mercoledì 31 luglio 2013
MOSE, UN CANTIERE SUCCHIASO LDI APERTO DA 26 ANNI
OPERA INFINITA La
magistratura in piena
attività: dopo l’arresto
di Mazzacurati arriva
il nuovo manager,
sodale di Mastella di Daniele Martini Il fatto quotidiano 24 luglio 2013 Prima del Ponte sullo Stretto,
avrebbe dovuto essere il
Mose il segno imperituro
della faraonica era berlusconiana.
Con la legge Obiettivo del
2001, il mastodontico sistema di 79 dighe
mobili alle tre bocche di porto della
Laguna di Venezia avrebbe salvato la
città dall’incubo dell’acqua alta, assicurarono.
E i benefici effetti del progetto
avrebbero tappato la bocca a tutti i “ca -
cadubbi”, dal sindaco Massimo Cacciari
agli esperti dell’Unesco. Il Mose, però,
ancora non c’è, in compenso sta
dando parecchio lavoro ai magistrati.
L’ennesimo termine perentorio per la
consegna dei giganteschi manufatti è
stato spostato al 2016, ma chissà se sarà
vero, dati i precedenti e considerato
che tra chiacchiere, revisioni e lievitazione
di costi, la faccenda va avanti da
26 anni. Nel frattempo i massimi responsabili
dell’opera finiscono in manette.
Con l’accusa di aver costituto
fondi neri e pagato tangenti, cinque
mesi fa toccò a Piergiorgio Baita, il “signor
70 incarichi”, tra presidenze, direzioni
e consigli di amministrazione,
il grande capo della Mantovani costruzioni,
l’asso pigliatutto del cemento a
Venezia e nel Veneto, capofila anche
nel Mose, ovviamente.
POCHI GIORNI FAè stata la volta di Giovanni
Mazzacurati, ex presidente del
Consorzio Venezia Nuova, il raggruppamento
di primarie imprese nazionali
che insieme alla Mantovani si spartiscono
i lavori: Condotte, 1 miliardo di
euro di fatturato, società di proprietà
della finanziaria Ferfina di Isabella Bruno,
di cui è presidente Duccio Astaldi,
uno dei rappresentanti della grande famiglia
di costruttori romani. Poi Fincosit
Grandi Lavori del gruppo veronese
Mazzi e infine, per chiudere il cerchio
e non lasciare nessuno a bocca asciutta,
confessata speranza che con il Mose
tutto possa proseguire come se niente
fosse. Si chiama Paolo Fabris, vicentino,
un altro berlusconiano di scuola veneto-
democristiana, sodale di Clemente
Mastella nell’Udeur, passato al momento
opportuno con il Popolo della
libertà, noto per essere stato anche sottosegretario,
per aver avuto l’incarico di
commissario delle ferrovie del Brennero
e orgoglioso della carica di presidente
della Federazione pallavolo femminile.
Annunciando con enfasi la sua nomina,
il Giornale di Vicenza ha ricordato
che la specialità in cui Fabris è esperto e
di cui ha dato prova con il Tav Veneto,
è quella di recuperare risorse statali.
Compito in cui, del resto, era maestro
anche il suo predecessore finito in
manette, essendo diventato il Mose
più che una difesa dall’acqua alta,
un'idrovora di quattrini pubblici.
Quando 26 anni fa cominciarono a
parlarne dissero che sarebbe costato
l’equivalente di 1 miliardo e 200 milioni
di euro, ma strada facendo si sono
allargati assai e siamo già a 5 miliardi di
spese vive più 500 milioni di “opere
supplementari”. E non è finita.
le coop con Ccc, Consorzio cooperativo
costruzioni di Bologna. Mazzacurati,
81 anni, è come un’estensione di
Gianni Letta in Laguna, ed è un “ex presidente”
solo per un pelo essendosi dimesso
solo pochi giorni fa, ufficialmente
per motivi di salute, forse subodorando
la tempesta che stava abbattendosi
sulla sua creatura. È accusato di
aver giostrato con troppa disinvoltura
le gare d’appalto, un sistema che del resto
il Consorzio Venezia non apprezza
granché.
Fino a un paio d’anni fa, per esempio,
su oltre 3 miliardi di euro di lavori finanziati,
meno di 100 milioni erano
stati affidati con gare normali. Il resto
era stato concordato in house, cioè consegnato
alle stesse imprese del Consorzio,
in una misura assai maggiore a
quella indicata dall’Unione europea,
secondo la quale le opere “fatte in casa”
non dovrebbero superare il 50 per cento
circa del totale, mentre il resto dovrebbe
essere rimesso alla libera concorrenza
tra le imprese nel mercato. Al
posto di Mazzacurati è andato un manager
che gli somiglia parecchio, anche
se in versione giovanile, forse nella indiconfessata speranza che con il Mose
tutto possa proseguire come se niente
fosse. Si chiama Paolo Fabris, vicentino,
un altro berlusconiano di scuola veneto-
democristiana, sodale di Clemente
Mastella nell’Udeur, passato al momento
opportuno con il Popolo della
libertà, noto per essere stato anche sottosegretario,
per aver avuto l’incarico di
commissario delle ferrovie del Brennero
e orgoglioso della carica di presidente
della Federazione pallavolo femminile.
Annunciando con enfasi la sua nomina,
il Giornale di Vicenza ha ricordato
che la specialità in cui Fabris è esperto e
di cui ha dato prova con il Tav Veneto,
è quella di recuperare risorse statali.
Compito in cui, del resto, era maestro
anche il suo predecessore finito in
manette, essendo diventato il Mose
più che una difesa dall’acqua alta,
un'idrovora di quattrini pubblici.
Quando 26 anni fa cominciarono a
parlarne dissero che sarebbe costato
l’equivalente di 1 miliardo e 200 milioni
di euro, ma strada facendo si sono
allargati assai e siamo già a 5 miliardi di
spese vive più 500 milioni di “opere
supplementari”. E non è finita.
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