Già da molti mesi proprio su ilfattoquotidiano.it avevo denunciato i rischi dell’esistenza di un “giudice occulto” nei meccanismi della giustizia amministrativa. La vicenda di ieri ne offre la prima conferma.
Si legge infatti nella ordinanza del Gip che «proprio allo scopo di esercitare una diretta influenza sulla decisione, il giudice avanza formale richiesta (che verrà accolta) di essere applicato all’udienza della Terza Sezione (che non è quella di sua appartenenza) in cui verrà trattato il caso».
Quindi, De Bernardi per esercitare un’influenza “diretta”, secondo il Gip, ha chiesto di partecipare non al collegio giudicante ma semplicemente all’udienza della sezione.
Ciò è ora possibile in magistratura amministrativa, e non lo era prima, né mai lo potrebbe essere in magistratura ordinaria, perché l’art. 76 cpa ha modificato, senza nessuna valida giustificazione, l’ordinamento precedente, uguale a quello ordinario, prevedendo ora la possibile “presenza” del magistrato nella camera di consiglio della quale non fa parte il suo collegio giudicante. Dopo di che il CPGA, il 25/3/11, ha interpretato l’art. 76 come se “presenza” equivalesse a “partecipazione” al fine di influenzare la decisione del diverso collegio (direttiva pubblicata su intranet). Il Tar Lazio infine, con la sentenza 6222/12, ha avallato l’interpretazione del CPGA.
Ed ecco la cronologia dei fatti che hanno portato ad una simile situazione:
1. Si modifica, con l’art. 76 cpa, la legge processuale per il Ga;
2. Si interpreta, da parte del Cpga unanime, la legge in modo da aggiungere al giudice palese membro del collegio il giudice occulto estraneo al collegio;
3. Il Tar Lazio decide che va bene così;
4. Il Tar Lazio applica un giudice già coinvolto in un’inchiesta penale in diversa sezione, su sua richiesta, ove è trattata una causa che sembra da nuove indagini per corruzione giudiziaria interessargli, causa trattata da diverso collegio ma con la sua non palese partecipazione.
Tale situazione giuridica è oggi alla attenzione della Suprema Corte a Sezioni Unite, che è stata chiamata a pronunciarsi anche sulla legittimità della procedura (ricorso n. 12065/2012), nell’ambito del c.d. “caso Giovagnoli”, per il quale si è tenuta udienza l’11 giugno scorso e di cui si sconosce ancora l’esito.
Chiari ormai i rischi e le distorsioni, la parola passa alla Suprema Corte.
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