lunedì 26 novembre 2012
Ministro Clini nonostante inquinante vuole tenere ancora aperta Ilva di Taranto
L’I LVA CHIUDE, OPERAI A CASA
RAPPRESAGLIA CONTRO I PM
SETTE NUOVI ARRESTI, L’AZIENDA METTE “IN LIBERTÀ”5000 TUTE BLU.
MONTI CONVOCA LE PARTI E PENSA A UN DECRETO CONTRO I GIUDICI
di Giorgio Meletti
PUGNO DI FERRO
Il ministro Clini: “Se
l’inchiesta blocca
gli interventi
ambientali ci sarà
un provvedimento per
far rispettare la legge”
La guerra totale sull’Il -
va di Taranto ha raggiunto
ieri il punto di
massima intensità.
Magistratura contro azienda,
governo contro magistratura,
sindacati in parte contro il governo
e in parte contro la magistratura.
Ieri il colpo più duro
l’ha sferrato l’azienda, chiudendo
per rappresaglia tutta l’area a
freddo e mettendo così in libertà
5 mila degli 11 mila dipendenti.
“La catastrofe è arrivata”,
ha commentato con acida sintesi
il leader della Uil Luigi Angeletti.
E adesso a Palazzo Chigi
si studia la strada di un decreto
legge per limitare gli effetti dell’azione
della Procura della Repubblica
di Taranto.
IERI MATTINAi magistrati hanno
fatto eseguire sette nuovi
provvedimenti di custodia cautelare
contro la famiglia proprietaria,
i Riva, alcuni manager
chiave e politici locali. In più
hanno sequestrato prodotti finiti
e semilavorati di acciaio perché
realizzati in violazione delle
prescrizioni del sequestro dell’area
a caldo dello stabilimento
siderurgico, deciso nel luglio
scorso, che non prevedeva la facoltà
d'uso a fini produttivi degli
impianti stessi.
Immediata la reazione dell’azienda,
che ha comunicato ai
sindacati la chiusura dell’area a
freddo, mettendo in libertà 5
mila operai: a casa, senza preavviso,
e senza salario, già da ieri
pomeriggio. L’acciaio prodotto
dagli altiforni (area a caldo) viene
lavorato dai laminatoi dell’area
a freddo, e poi avviato in par
te ad altri stabilimenti del gruppo.
Il sequestro del prodotto
pronto alla consegna avvenuto
ieri comporta per l’Ilva “l’im -
possibilità di commercializzare
i prodotti e, per conseguenza, la
cessazione di ogni attività”. Secondo
il segretario nazionale
della Fim-Cisl, Marco Bentivogli,
la decisione riguarderà in
modo quasi automatico gli stabilimenti
Ilva di Genova, Novi
Ligure, Racconigi, Marghera e
Patrica. Già ieri pomeriggio l’azienda
ha messo in libertà gli
operai che dovevano entrare in
turno alle 17, che si sono però
quasi tutti rifiutati di andare a
casa, riunendosi in assemblea.
L’azienda ha reagito bloccando i
badge, per evitare altri ingressi
di operai in fabbrica. Gli operai,
compatti, hanno dichiarato lo
sciopero immediato. Per il governo
è una bomba sociale molto
difficile da gestire. Si rischia di
avere già da oggi a Taranto qualche
forma di rivolta sociale indirizzata
verso il palazzo di Giustizia,
laddove passasse l’idea
che i 5 mila operai sono stati
mandati a casa come effetto dell’oltranzismo
giudiziario.
LA PRIMA REAZIONE, per bocca
del ministro dell’Ambiente
Corrado Clini, sembra andare
proprio in direzione di uno
scontro istituzionale con la magistratura.
Ricordando che è stata appena firmata l’Aia (Autorizzazione
integrata ambientale)
che consente il funzionamento
della maggiore acciaieria
d’Europa imponendo una serie
di interventi per ridurre l’impat -
to inquinante e avviare la bonifica
dell’area, Clini ha attaccato
la procura di Taranto: ''Non sono
disponibile a subire una situazione
che avrebbe effetti terribili:
sono preoccupato che
questa iniziativa blocchi l’Auto -
rizzazione integrata ambientale
con effetti ambientali gravissimi
e sociali devastanti”. Poi ha evocato
l’ipotesi di un decreto legge
che consenta all’Ilva di andare
avanti neutralizzando gli effetti
dell’inchiesta penale: “Voglia -
mo sapere se in queste condizioni
nuove è possibile per l'Ilva
realizzare gli interventi e gli investimenti
necessari per rispettare
l’Aia o no. In caso di no dobbiamo
prendere provvedimenti
per far rispettare la legge”. I sindacati
chiedono al premier Mario
Monti di fare qualcosa.
IERI SERA è arrivata una convocazione
per dopodomani,
giovedì, a palazzo Chigi, per
azienda, sindacati e enti locali.
Ma la partita è resa più complicata
dal timore che le cose siano
andate troppo avanti, e che al
vertice dell’Ilva cominci a farsi
strada l’idea di gettare la spugna
e chiudere lo stabilimento. Un’ipotesi
del genere spaventa il governo,
che non avrebbe alcuno
strumento per costringere
l’86enne Emilio Riva a tenere in
vita l’azienda.
Twitter @giorgiomeletti Il fatto quotidiano 27 novembre 2012
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