Il partito che
serviva alla mafia
Pdl, oggi le comiche
di Fabio Chiusi È in libreria “Antonio Ingroia - Io s o” di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza per Chiarelettere. DISCESA IN CAMPO Nel libro “Io so”, l’ex procuratore aggiunto di Palermo Ingroia racconta 20 anni di Berlusconi a partire dal presunto patto con Cosa Nostra Il fatto quotidiano 29 novembre 2012. Il libro racconta il ventennio berlusconiano con una lunga intervista all’ex procuratore aggiunto di Palermo, oggi coordinatore in Guatemala dell’unità di investigazione contro il narcotraffico delle Nazioni Unite. Ne pubblichiamo un breve stralcio. di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza Sul fronte dell’odore dei soldi, insomma, nonostante un lungo lavoro di indagine, fino a oggi la Procura di Palermo non ha trovato riscontri all’ipotesi di riciclaggio dei capitali mafiosi nell’impero Fininvest. Eppure ora si apre un nuovo scenario investigativo: Berlusconi, pur non essendo formalmente indagato, è coinvolto nell’inchie - sta sulla trattativa mafia-Stato perché la Procura di Palermo ipotizza che nel 1994, da presidente del Consiglio, avrebbe accettato un vero e proprio patto di convivenza con Cosa nostra, garantendo ai boss un atteggiamento di massima tolleranza. Sappiamo che nelle riunioni della Dda si è a lungo discusso sulla possibilità di iscrivere Berlusconi nel registro degli indagati nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa. La decisione di non esercitare l’azione penale non inficia comunque la ricostruzione giudiziaria secondo cui, sullo sfondo della “copertu - ra” politica offerta ai mafiosi (attraverso la mediazione di Dell’Utri), c’è il sospetto di un rapporto “storico” tra Berlusconi e Cosa nostra. Co s ’è accaduto esattamente nel ’94? La nostra ipotesi è che Berlusconi, nel suo ruolo di presidente del Consiglio, nel ’94 accetta la proposta che gli fa Dell’Utri per chiudere la trattativa, accetta cioè le richieste del boss Bernardo Provenzano e sigla un patto di “non belligeranza” con Cosa nostra. È la terza parte della trattativa, iniziata nel ’92 con il generale Mori, poi avallata nel ’93 dai massimi esponenti istituzionali come Scalfaro, Mancino e Conso, e nel ’94 infine consacrata con la decisione di Berlusconi che acconsente a offrire la sua copertura politica: niente più guerra a Cosa nostra. Da questo momento in poi, l’orga - nizzazione criminale non può che ricavare numerosi vantaggi dalla mitezza dello Stato nell’azione di contrasto alla mafia. Il riscontro di questo accordo è contenuto nella legislazione nazionale che da quel momento appare coerentemente orientata a favorire costantemente gli interessi mafiosi. La trattativa, come patto di massima, si chiude nel ’94. Quello siglato da Berlusconi è un patto di tregua, di non belligeranza, non si sviluppa come il “papello” di Totò Riina con dei punti specifici. È una dichiarazione di disponibilità da parte dello Stato ad accogliere vie d’uscita pacifiche per risolvere la questione mafia. Ci sono molte trattative incompiute da allora. Il mancato arresto nel ’95 di Provenzano è una delle cambiali di questo patto. Noi, con la nostra ricostruzione, arriviamo fino al ’96. Ma la nostra è un’indagine ancora aperta, che si arricchisce continuamente di elementi. Non solo Rapisarda e Di Carlo, ma anche i collaboratori Pennino e Cannella parlano di un reinvestimento di denaro sporco da parte di Dell’Utri, nel periodo che va dal 1975 in poi (con riferimento, in astratto, sia al gruppo Berlusconi sia a quello facente capo a Rapisarda). Ma la prima sentenza d’appello su Dell’Utri, affrontando il capitolo delle holding di Berlusconi e analizzando le dichiarazioni dei quattro pentiti, ha concluso che dal ’75 in poi non risultano acquisiti “riscontri specifici” sul riciclaggio. Dopo l’annu llamento della Cassazione, la Procura di Palermo riaprirà le indagini sulle holding berlusconiane, analizzando nuovamente il capitolo di un Dell’Utri possibile riciclatore per conto di Cosa nostra nelle società berlusconiane? Non c’è prova che Dell’Utri abbia riciclato soldi per conto di Cosa nostra. Ma risulta dal processo Dell’Utri che Berlusconi fu a lungo incerto se scendere in politica o meno, e che, a fronte delle indicazioni contrarie alla sua discesa in campo da parte dei suoi consiglieri più autorevoli, il Cavaliere scelse la strada che gli indicò Dell’Utri. Siccome Dell’Utri non era a quel tempo né un politico né uno che si era occupato di politica, né risulta che non fu per valutazioni squisitamente politiche che si determinò il risultato della “di - scesa in campo” di Berlusconi, ma per il ruolo che Dell’Utri aveva all’interno di Cosa nostra. Evidentemente