» DISCARICHE » Con la sentenza del Consiglio di Stato, due regioni a rischio
Roma e Napoli: la bomba
rifiuti pronta a esplodere Il fatto quotidiano 22 novembre 2012 Il sindaco della Capitale vuole spedire fuori dall’Italia il 20 per cento dell’immondizia prodotta
in città. Intanto il fragile sistema di gestione campano rischia di dover smaltire in proprio oltre 300
mila tonnellate di spazzatura l’anno. E non può reggerlo Di Blasi, Natangelo e Trocchia » pag. 14 - 15
ECOBA LLE E INCENERITORI Il primo piano rifiuti della Campania
prevedeva sette cdr e quattro inceneritori. Il piano lasciato
dall’ultimo commissario, poi sottosegretario all’Emergenza, Guido
Bertolaso, ne prevede ancora quattro: a Napoli Est, a Salerno,
a Santa Maria La Fossa (un gassificatore) e a Giugliano, per bruciare
le “Ecoball e” prodotte durante l’emergenza.
UMIDO E COMPOSTAGGIO La frazione umida del rifiuto arriva
quasi al 50% del totale prodotto. Raccolta con la differenziata,
questa risorsa potrebbe andare ad alimentare gli impianti
di compostaggio, in grado di creare, attraverso un trattamento
chimico, una sorta di concime. Lasciato invece nell’i n d i f fe re n -
ziato, l’umido può inquinare, dando luogo a percolato.
CONSORZI DI BACINO Inventati nel 1993, riconfermati con legge
nel 2007, inizialmente dovevano gestire la raccolta dei rifiuti sul
territorio campano. Qualcuno lo ha fatto, qualcuno no. Molti sindaci
hanno evitato di entrare in contatto con i Consorzi, gestendo
da par loro la raccolta. Il sistema ha generato un caos che ancora
oggi non trova soluzione.
Napoli e Roma, la spazzatura
per strada arriva con l’anno nuovo
IL 13 GENNAIO IL CONSIGLIO DI STATO PUÒ METTERE IN CRISI I DUE SISTEMI DI SMALTI M E N TO NELLA CAPITALE
Il sindaco Alemanno
prevede di spedire
fuori dall’Italia
il 20 per cento
dell’immondizia
prodotta nel 2013 Il prossimo 13 gennaio
il Consiglio di
Stato dovrà pronunciarsi,
dopo un
rinvio di sei mesi, su
una materia che a
molti apparirà oscura. La questione
è la seguente: i rifiuti provenienti
dagli impianti di “tri -
tovagliatura” (gli Stir, che per
l’appunto selezionano, frullano
e infine imballano l’immondi -
zia) sono da considerarsi rifiuti
urbani o rifiuti speciali? Da
questa risposta potrà dipendere
il futuro prossimo di due regioni:
il Lazio e la Campania. Entrambe,
infatti, per motivi diversi,
potrebbero ritrovarsi nell’anno
a venire con i rifiuti per
strada: cartoline da spedire al
mondo.
SE INFATTI il Consiglio di Stato
dovesse confermare la sentenza
già pronunciata (e poi sospesa
in attesa di un giudizio di merito)
dal Tar del Lazio, equiparando
il “tritovagliato” al rifiuto
urbano tal quale, quella spazzatura
non potrebbe più essere
portata fuori regione. E sarebbe
il caos.
Il fragile ciclo dei rifiuti venuto
fuori dalla terribile “emergen -
za” campana non può, infatti, a
oggi, fare a meno di spedire all’esterno
tonnellate di rifiuti
ogni anno. Il confuso ciclo dei
rifiuti del Lazio, al contempo,
con la chiusura della grande discarica
di Malagrotta, che dovrà
cadere entro la fine dell’anno,
dovrebbe studiare un sistema di
emergenza che non preveda
l’alternativa del “fuori regione”.
Per capirci, del milione e seicentomila
tonnellate di immondizia
che annualmente produce la
Campania, oltre 300 mila tonnellate,
dopo essere passate dagli
impianti Stir, finiscono in discariche
fuori regione (337 mila
tonnellate dicono le ultime stime).
