Franco De Bernardi arrestato per corruzione su ordine della procura di
Roma insieme a sei persone. Indagato il presidente della banca Popolare
di Spoleto, che avrebbe beneficiato di uno dei verdetti comprati.
Coinvolti anche due alti ufficiali della Marina militare. I legami con
la P2 e la P3
di Andrea Palladino | 22 luglio 2013 Era un sistema collaudato quello
del giudice del Tar del Lazio Franco Angelo Maria De Bernardi. Bastava
bussare alla sua porta o a quella dello studio legale giusto per avere
quella chance in più di vincere un ricorso amministrativo, battendo gli
avversari dentro il segreto della camera di consiglio. Con prezzi che
variavano a seconda del cliente: cinquantamila euro per una banca che
aveva in ballo affari da milioni di euro, diecimila per un ammiraglio,
alle prese con un ricorso personale.
Questa l’accusa della procura di Roma guidata da Giuseppe Pignatone – pm
Stefano Pesci – che questa mattina ha chiuso quella porta. I
carabinieri del Noe, comandati dal colonnello Sergio De Caprio e dal
capitano Pietro Rajola Pescarini, hanno arrestato il magistrato (al suo
secondo ingresso in carcere, dopo l’inchiesta della procura di Palermo
su un affare di riciclaggio lo scorso maggio) e altre sei persone,
coinvolte a vario titolo nella vicenda. In carcere – oltre al magistrato
– sono finiti l’avvocatessa amministrativista romana Matilde De Paola e
il faccendiere Giorgio Cerruti. Il Gip di Roma, Maria Paola Tomaselli,
ha concesso gli arresti domiciliari ad altri quattro indagati:
Giovannino Antonini, presidente della Banca Popolare di Spoleto (al
centro di un’inchiesta della procura umbra), Francesco Clemente,
Francesco Felice Lucio De Sanctis e Marco Pinti. L’accusa è di
corruzione in atti giudiziari, reato che prevede una pena massima di
dodici anni di carcere. Variegato il parterre dei presunti “clienti”,
che andava da imprese di costruzione fino a banche, passando per
emittenti radiofoniche e alti ufficiali della marina militare.
GLI AMICI DI FLAVIO CARBONI. Non tutti erano uguali. Il giudice De
Bernardi, secondo gli investigatori, mostrava un particolare occhio
clinico, in grado di soppesare economicamente chi bussava alla sua
porta. Il 25 febbraio scorso si siede al tavolo di un lussuoso
ristorante romano del quartiere Parioli, invitato da Giorgio Cerruti. E’
un pranzo a quattro con due ospiti d’onore: un monsignore con un ruolo
importante in Vaticano e l’ex presidente della Banca popolare di Spoleto
Giovannino Antonini. L’istituto di credito – controllato per il 25% da
Mps, che recentemente ha disdetto il patto di sindacato – era stato
commissariato dal Ministero dell’economia il 12 febbraio, a causa di un
buco di diversi milioni di euro. Quel provvedimento – che allontanava il
management dalla gestione, affidando i conti agli ispettori della Banca
d’Italia – andava revocato, a ogni costo. La Banca popolare di Spoleto
aveva presentato un ricorso proprio al Tar del Lazio, chiedendo
l’annullamento del provvedimento del ministero. Il pranzo – secondo la
ricostruzione dei magistrati romani – doveva servire a sistemare le
cose, con l’intervento pilotato del giudice De Bernardi.
Giorgio Cerruti non era un mediatore qualsiasi. Il suo nome è apparso
nelle cronache nel 1993, quando la sua Compagnia generale finanziaria
fallì con un buco di 100 miliardi di lire. A lui – legato alla
massoneria romana – gli inquirenti arrivarono seguendo i soldi di Licio
Gelli, come ricorda la relazione finale della commissione antimafia del
1994. Cerruti da tempo aveva ottimi contatti: “Dall’indagine emerge come
Cerruti circa vent’anni fa era in rapporti con Flavio Carboni e,
tramite questi, con il circuito dell’usura a Roma, cioè con il tessuto
connettivo della criminalità organizzata romana”, si legge nella
relazione dell’antimafia depositata in parlamento. E a Carboni era
legato anche Giovannino Antonini, il cui nome appare negli atti
dell’inchiesta sulla P3.
L’affare, dopo la riunione nel ristorante romano, si avvia rapidamente
alla conclusione. Secondo la ricostruzione degli inquirenti il prezzo
pattuito per pilotare la decisione del Tar (la cui udienza finale è
prevista per il prossimo ottobre) è stato di 50mila euro.
I DUE AMMIRAGLI. Tra i casi passati sotto la lente d’ingrandimento della
procura di Roma ci sono anche vicende di minore peso economico. Anche
due ammiragli risultano indagati. Un pezzo grosso della Marina militare è
l’Ammiraglio di Squadra Marcantonio Trevisani, da cinque anni
presidente del Centro alti studi per la difesa, la principale scuola di
formazione degli ufficiali italiani. Dopo un primo contatto, emerge
dalle carte, il giudice del Tar del Lazio invia l’ammiraglio dal suo
studio di fiducia, diretto dall’avvocato Matilde De Paola, arrestata
questa mattina. In questo caso il passaggio di quella che per gli
inquirenti era una mazzetta destinata ad aggiustare una causa
amministrativa sarebbe avvenuto attraverso una consulenza della compagna
albanese del giudice (Mandija Evis) a favore dello studio legale De
Paola. L’alto ufficiale – spiega il Gip – non voleva rischiare con un
passaggio di soldi in nero.
C’era un secondo ammiraglio nel particolare elenco dello studio De
Paola. E’ Luciano Callini, da diverso tempo ai vertici dello Stato
maggiore della difesa. Nei mesi scorsi era stato chiamato come
consulente dell’ammiraglio Branciforte ad occuparsi del caso dei due
marò indagati in India per omicidio. In questo caso è lo stesso De
Bernardi ad affermare in una conversazione telefonica con l’avvocato De
Paola di aver fatto “una sentenza ad hoc”. Diecimila euro, spiega, il
compenso pattuito.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/07/22/sentenze-in-cambio-di-soldi-in-manette-giudice-del-tar-del-lazio/662788/?fb_action_ids=10201643059785369%2C10201643024704492&fb_action_types=og.recommends&fb_source=other_multiline&action_object_map=%7B%2210201643059785369%22%3A177679385739706%2C%2210201643024704492%22%3A150178918509545%7D&action_type_map=%7B%2210201643059785369%22%3A%22og.recommends%22%2C%2210201643024704492%22%3A%22og.recommends%22%7D&action_ref_map=%5B%5D
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