mercoledì 10 luglio 2013
Due anni dopo il referendum fa acqua: è ancora privatizzata e con bollette illegittime
IL VOTO DEL 2011 Chi voleva i servizi locali completamente
in mano pubblica è rimasto deluso: l’a l t e r n at iv a
non è privatizzare tutto, ma dare trasparenza con le gare
di Marco Ponti Quali sono le lezioni
del referendum
sull’a cqua
di due anni
fa, sui cui risultati
si sta riaprendo
il dibattito? All’epoca il Fa tto
Quotidiano fu compatto nell’esprimere
posizioni favorevoli ma,
molto correttamente, ne presentò
in prima pagina anche una contraria
(l’unica scritta da un economista,
l’autore di questa nota). Tuttavia
le posizioni contrarie a quel
referendum erano diffuse, soprattutto
tra gli studiosi del settore
pubblico: era contraria laVoce . info ,
certamente non collocata a destra,
e cento professori di economia che
firmarono un appello, non credo
tutti reazionari iperliberisti.
Forse l’impasse attuale delle politiche
nel settore dei servizi pubblici
non è dovuta a una congiura di
speculatori appoggiati dalla perfi-da Europa, ma più solide considerazioni
pratiche, e di buon senso.
Ricordiamo allora per sommi capi
la posizione di chi considerava il
referendum demagogico e connesso
a questioni fiscali, sulle quali la
Costituzione vieta il referendum
(chi risponderebbe di no allo slogan
berlusconiano “meno tasse e
più pensioni per tutti”? E il referendum
sostanzialmente chiedeva
se si voleva pagar l’acqua di più
regalando soldi ai privati, o pagarla
di meno mantenendo la gestione
pubblica). Produrre un servizio
pubblico (acqua, elettricità, trasporti
locali ecc.) costa dei soldi, e
molti. La socialità di un servizio
pubblico invece non dipende da
come è prodotto, né da quanto costa
produrlo, ma da quanto costa
alla fine agli utenti (e dalla sua qualità,
regolarità ecc.). Può anche essere
fornito gratis a tutti, se così si
decide democraticamente. Ma bisogna
fare delle scelte: se si sceglie
di sussidiare di più i trasporti, per
esempio, ci saranno meno soldi per
l’acqua.
Le gestioni del buco
La spinta ad aprire alla concorrenza
la produzione dei servizi (come è
aperta alla concorrenza quella di
molti beni essenziali, come quelli
alimentari) deriva da un problema
storico grave: in genere, le produzioni
pubbliche senza concorrenza
hanno generato costi di produzione
molto alti per le amministrazioni
locali, indipendentemente da quanto
poi pagassero gli utenti finali.
L’acqua, insieme ai trasporti, è un
esempio clamoroso: le gestioni
pubbliche dei decenni passati hanno
prodotto un “buco” nella manutenzione
delle reti (che perdono il
30 per cento dell’acqua) per riparare
il quale si stima servano non meno
di 50 miliardi di euro. Tradotto: i
soldi per le manutenzioni e i rinnovi
sono andati altrove, o in tariffe non
riscosse, o in gestioni clientelari e altri
sprechi. Nei trasporti locali, le
imprese pubbliche non accantonano
i denari per rinnovare i veicoli,
contando sul fatto che, alla fine, il
Comune, o Regione, o lo Stato, pagheranno
tutto. Il referendum proponeva
di mantenere questa situazione
invariata, magari con delle
raccomandazioni agli enti locali di
“comportarsi meglio” in futuro.
Cosa propone invece l’Europa?
Non certo di “liberalizzare” o “p r ivatizzare”
il settore, come sempre
hanno fatto intendere i promotori
del referendum. L’Europa non lo
propone per nessun servizio pubblico:
propone solo di metterli in gara
periodicamente (cioè le gare devono
essere rifatte ogni X anni). Se
una società pubblica promette di fare
per contratto un servizio migliore,
e/o di chiedere meno sussidi a
parità di servizio, vincerà la gara
(per il periodo di validità del contratto,
specificato nel bando di gara).
Se invece un privato o una impresa
straniera si impegnerà, sempre per
contratto, a far meglio, subentrerà a
quella esistente. Se poi quel privato
si comporterà male, fornendo servizi
scadenti ecc., oltre a eventuali
multe, ne avrà comunque un grave
danno di reputazione. Conseguenze
pesanti per i privati, ma che importano
pochissimo alle imprese
pubbliche. Poi l’ente locale, anche
sulla base dei costi che dovrà pagare
al vincitore, deciderà se sussidiare
più l’acqua o i trasporti, in modo da
garantirne la socialità indipendentemente
da chi produce il servizio.
Prima obiezione: nel prezzo che offre
per la gara il privato includerà i
propri profitti. Risposta: per vincere
dovrà comunque offrire il prezzo
più basso, altrimenti perderà, e la
gestione rimarrà pubblica.
Evitare la corruzione
Seconda obiezione: se l’ammini -
strazione è corrotta, si farà corrompere
dal privato che partecipa alla
gara. Ma scusate, se è corrotta come
gestirebbe il servizio senza gare?
L’esperienza passata, che si vuole
mantenere inspiegabilmente invariata,
fa pensare che molte gestioni
siano corrotte, a giudicare dai catastrofici
risultati. E la corruzione ha
molte forme, molte delle quali semi-
legali: si pensi ai politici che entrano
nei consigli di amministrazione
delle società pubbliche, o le forniture
affidate a imprese “amiche”,
anche solo per ragioni elettorali.
Certo che anche le gare, non solo le
gestioni pubbliche, possono essere
corrotte. Ma i poliziotti, da uno, con
le gare diventano due: anche i concorrenti
stanno pronti a denunciare
gare sospette, non solo la Guardia di
finanza. Il fatto quotidiano 10 luglio 2013
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