Se il Consiglio di Stato bocciasse
questa pratica, il fragile
sistema campano per la gestione
dei rifiuti, collasserebbe. In
assenza di un’impiantistica adeguata,
infatti, si finirebbe per saturare
in breve tempo le discariche
aperte nell’emergenza e vi
sarebbe la necessità di reperirne
subito delle altre.
L’assessore Giovanni Romano,
che nella giunta di Stefano Caldoro
è all’Ambiente, è in allarme:
“È una evenienza che teniamo
in considerazione e che ci
preoccupa - dice - Per questo
stiamo offrendo la massima collaborazione
al Commissario”,
che ha il compito di aprire nei
tempi previsti da un cronoprogramma
già saltato, le altre discariche
in grado di tamponare
la situazione.
Ieri il ministro all’Ambiente
Corrado Clini, audito alla Camera,
ha dichiarato: “Dobbia -
mo evitare che si consolidi una
gestione illegale dei rifiuti: illegale
non per la presenza della
malavita, ma perchè non si fa
un’alta percentuale di raccolta
differenziata e di recupero”.
Una impostazione in parte apprezzata
dai deputati pd presenti
in commissione Ambiente:
Alessandro Bratti, Ermete Realacci
e Roberto Morassut.
ERA NOTIZIA del giorno precedente
l’idea dell’Ama, l’azienda
che a Roma si occupa della raccolta
dei rifiuti, di spedire all’estero
un quantitativo che lo
stesso sindaco Alemanno stima:
“Per il 2013 al massimo il 20% e
nel 2014 il 15% del totale complessivo
dei rifiuti prodotti a
Roma”. Un’idea “irresponsabi -
le” per Realacci, e anche non poco
costosa. È lo stesso Clini a
constatare il paradosso: “Sto
cercando di capire perchè a Colleferro,
vicino Roma, vengono
conferiti i rifiuti di altre regioni
e non quelli di Roma. È paradossale
che questi ultimi vadano
all’estero. La situazione presenta
aspetti non chiari”.
È la stessa constatazione che fa
Bratti: “In Campania non ci sono
gli impianti, nel Lazio dovrebbero
esserci, solo che non li
fanno funzionare”.
In Campania, del resto, i problemi
dell’emergenza si sono
trascinati fino all’oggi. Uno di
questi si manifesterà in piazza il
prossimo 26 novembre: 3000 lavoratori
dei Consorzi di Bacino,
che non prendono lo stipendio
da mesi, manifesteranno sotto
la Regione. Finiti dentro l’ingra -
naggio del welfare dei rifiuti che
in Campania, ai tempi belli, aveva
creato 12 mila posti di lavoro,
i Consorzi sono rimasti a piedi:
avanzano 198 milioni di euro da
Comuni, Province e Protezione
Civile morosi. Hanno un debito
con i fornitori di 219 milioni di
euro. Al loro posto, nel 2009, sono
nate le società provinciali:
dovrebbero sostentarsi con la
Tariffa sui rifiuti, che però i Comuni,
così come capitava con i
Consorzi, non gli versano. Sono
in credito di 328 milioni. I sindaci,
intanto, affidano quei servizi
a ditte loro vicine (municipalizzate
o di privati amici).
Tanto che ad oggi non si sa
quanti siano in Campania i soggetti
addetti alla raccolta. Walter Ganapini
Ma quale e m e r ge n z a :
è la politica che fa affari IL SISTEMA
REGGE
Non c’è bisogno
di nuovi impianti.
Quelli che ci sono
sono più che
sufficienti: basta
farli lavorare
a pieno regime di Nello Trocchia
L’emergenza rifiuti è una finzione.
Ne è convinto Walter
Ganapini, tra i massimi esperti
italiani in materia ambientale, un
passato da presidente di Greenpeace
e per due anni assessore in
Campania, seconda giunta Bassolino.
Napoli porta fuori nazione i rifiuti,
Roma vorrebbe fare lo
stesso. Il Consiglio
di Stato potrebbe
bloccare i
camion che trasportano il pattume
fuori regione, sarebbe la
catastrofe. Lei dice che non c’è
l'emergenza, ma scherza?
L’emergenza non esiste. Costruirla
in un periodo di crisi
economica solo per aumentare
spartizione e mangiatoie è
inaccettabile.
Ci faccia capire. Partiamo da
Napoli.
