sabato 8 giugno 2013

Roma peggio di Alemanno non c'è nessuno

PEGGIO DI ALEMANNO
NON C'È NESSUNO
di Antonello Caporale il fatto quotidiano 9 giugno 2013
Si può essere scettici perché questi tempi
giustificano il timore che ci si imbatta di
nuovo in una promessa farlocca, nel classico
dico e non faccio. Si può dunque dubitare, e
anche legittimamente, delle promesse di Ignazio
Marino di cambiare il volto dell’amministrazione
capitolina, una macchina gigante di
produzione del consenso e dello spreco, parentopoli
perenne in cui legami familiari e correntizi
sporcano ogni iniziativa. Non si può
però fare confusione tra lui e Gianni Alemanno.
Si prenda la biografia di ciascuno, il senso
dell’etica e persino il livello degli infortuni occorsi
per avere sotto gli occhi la distanza siderale
che separa il primo dal secondo. La giunta
Alemanno ha mostrato un tale ragguardevole
score di insuccessi e di immoralità da restare
senza fiato. È anche sua la responsabilità
se oggi i romani che andranno al voto saranno
saranno meno della metà degli aventi diritto,
ed è il terribile esito della malapolitica se domani
Roma consegnerà al Campidoglio un sindaco
indicato da un terzo degli elettori. Il confronto
tra idee e anche tra passioni è oramai
destino che riguarda una minoranza, appendice
numerica del grande
magma sociale oramai travolto
dalla disillusione,
confinato alla protesta, relegato
all’impotenza.
Roma è una metropoli
grande e faticosa. Una città
magnifica, unica al mondo,
che si apre a imponenti
questioni di convivenza,
civiltà, sicurezza. È una città che è stata posseduta
(spesso con la connivenza del centrosinistra)
da poteri estranei alla democrazia. Si è
potuta costituire una oligarchia del cemento
che ha dominato ogni scelta urbanistica, traendone
il massimo profitto economico da una
deturpazione sistemica del territorio. Il fatto
che Marino, tra le altre cose, oggi si impegni in
una campagna di moralizzazione, iniziando a
far rispettare il coefficiente zero di edificazione
dell’agro romano è da salutare come il gesto più
rivoluzionario possibile. Resiste, e qui siamo di
nuovo al punto, la domanda: darà corso all’impegno
preso? Finora ha fatto quel che ha
promesso. Ha negato il suo voto al governo
delle larghe intese, rispettando il mandato degli
elettori, e si è dimesso da senatore prima di
conoscere il risultato delle elezioni romane. Poco?
Di questi tempi è oro che luccica.

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