mercoledì 5 giugno 2013

il Tar dell'Emilia boccia impianto a biogas di Medicina (BO)

TUTELA AMBIENTALE GIUSEPPE BONAZZI Crpa, Reggio Emilia Alt all’impianto di biogas, sentenza che fa discutere - Il Tar dell’Emilia-Romagna ha imposto lo stop ad un progetto avviato a Medicina (Bo) con motivazioni che rischiano di penalizzare una tecnologia che va invece incentivata. Preoccupazione negli ambienti agricoli sta destando la sentenza del Tribunale amministrativo regionale (Tar) dell’Emilia-Romagna del luglio scorso, che ha accolto il ricorso di un gruppo di cittadini di un comune del bolognese (Medicina), contrari alla realizzazione di un impianto industriale per la produzione di fertilizzanti e biogas nelle vicinanze delle loro abitazioni. Con un approccio alla questione alquanto discutibile, infatti, il Tar ha fatto un salto indietro dal punto di vista dell’interpretazione della legislazione in materia, arrivando a riconsiderare le materie fecali come rifiuti che devono essere smaltiti; di conseguenza la digestione anaerobica per la produzione di biogas diventa un mero processo di trattamento dei rifiuti.Le ripercussioni di questa decisione potrebbero essere pesanti per un’attività che invece proprio il legislatore nazionale, nel recente decreto legislativo n. 4/2008, correttivo e integrativo del decreto ambientale n. 152/2006, ha portato nell’ambito dell’agricoltura, stabilendo che i liquami zootecnici ed altre sostanze naturali utilizzate nell’attività agricola non rientrano nel campo d’applicazione della disciplina rifiuti. Questo salto di qualità doveva essere lo spunto per uno sviluppo della produzione di biogas da sottoprodotti agricoli, in un momento - come quello attuale - fortemente interessato alla produzione di energie rinnovabili. ITER FORMALMENTE CORRETTO L’iter seguito dal progetto dell’impianto industriale per la produzione di fertilizzanti e biogas oggetto di contenzioso era formalmente corretto ai sensi della normativa che considera questo tipo di attività come agricola. Infatti, era già stata concessa la cosiddetta “Autorizzazione unica” e la realizzazione dell’impianto doveva ricadere su un terreno agricolo. L’impianto, però, si trova «esattamente di fronte alle abitazioni dei cittadini ricorrenti». Di qui la richiesta di spostare l’impianto in altro luogo e, in ogni caso, a una distanza non inferiore a 300-400 metri dalle abitazioni.Non avendo trovato ascolto, i cittadini hanno deciso di ricorrere al Tar per l’annullamento dell’Autorizzazione unica alla costruzione ed all’esercizio dell’impianto di biogas. Il giudice amministrativo avrebbe potuto andare incontro alle legittime esigenze dei cittadini pretendendo, ai sensi delle norme del Codice civile che tutelano i cittadini da possibili molestie come rumori e odori, uno studio limitato a tale tipo di impatto. Ciò, oltre che corretto, avrebbe evitato di arrivare ad una sentenza che rischia di penalizzare ingiustamente una tecnologia innovativa che invece va fortemente incentivata. Da parte loro,Provincia di Bologna e Comune avrebbero potuto opporsi alla localizzazione proposta, accogliendo le richieste dei cittadini di costruire l’impianto più distante dalle abitazioni, salvaguardando in modo sempli-ce ma efficace i loro diritti, senza però pregiudicare la fattibilità dell’impianto. LA DECISIONE DEL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO Visto il contenuto del ricorso, che metteva in risalto come i cittadini interessati «avrebbero potuto essere colpiti da danno ambientale» o «semplicemente essere interessati da misure precauzionali», il Tar era quasi obbligato ad emettere una sentenza a loro favore, non potendo non riconoscere il diritto alla tutela della propria sicurezza. I giudici amministrativi, però, hanno ignorato le nuove disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 4/2008, preferendo dimostrare, talvolta in maniera pretestuosa, come l’impianto per la produzione di energia dovesse sottostare a una procedura di verifica come previsto dalla legge regionale n.9/1999, che disciplina la valutazione dell’impatto ambientale (Via) di impianti, opere o interventi. Questo perché il Tar ha considerato l’impianto in discussione di tipo industriale, nonostante la digestione anaerobica per ricavare energia da liquami e da altre sostanze naturali sia attività agricola ai sensi dei decreti legislativi n. 228/2001 e n. 99/2004, così come la successiva utilizzazione agronomica del digestato. E infatti giustamente le autorità competenti non hanno chiesto alcun tipo di valutazione di impatto ambientale ai promotori dell’impianto. A ulteriore rafforzamento della sua convinzione, il Tar afferma, nelle motivazioni della sentenza, che i liquami devono essere considerati rifiuti, tralasciando così le indicazioni di un altro provvedimento nazionale - il decreto legislativo n. 152/2006 - che dà la possibilità di considerarli, invece, come sottoprodotti.Una delle motivazioni, peraltro speciosa, a suffragio di questa tesi è che per produrre energia i liquami subiscono una trasformazione in un prodotto intermedio, il biogas, passando attraverso un processo produttivo e solo successivamente il prodotto intermedio viene trasformato in energia. Inoltre, il Tar afferma che il digestato è un residuo da classificare come rifiuto in quanto è incluso nell’elenco dei rifiuti del decreto n. 152/2006 e subisce un trattamento prima dell’utilizzo, cioè la separazione solido/liquido. La prima motivazione non regge all’esame critico, perché se è vero che il digestato in questione è un rifiuto, è altrettanto vero che si sottrae alla disciplina dei rifiuti, sempre ai sensi del decreto n. 152/06. Del resto, nemmeno la seconda motivazione trova supporto, a meno che non si classifichi il digestato come sottoprodotto, cosa che non si pensa di fare dal momento che si accetta la sua classificazione di “rifiuto”, valendosi però, e questo è importantissimo, dell’esclusione dal campo d’applicazione della disciplina “rifiuti”. Il Tribunale amministrativo cita pure una sentenza della Corte di giustizia europea per la quale «se il riutilizzo di un sottoprodotto comporta operazioni di deposito che possono avere una certa durata ed essere, quindi, potenzialmente fonte di danno per l’ambiente, la sostanza di cui trattasi perde i requisiti di sottoprodotto e deve essere considerata come rifiuto».Ad avviso di chi scrive si tratta di una citazione non pertinente perché, come appena evidenziato, il digestato è considerato un rifiuto, seppure escluso dal campo di applicazione della relativa normativa. LE AMBIGUITÀ NORMATIVE Dal punto di vista giuridico, la vicenda non è chiusa: la sentenza del Tar dell’Emilia-Romagna può certamente essere impugnata. Resta comunque il problema di una normativa non chiara, che può portare ad altre decisioni di questo tipo.Per eliminare le ambiguità che permangono anche nel decreto n. 4/2008 e per snellire le procedure di rilascio delle autorizzazioni necessarie alla messa in opera degli impianti, il ministero delle Politiche agricole ha promosso un gruppo di lavoro sull’uso agronomico del digestato. La Regione Emilia-Romagna ha fatto di più,emanando una delibera su “Aspetti della normativa ambientale in relazione agli impianti di biogas” (prot. n. SSA/08/180218), che fa chiarezza e introduce semplificazioni molto utili al conseguimento dell’obiettivo di un decollo dell’energia rinnovabile da biomasse.

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