lunedì 26 novembre 2012
Ilva Taranto gli arresti, Bersani restituisca i soldi e la rappresaglia
RAPPRESAGLIA: L’ILVA CHIUDE
ORA BERSANI RESTITUISCA I SOLDI A RIVA
Taranto, 7 arresti per concussione e veleni
L’azienda caccia 5 mila lavoratori. Il Gip:
“Vendola regista delle pressioni sull’Ar pa”
Lettera della proprietà al segretario Pd
(finanziato con 98 mila euro nel 2006-2007)
per bloccare la battaglia ambientalista
del suo parlamentare Roberto Della Seta
La lunga storia:
cinquant’anni
di denunce e veleni
L’IMPIANTO di Taranto nasce negli anni
‘60 e già nel ‘71 gli ambientalisti protestano.
Nel 1982 la pretura di Taranto mise sotto
indagine i manager per getto di polveri e
inquinamento da gas, fumi e vapori. Il direttore
dello stabilimento fu condannato a
15 giorni di arresto. Nel ‘91 il ministero dell'Ambiente
dichiarò Taranto area a elevato
rischio ambientale, nel ‘94 l’Enea avviò il
Piano di disinquinamento e l’anno dopo i
Riva comprarono lo stabilimento. Nel ‘97
iniziò la rimozione dell’amianto e nel ‘98
l’Enea definì gli interventi a carico dei Riva
per la bonifica: non vennero eseguiti. Nel
2000 il Comune di Taranto chiese di modificare
gli impianti, nel 2001 il tribunale
12.000
POSTI
A RISCHIO
LA FABBRICA
E L’INDOTTO
L’Ilva a Taranto
è la principale
impresa dell’a re a
per occupazione dichiarò Emilio Riva, il figlio Claudio e altri dirigenti
colpevoli di tentata violenza privata per avere demansionato
alcuni impiegati che avevano denunciato
la malagestione. Nel 2007 Emilio Riva fu condannato
a 3 anni di reclusione e Claudio Riva a 18
mesi per omissione di cautele contro gli infortuni sul
lavoro e violazione di norme antinquinamento. Nel
2008 la Corte d'Appello di Lecce condannò a due anni di reclusione Emilio Riva e a un 1 anno e 8 mesi
il direttore dello stabilimento, Luigi Capogrosso, per
getto pericoloso di cose, danneggiamento aggravato,
omissione dolosa di cautele contro gli infortuni.
Nel 2002 il ministero dell’Industria istituì un tavolo
per concedere l’Aia all’Ilva, solo nel 2011 si raggiunse
un accordo basandosi su più elastici criteri (approvati
anche da Vendola). A inizio 2012 il procuratore
di Taranto, Franco Sebastio, segnalò alle autorità locali
che il livello dell’inquinamento era pericoloso
per la popolazione ed era necessario interveniresubito.
A luglio il primo sequestro dell’area e l’a r re s to
di otto tra dirigenti ed ex dirigenti indagati per disastro
ambientale. Ora nuove accuse per dirigenti e
funzionari: associazione a delinquere, disastro ambientale
e concussione.
SETTEMBRE 2010
Quando Riva scrisse
al segretario Pd per
fermare Della Seta “MI SCUSI LO SFOGO”, scrive Emilio
Riva, patron dell’Ilva, a Pier Luigi Bersani
in una lettera del 30 settembre 2010
agli atti dell’inchiesta. Riva fa leva sulla
“reciproca conoscenza” per segnalare al
segretario del Pd quanto poco abbia gradito
gli interventi del parlamentare democratico
Roberto della Seta che lo hanno
“sconcertato”. Della Seta annunciava
di voler cambiare un provvedimento del governo Berlusconi (cosiddetto
“decreto salva Ilva”) che rinviava di due anni il termine entro cui lo stabilimento
di Taranto doveva rispettare i requisiti ambientali sul benzo(
a)pirene. Riva è scandalizzato dalla “pressione mediatica violentissima”.
Sentito dal Fatto Quotidiano, Della Seta spiega: “Nel testo su cui il Parlamento
aveva espresso parere non c'era la norma che prorogava i limiti per
la concentrazione di benzoapirente nell'aria. Venne inserita dopo con un
blitz del ministro Prestigiacomo, una norma ritagliata esclusivamente su
misura dell'Ilva. Ma nessuno del Pd, men che meno Bersani, mi ha mai
chiesto di cambiare il mio atteggiamento. Feci interrogazioni e dichiarazioni,
ma non ho ricevuto alcuna pressione”. “Due tumori in più all’anno sono una minchiata”
FABIO RIVA E LA RETE DI GIORNALISTI, TALPE E POLITICI AMICI. E TARANTO È LA CITTÀ DOVE SI VIVE PEGGIO IN ITALIA. di Francesco Casula
Taranto
Due casi di tumore in più
all'anno… una minchiata”.
