lunedì 10 giugno 2013

Le vittime dell’amianto e lo sviluppo sostenibile

Diversi anni fa rimasi impressionato dalla visione di un documentario sui danni da amianto. Veniva intervistata negli Stati Uniti una signora anziana e magrissima che ricordava come ella lavorasse in una fabbrica di lavorazione dell’amianto e come sul luogo di lavoro sembrava cadesse la neve. Erano fibre di amianto e quella donna morì poco dopo aver rilasciato l’intervista.
Mi sono venute alla mente quelle tristissime immagini nei giorni d’appello della sentenza Eternit. Il Piemonte ha dato un contributo enorme in termini di vittime dell’amianto. Tra l’altro, ci si è concentrati giustamente su Casale Monferrato, dove operava la Eternit, ma ci si dimentica (o almeno molti in Italia non sanno) che fino al 1990 nei Comuni di Balangero e Corio, nel Canavese, operava l’amiantifera di Balangero, una miniera a cielo aperto di amianto fra le più grandi al mondo. E anche qui lo sviluppo ha richiesto il suo contributo di morti. Settanta accertati, ma l’Arpa Piemonte rileva che si continua a morire di mesotelioma nelle vicinanze della cava.
Intanto l’amianto nel mondo continua ad essere estratto. In particolare in Canada, dove addirittura esiste una città che si chiama Abestos (da cui il nome “asbestosi”).
Il Canada detiene il 22% della produzione totale d’amianto nel mondo ed è leader mondiale nella sua esportazione: la maggioranza delle oltre 500.000 tonnellate di amianto prodotte annualmente in Quebec vengono destinate verso i paesi del terzo mondo, dove ancora è legale la lavorazione e l’utilizzo. In Colombia, ad esempio, dove sono attive fabbriche di Eternit e dove l’Eternit continua ad essere utilizzato nelle favelas e non solo.
In Italia le vittime sono state qualche migliaio, circa tremila, ma secondo l’Osservatorio Nazionale sull’Amianto a causa dell’amianto nel mondo muore una persona ogni 5 minuti per un totale di circa 1.000.000 di decessi all’anno. Non dappertutto l’amianto è fuori legge, purtroppo, e la sua lobby di morte continua ad essere molto forte. E quello Stephan Schmidheiny, condannato a 18 anni di carcere dalla Corte d’Appello di Torino, è un fervente sostenitore del concetto di sviluppo sostenibile. Tutto torna.

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