Viaggio nell’Italia dell’emergenza rifiuti. Dove cattiva politica e imprese senza scrupoli si spartiscono la torta di raccolta, discariche, inceneritori e bonifiche 
Quando i pm di Velletri lo scorso anno accendevano le microspie piazzate negli uffici della regione Lazio dove si firmano le autorizzazioni per discariche e inceneritori, avevano probabilmente in testa una domanda: viene prima la cattiva politica o la cattiva impresa? Difficile risolvere l’enigma. Perché forse sono la stessa cosa, un unico filo conduttore tra la Prima e la Seconda repubblica, con buone chance anche per l’eventuale Terza. Sono le lobby, i grandi elettori, le clientele che marcano i bilanci delle autonomie locali. Soldi, tantissimi, che diventano un tutt’uno con la gestione del potere, un melting pot che contamina procedure e autorizzazioni, perfino le norme, spesso scritte ad personam, o meglio ad societatem. È così in tutto il Sud, dal Lazio alla Calabria, dall’Abruzzo alla Sicilia. Nella gestione dei rifiuti il peggio della politica e dell’impresa trovano il proprio habitat naturale.
Seguendo questo filo i pm di Velletri hanno ipotizzato per il gruppo del monopolista dei rifiuti del Lazio Manlio Cerroni la pesante accusa di associazione a delinquere. Un’indagine tenuta per due anni in cassetti blindati, vigilati a vista. Perché quelle carte potevano sconvolgere un sistema che dura trent’anni. L’incartamento è passato da sei mesi alla procura romana, dopo che il Gip di Velletri si è dichiarato non competente. Come si diceva un tempo: Capitale corrotta, nazione infetta.
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