Basta far funzionare gli ex Cdr
(oggi Stir, ndr) in Campania
attraverso un semplice
reva mping , una
messa a nuovo, basta un mese.
Sette impianti con una potenzialità
di trattamento pari a 8
mila tonnellate di rifiuti al giorno,
la Campania ne produce
mille tonnellate in meno. Considerando
la differenziata, i rifiuti
in quella regione si potrebbero
importare. Il problema è
che quegli impianti li hanno
fatti ammalare, quando arrivai
erano inutilizzati, pieni zeppi
di cataste di rifiuti, con il tempo
sono stati derubricati a separatori
di pattume. Un disastro. Se
funzionassero bene, le frazioni
in uscita sarebbero due: il secco
e il biostabilizzato. Il primo
combustibile in impianti esistenti
o ulteriormente
riciclabile, l’altro
utilizzabile per ricomposizione
ambientale: copertura
di discariche
esaurite,
riempimento di
cave. In Campania
ci sono anche gli
impianti di compostaggio,
trattano la frazione
umida da raccolta
differenziata, ma sono inutilizzati.
Ma scusi, ma se basta questo,
perché si vogliono costruire altri
impianti di incenerimento in
Campania?
Il piano regionale è stato bocciato
in sede europea. Di quegli
impianti non c’è alcun bisogno,
con una crescita della raccolta
differenziata al 65% come prevede
la legge, l’impiantistica è
sufficiente e si può pensare di
selezionare ulteriormente la
parte restante mandando in archivio
anche il discusso inceneritore
di Acerra.
E lei da assessore perché non
ha risolto il problema?
Non potevo neanche entrare
negli impianti. Era tutto commissariato.
Feci due cose: aumentare
la differenziata (arrivammo
al 29%) e aprire isole
ecologiche.
Roma vuole portare il pattume
fuori nazione...
A Roma ci sono 4 impianti di
trattamento meccanico biologico
dove entrano i rifiuti non
differenziati, per intenderci il
sacchetto nero. Quando arriva
viene separato in una parte secca
e in un’altra umida trattata, per dirla alla buona quello che
dovrebbero fare gli ex Cdr campani.
Possono trattare 4 mila
tonnellate al giorno. Il problema
è che li fanno funzionare a
poco più della metà della loro
potenzialità e così restano mille
tonnellate non trattate che oggi
vanno in discarica. Il quantitativo
che domani dovrebbe essere
spedito fuori dall’Italia. Ce
lo chiede anche l’Europa.
E perché non si fa?
I rifiuti sono un canale di finanziamento
della politica aggravato
dalla presenza del crimine
organizzato. In Campania bisogna
fare i conti, come è successo
a me, con intimidazioni e
minacce.
La Campania ha anche un debito
nel ciclo di gestione pari a un
miliardo di euro. Un pozzo senza
fine?
C’è un problema relativo all’evasione
della tassa sui rifiuti e di
sovrapposizione dei soggetti
interessati alla gestione, ma
non è l’unico. Gli ex Cdr sono
stati costruiti con i fondi europei.
L’Europa ha avviato una
indagine per capire le ragioni
del mancato utilizzo di quegli
impianti e potrebbe chiedere la
restituzione di due miliardi di
euro. A Napoli e in Campania è
difficile intervenire. Poco dopo
la mia nomina, nel 2008, la prima
volta che incontrai Guido
Bertolaso mi disse: “Ma tu qui
che sei venuto a fare?”. Compresi
la situazione quando per
caso trovai una discarica inutilizzata
nel Casertano e ne comunicai
l’esistenza ai giornali.
Mi fu detto da altri soggetti di
tenere la notizia riservata. Ho
seguito un vecchio adagio: la
migliore assicurazione sulla vita
è evitare di avere segreti.
Chiudiamo con Roma. Il rischio
è anche finanziario?
Le rispondo con un aneddoto.
Nel 1998 ero all’Ama: avevamo
3 mila dipendenti. Io sono figlio
di operaio, il lavoro è sacro,
ma bisogna tener i conti in ordine.
Oggi i dipendenti Ama
sono 7800. Quando è arrivato
un manager milanese competente
come Salvatore Cappello
volevano fargli digerire altre
250 assunzioni. Ha tenuto botta.
Gli hanno tolto l’incarico
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