Fabio Riva non ha mezzi
termini: due vite spezzate dal
cancro sono un “minchiata” di
fronte ai profitti e alla produzione
dello stabilimento siderurgico
più grande d’Europa.
Ma come ha fatto l’Ilva ha nascondere
il disastro ambientale
prodotto in questi anni? Questo
era il compito fondamentale
di Girolamo Archinà, ex responsabile
delle relazioni istituzionali
dell’Ilva in carcere da
ieri mattina, che attraverso il
suo cellulare muoveva i fili del
sistema. Riceveva informazioni
riservate e predisponeva le
contromeosse per “tenere tutto
sotto coperta”. Politici, sindacalisti,
giornalisti: Archinà
chiamava tutti e tutti chiamavano
Archinà. Nel provvedimento
di 531 pagine firmato
dal gip Patrizia Todisco, il “si -
stema Archinà” emerge in tutta
la sua forza e capacità di penetrazione.
C’è il sindaco Ippazio
Stefàno che in piena emergenza
benzo(a)pirene chiama l’ex
consulente Ilva per chiedere
“come dobbiamo muoverci
noi” ed emana un’ordinanza
che per il gip è “esattamente il
frutto della mediazione” che gli
permette di “salvare la propria
immagine politica” e “nel contempo
per non inimicarsi la
grande industria”. Chiama anche
il presidente della provincia
Gianni Florido, i consiglieri
regionali di centro sinistra Donato
Pentassuglia e Alfredo
Cervellera e il deputato Pd Ludovico
Vico. In una mail intercettati
dalle fiamme gialle, guidate
dal capitano Giuseppe Dinoi,
il responsabile Ilva formula
una “proposta di modifica dell’art.
674 del c.p. di cui si fa promotore
l’on. Ludovico Vico”
per derubricare la pena a semplice
sanzione amministrativa.
Depenalizzare, insomma, l’unico
articolo del codice penale
per il quale l’Ilva è puntualmente
condannata.
Ogni sistema che si rispetti ha
le sue talpe. Archinà contava
sull’ispettore Aldo De Michele
della Digos di Taranto che per
ottenere il rinnovo di alcuni
contratti di operai amici lo informa
di ogni singolo avvenimento
che potrebbe interessare
l’Ilva anche dell’incontro riservato
avvenuto nella Questura
di Taranto tra il procuratore
Franco Sebastio e il direttore
generale dell’Arpa Puglia Giorgio
Assennato, eterno nemico
dell’azienda dei Riva.
Rapporti insomma che come
scrive il gip Todisco sono “abil -
mente e utilmente intessuti al
fine di condizionare pesantemente,
orientandone l’azione a
proprio favore, le agenzie e gli
organismi chiamati ad esercitare,
a vario titolo e per il proprio
ruolo, funzioni di controllo
critico nei confronti di una
realtà industriale dal fortissimo
e notorio impatto inquinante
sul territorio”. Nel sistema Archinà
non mancano i giornalisti.
A Michele Mascellaro, direttore
di Taranto sera, Archinà
“esprime apprezzamento –
scrive il giudice – per la campagna
di stampa ed il direttore
risponde in un modo che bene
illustra i rapporti tra i due: dice
infatti ‘….che mi tieni a fare a
me?’. Mascellaro attesta dunque
– prosegue il gip Todisco –
con le sue stesse parole, di concepire
la sua professione come
attività al servizio degli interessi
di Archinà – e quindi dell’Il -
va”.
Non sfuggono nemmeno i consulenti
della procura di Taranto
che indagano sullo stabilimento.
Come il professore Lorenzo
Liberti, finito ieri ai domiciliari per aver intascato secondo
l’accusa una tangente da
10mila euro. L’indagine, però,
non è chiusa.
Ieri sono finiti in carcere, oltre
ad Archinà, anche Luigi Capogrosso
, ex direttore dello stabilimento
e Fabio Riva che si è reso
irreperibile, agli arresti domiciliari
l’ex assessore provinciale
all’Ambiente Michele
Conserva presto potrebbe portare
a risultati ancor più clamorosi.
L’elenco degli indagati, tra
i quali figura anche Bruno Ferrante
, presidente di Ilva, è lungo.
Gli avvisi di garanzia potrebbero
arrivare nei prossimi
giorni anche a coloro che in
questi anni avrebbero dovuto
controllare gli impegni assunti
dall’Ilva e potrebbero continuare a delineare come e perché
“l’ambiente svenduto” por -
tato alla luce dall’indagine della
Guardia di finanza abbia trasformato
Taranto nella città
che occupa il più basso gradino
nella classificia di vivibilità in
Italia, secondo il Sole24Ore .
Il fatto quotidiano 27 novembre 2012
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