Dell’Utri ha mantenuto negli anni argomenti persuasivi nei confronti di Berlusconi. Quali siano stati, non si è mai definitivamente accertato nella logica giudiziaria. Né Berlusconi, rifiutandosi di rispondere alle nostre domande, lo ha voluto chiarire. Berlusconi era a conoscenza, sin dall’inizio, dell’idea di costituire il nuovo partito? No; anzi, dalla testimonianza di Ezio Cartotto risulta proprio il contrario. Quindi è escluso che Dell’Utri all’inizio agisse su mandato di Berlusconi. Ora, la domanda è: considerato che non era un politico e che non aveva mai fatto politica, Dell’Utri per conto di chi agiva, se non su mandato di Cosa nostra? La nostra ipotesi è che Dell’Utri stava costruendo i presupposti affinché nascesse questo nuovo partito, come nuovo punto di riferimento per Cosa nostra, per il quale poi convinse Berlusconi a scendere in campo. La tesi della procura, confermata dai giudici di primo grado, non confermata dalla sentenza d’ap - pello recentemente annullata, è che quest’accordo (Forza Italia come punto di riferimento di Cosa nostra, così come emerge dalle dichiarazioni dei collaboratori Brusca, Giuffrè e Spatuzza) viene di fatto stipulato, e non può essere stipulato all’in - saputa di Berlusconi
Berlusconi che vuole fare un nuovo partito lasciando
ad Alfano quello vecchio. Le primarie che forse si fanno e forse no, ma
comunque saranno un flop. Le mosse della Santanchè. I tradimenti di
Straquadanio. Le ambizioni di Emilio Fede. Il terrore degli ex
colonnelli di An. E lo spettacolo è appena cominciato
(28 novembre 2012)
Sarà anche azzurro come il colore della nuova 'cosa' berlusconiana,
ma sotto il cielo del centrodestra la confusione è totale. E questa
volta la prospettiva di un ritorno in campo del Cavaliere, sempre
più concreta, non convince nemmeno fedelissimi ed ex
pasdaran.
Si prenda Giorgio Stracquadanio, già direttore del Predellino (la 'Pravda' berlusconiana) ora co-fondatore, insieme ad altri pentiti del berlusconismo (con lui Isabella Bertolini, che oggi paragona Berlusconi al comandante Schettino), della lista 'Italia Libera'. «Il carisma di Silvio si è rotto», dice a 'l'Espresso'. Tirando addirittura in ballo gli scandali che hanno coinvolto l'ex presidente del Consiglio, a partire dal caso Ruby: «Lo hanno lesionato non tanto in termini moralistici, anche se per una parte di elettorato l'idea che un signore attempato possa mettere le mani addosso alla propria figlia o nipotina dà un po' fastidio. Ma il cuore del problema», continua Stracquadanio, «è che mentre il Paese andava in crisi lui pensava a divertirsi. Perché questa è l'immagine che ha dato».
Così, se il centrodestra «sta ultimando il suo processo di dissoluzione» la colpa è anche sua, del capo che mai fino a pochi mesi fa avrebbe sognato di mettere in discussione. «Conosco bene Berlusconi, ho vent'anni di frequentazione e lavoro comune. E nella sua testa lui è Fonzie, non ammette di avere sbagliato. E' convinto che il crollo del consenso non sia frutto del fallimento del suo governo, ma sia semplicemente legato alla non appetibilità di una serie di personaggi rispetto al pubblico». Ma non è così, prosegue: «Il Pdl va male perché va male Berlusconi, non viceversa».
Se questa è la prognosi, condivisa ben oltre il ristretto circolo di Stracquadanio, impossibile la cura sia un'altra iniezione di Silvio. O di improbabili facce nuove (e meno nuove), dall'imprenditore Gianpiero Samorì al finanziere Alessandro Proto passando per Sgarbi ed Emilio Fede. Che pure, assicura Stracquadanio, nel nuovo centrodestra conteranno eccome.
Perfino l'ex direttore del Tg4, fresco di insuccesso (ma «era solo una conferenza stampa», precisa, «il teatro era l'unico libero») per la presentazione della lista 'Vogliamo Vivere', è appena più ottimista. «Sono convinto che se si presenta Berlusconi, al 60-70 per cento il progetto può essere vincente», spiega. Prima di aggiungere che, in ogni caso, quella stima vale solo se «verranno superati gli egoismi. Perché ai tre milioni di poveri, ai cinque milioni di disoccupati bisogna parlare di strategie concrete. E nessuno lo fa».
Difficile dargli torto quando le cronache politiche sono animate dai litigi tra Alfano e Berlusconi, Bondi e La Russa, Meloni e i colonnelli della fu Alleanza Nazionale (pronta a ricostituirsi sotto diverso nome).
Soprattutto, tra i sogni montiani di un Frattini o un Sacconi e la loro negazione. Cui ricorre il capo, ma anche lo stesso Fede. Secondo cui la ricomposizione del quadro politico, a destra, passa necessariamente («assolutamente», dice) per politiche di segno opposto a quelle messe in atto del presidente del Consiglio: «Monti mi fa rimpiangere Prodi. E per dirlo io...».
