Il fatto quotidiano
In un piazzale dello scalo laziale era stato accumulato materiale ferroso destinato alla Turchia. Per l'Arpa Lazio non è destinato al recupero e così sono scattati i sigilli. E' il ritorno delle "navi dei veleni"? Presto per dirlo, ma la storia presenta molti elementi inquietanti
Da un punto di vista strettamente formale la vicenda potrebbe apparire come una sorta di peccato veniale. “Non abbiamo trovato rifiuti pericolosi”, spiegano dai vertici dell’Arpa Lazio. Di fatto, però, le 2800 tonnellate di materiale ferroso non rispettano le specifiche imposte dalle norme comunitarie per esportare senza problemi materiale da recupero. Troppo contaminato. Ma è seguendo la filiera che ci si imbatte in tanti elementi troppo sospetti. I primi di dicembre dello scorso anno una lunga fila di camion provenienti in buona parte dall’area del Casertano avevano iniziato ad accumulare i rifiuti ferrosi sulla banchina del porto di Gaeta. Decine di camion, in un viavai che sembrava non terminare più.
Raccontano nel porto che un funzionario particolarmente attento della dogana abbia deciso di vederci chiaro. La nave non era ancora arrivata, la Capitaneria non aveva ricevuto nessuna comunicazione di “accosto”, mentre sui documenti il compratore risultava essere una società maltese, la Eri Metal Scrap, e la destinazione finale una fonderia in Turchia. Il 18 dicembre scatta l’operazione di sequestro, compiuta da un gruppo interforze: scattano i sigilli per la collina nera che si era intanto formata sulla banchina, in un area affittata dalla società Di Sarno (il principale operatore portuale di Gaeta), vengono identificati i trasportatori, si acquisiscono i documenti. “Molti autisti erano pregiudicati – sussurrano alcuni operatori portuali – anche per reati gravi”. Alcuni di loro – aggiunge il quotidiano Latina Oggi – avrebbero avuto rapporti con esponenti del clan dei Casalesi. Ma soprattutto si scopre che altri trenta camion erano pronti ad entrare in porto con un migliaio di tonnellate di materiale a fine dicembre, quando la nave – non ancora identificata – sarebbe stata pronta a partire, magari mentre la cittá si preparava a festeggiare il Capodanno.
La Capitaneria di Porto di Gaeta sta mantenendo il riserbo assoluto ed è quasi impossibile rompere il muro di silenzio che si è creato attorno alla vicenda. “La questione preoccupa – spiega Corrado Carruba, direttore dell’Arpa Lazio – perché sicuramente qualcosa non funziona nella filiera”. Il pm di Latina Eleonora Tortora sta ora studiando attentamente le informative arrivate in Procura, per decidere se confermare l’ipotesi di traffico internazionale di rifiuti. Ovvero il ritorno inaspettato delle rotte discrete dei veleni, in un porto a cavallo tra il sud pontino e la provincia di Caserta, terra indiscussa delle eco mafie.
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