domenica 23 giugno 2013

In 50 anni cementificate due regioni Sullo stop è scontro in Parlamento

di Thomas Mackinson
Non c’è più tempo, non c’è più lo spazio. Ogni
quattro secondi - il tempo di terminare questa
frase - 32 metri quadri di suolo vengono coperti dal
cemento che viaggia ormai alla velocità media di
quasi 90 ettari al giorno. Ogni cinque mesi divora
una superficie grande come la città di Napoli, in cinquant’anni
ha ricoperto un’area come il Trentino e il
Friuli messi insieme e di questo passo, tempo vent’anni,
avremo cementificato pure la Basilicata.
Dati e previsioni della pubblicazione più completa
mai realizzata in Italia sul consumo di suolo e sulla
rigenerazione del territorio che il WWF ha presentato
insieme alla sua proposta di legge per “fermare la
rapina del territorio” proprio mentre in Parlamento
partiva una delicata discussione sullo stop al cemento.
L’indagine è condotta dall’Università dell’Aquila
e si basa sul confronto tra estratti originali delle cartografie
storiche del secondo Dopoguerra e le carte
regionali digitali d’uso del suolo. Monitora 13 regioni,
il 58% del territorio nazionale, quindi è significativa
dell’andamento generale dell’urbanizzazio -
ne: “Il tasso medio - spiega Bernardino Romano, professore
di Pianificazione territoriale e curatore della
ricerca - è passato dall’1,9% degli anni 50 al 7,5. La
media pro capite è triplicata ai quasi 380 m2/ab. Il
che porta a stimare oggi l’ammontare delle aree urbanizzate
sui 2,5 milioni di ettari”.
Il paradosso è che altro cemento proprio non serve.
Secondo Adriano Paolella, direttore generale di
WWF Italia ci sono 210mila capannoni inutilizzati,
6.700 chilometri di ferrovie dismesse, 5 milioni di
abitazioni vuote. A fronte di questa situazione è ormai
maturata nel Paese una domanda sociale, diffusa
e organizzata, che aspira ad una riqualificazione degli
insediamenti urbani e del territorio. Il WWF l’ha colta
con la campagna “Riutilizzia -
mo l’Italia” che in cinque mesi ha
prodotto 575 schede di segnalazione
di ambiti di patrimonio
inutilizzato e altrettante proposte
di riuso. Il censimento può essere
“il primo contributo per avviare
un grande processo di recupero
del territorio italiano dopo quello
dei centri storici nel Dopoguerra”.
Sempre che arrivino le risposte
politico-normative che si cercano
in Parlamento.
Perché se lo spirito del tempo è
cambiato, questa sensibilità nuova
chiama in causa la politica. In
Parlamento, nel giro di poche settimane,
si sono materializzate 11
proposte di legge sul consumo di suolo accompagnate
da furibonde polemiche. Le iniziative corrono
su un binario parallelo. Sul fronte parlamentare si è
aperto un caso intorno alla proposta “Norme per il
contenimento dell’uso di suolo e la rigenerazione urbana”,
primo firmatario Ermete Realacci (PD), che
ammette la possibilità di consumare nuovo suolo
previo pagamento di un “contributo per la tutela del
suolo e la rigenerazione urbana” (art. 2), l’attribu -
zione di quote di edificabilità e di diritti edificatori
per compensare i proprietari di immobili ceduti al
comune o per incentivare le trasformazioni, i recuperi
e le demolizioni (art. 6). Tanti, compresa Italia
Nostra , hanno preso le distanze; altri gruppi parlamentari
si sono precipitati a depositare proposte alternative.
Quelle di Pd, M5S e Scelta Civica hanno in
comune l’eliminazione dei proventi delle concessioni
edilizie per il finanziamento della spesa corrente
dei comuni. Sel ha fatto propria al Senato quella elaborata
dal WWF che chiede l’istituzione di un registro
del consumo di suolo presso l’Istat e spinge sul
recupero, indicando strumenti di fiscalità urbanistica
che penalizzano chi spreca suolo e premiano chi
riusa. Poco o nulla si sa, invece, di quella del Pdl.
Intanto a muoversi è stato il governo che lo scorso 15
giugno ha approvato una versione rivisitata del Ddl
dell’ex ministro Mario Catania, presentato alla fine
della scorsa legislatura. Il testo mantiene il focus sulla
tutela dei terreni agricoli ma fa riferimento anche
al paesaggio. Salutato da tanti come un interessante
passo avanti su cui avviare la discussione, definisce il
suolo “bene comune” e “risorsa non rinnovabile”
(art. 1) e ascrive a riuso e rigenerazione il primato in
materia di governo del territorio (art. 2). Due principi
che vanno al cuore del problema. Sempre che le
contrapposizioni tra paladini del verde (sinceri e
non) non blocchino tutto, lasciando ancora e sempre
il suolo contro tutti. Il fatto quotidiano 24 giugno 2013

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