Ma questi è solo uno dei tanti nodi irrisolti che il Pdl e i suoi alleati dovranno sciogliere. Un altro è rappresentato dalle primarie, che una parte del partito vuole e un'altra avversa. «Se si fanno il 16 dicembre non saranno rappresentative, non c'è il tempo tecnico», dice Fabrizio Rondolino, comunicatore passato da D'Alema a Daniela Santanchè. «I coordinatori regionali non hanno neanche cominciato a prepararle. Penso che Alfano mollerà la presa, o comunque le sposterà a gennaio», ragiona. «Anche se poi c'è il problema del voto anticipato».
Insomma, «comunque vada sarà un insuccesso». Per Rondolino il colpevole è proprio Alfano, «perché è stato al gioco tattico di Berlusconi e si è fatto trascinare fin qua, quando è oggettivamente troppo tardi per organizzarle».
Almeno una grana, il segretario, se l'è tolta: la candidatura di Alfonso Luigi Marra http://espresso.repubblica.it/dettaglio/pdl-oggi-le-comiche/2195504
Si prenda Giorgio Stracquadanio, già direttore del Predellino (la 'Pravda' berlusconiana) ora co-fondatore, insieme ad altri pentiti del berlusconismo (con lui Isabella Bertolini, che oggi paragona Berlusconi al comandante Schettino), della lista 'Italia Libera'. «Il carisma di Silvio si è rotto», dice a 'l'Espresso'. Tirando addirittura in ballo gli scandali che hanno coinvolto l'ex presidente del Consiglio, a partire dal caso Ruby: «Lo hanno lesionato non tanto in termini moralistici, anche se per una parte di elettorato l'idea che un signore attempato possa mettere le mani addosso alla propria figlia o nipotina dà un po' fastidio. Ma il cuore del problema», continua Stracquadanio, «è che mentre il Paese andava in crisi lui pensava a divertirsi. Perché questa è l'immagine che ha dato».
Così, se il centrodestra «sta ultimando il suo processo di dissoluzione» la colpa è anche sua, del capo che mai fino a pochi mesi fa avrebbe sognato di mettere in discussione. «Conosco bene Berlusconi, ho vent'anni di frequentazione e lavoro comune. E nella sua testa lui è Fonzie, non ammette di avere sbagliato. E' convinto che il crollo del consenso non sia frutto del fallimento del suo governo, ma sia semplicemente legato alla non appetibilità di una serie di personaggi rispetto al pubblico». Ma non è così, prosegue: «Il Pdl va male perché va male Berlusconi, non viceversa».
Se questa è la prognosi, condivisa ben oltre il ristretto circolo di Stracquadanio, impossibile la cura sia un'altra iniezione di Silvio. O di improbabili facce nuove (e meno nuove), dall'imprenditore Gianpiero Samorì al finanziere Alessandro Proto passando per Sgarbi ed Emilio Fede. Che pure, assicura Stracquadanio, nel nuovo centrodestra conteranno eccome.
Perfino l'ex direttore del Tg4, fresco di insuccesso (ma «era solo una conferenza stampa», precisa, «il teatro era l'unico libero») per la presentazione della lista 'Vogliamo Vivere', è appena più ottimista. «Sono convinto che se si presenta Berlusconi, al 60-70 per cento il progetto può essere vincente», spiega. Prima di aggiungere che, in ogni caso, quella stima vale solo se «verranno superati gli egoismi. Perché ai tre milioni di poveri, ai cinque milioni di disoccupati bisogna parlare di strategie concrete. E nessuno lo fa».
Difficile dargli torto quando le cronache politiche sono animate dai litigi tra Alfano e Berlusconi, Bondi e La Russa, Meloni e i colonnelli della fu Alleanza Nazionale (pronta a ricostituirsi sotto diverso nome).
Soprattutto, tra i sogni montiani di un Frattini o un Sacconi e la loro negazione. Cui ricorre il capo, ma anche lo stesso Fede. Secondo cui la ricomposizione del quadro politico, a destra, passa necessariamente («assolutamente», dice) per politiche di segno opposto a quelle messe in atto del presidente del Consiglio: «Monti mi fa rimpiangere Prodi. E per dirlo io...».
Ma questi è solo uno dei tanti nodi irrisolti che il Pdl e i suoi alleati dovranno sciogliere. Un altro è rappresentato dalle primarie, che una parte del partito vuole e un'altra avversa. «Se si fanno il 16 dicembre non saranno rappresentative, non c'è il tempo tecnico», dice Fabrizio Rondolino, comunicatore passato da D'Alema a Daniela Santanchè. «I coordinatori regionali non hanno neanche cominciato a prepararle. Penso che Alfano mollerà la presa, o comunque le sposterà a gennaio», ragiona. «Anche se poi c'è il problema del voto anticipato».
Insomma, «comunque vada sarà un insuccesso». Per Rondolino il colpevole è proprio Alfano, «perché è stato al gioco tattico di Berlusconi e si è fatto trascinare fin qua, quando è oggettivamente troppo tardi per organizzarle».
Almeno una grana, il segretario, se l'è tolta: la candidatura di Alfonso Luigi Marra http://espresso.repubblica.it/dettaglio/pdl-oggi-le-comiche/2195504
Nessun commento:
Posta un commento