mercoledì 10 luglio 2013
Se Bergoglio parla come Gramsci e Che Guevara
di Marco Filoni
Il Papa ha parlato di indifferenza
e di tenerezza. Il
primo è un tema gramsciano,
la seconda è la stessa invocata
da Ernesto Guevara de la Serna,
detto il “Che”. No, questo
non basta a fare del Papa un
rivoluzionario. Non lo è, non
può esserlo – rimane sempre e
comunque il successore di Pietro
e siede sul suo soglio. Eppure
il suo linguaggio è quello
semplice e diretto di chi parla
al popolo, alla massa. “Ho sentito
che dovevo venire qui oggi
per risvegliare le nostre coscienze”,
ha detto a Lampedusa.
Negli anni Cinquanta era Frantz Fanon, lo psichiatra
terzomondista, che si batteva per l'Algeria affinché si
accendesse “un bagliore nelle coscienze”. E proprio
con parole simili si esprime il Pontefice. Parla di
frattura sociale, di esclusione, di scarto fra chi ha e chi
non ha. Sta dalla parte degli ultimi, sta con i popoli
che devono autodeterminarsi e liberarsi dalle oppressioni
che li soffocano. Usa un linguaggio che si
ritrova negli studi postcoloniali. Del resto viene dalla
fine del mondo, lui. Perciò non ama il lusso, l'agio.
Altissima povertà, come per il santo di cui porta il
nome. E chiama alla partecipazione. Non dice “indignatevi”,
no. Dice “partecipate”. Invita a non stare
a guardare, a non ingrossare quella schiera che già
Primo Levi chiamava la “zona grigia”. Chiede di non
rimanere sul ciglio della strada e di offrire la propria
mano a chi sta lì, seduto, per aiutarlo a rialzarsi. Le
sue parole di ieri hanno un'assonanza con quelle
gramsciane: “Chi vive veramente non può non essere
cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo,
è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli
indifferenti” (A. Gramsci, Odio gli indifferenti, Chiarelettere).
Gramsci ieri e Bergoglio oggi invitano a
non sprecare la pietà, a saper piangere, a immaginare
una società in cui nessuno stia alla finestra a guardare
chi si sacrifica e soffre. Non sarà rivoluzionario, eppure
Francesco sembra esser il primo Papa postcoloniale,
almeno nella lingua. E anche par tigiano se
intendiamo, con Gramsci, colui che parteggia, colui
che non è indifferente. BergoglioL'ILLUSIONE DEL FUTILE
“Il provvisorio che porta all’indifferenza.
(...) Ci siamo abituati alla sofferenza
dell’altro, non ci riguarda, non ci
interessa, non è affare nostro!” GramsciL’INDIFFERENZA
“Chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva
e chi non sapeva, indifferente. E questo ultimo
si irrita, vorrebbe apparisse chiaro che egli non
ha voluto, che egli non è responsabile. BergoglioLA CONSOLAZIONE
“La tenerezza (...) non è la virtù
del debole, anzi, al contrario,
denota forza d’animo” Che Guevara LA TENEREZZA
“Bisogna esser duri senza perder la
tenerezza” (dal testamento spirituale
lasciato ai suoi figli) Il fatto quotidiano 10 luglio 2013
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento