all’ammiraglio Accame: “F35 e portaerei? Servono motovedette per vigilare le coste” di Franz Baraggino http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/10/06/lampedusa-governo-investe-nella-difesa-allemergenza-immigrati-solo-briciole/734030/

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