Una bomba ecologica |
Scritto da Andrea Palladino |
Venerdì 13 Luglio 2012 |
Il ministro dell’Ambiente Corrado Clini, la collina artificiale della discarica di Borgo Montello a Latina la conosce bene. È nato qui, tra i poderi dei coloni d’origine veneta arrivati durante il Ventennio per la bonifica. I cinquanta ettari del sito che ingoia i rifiuti della provincia di Latina li ha visti crescere, a dismisura, senza regole, in nome dell’eterna emergenza, tra ordinanze straordinarie e falde acquifere contaminate. Oggi dirige il dicastero che dovrebbe garantire il rispetto per l’ambiente e il dossier più delicato che ha sul tavolo porta anche il nome di quel borgo di tremila abitanti, costretto dagli anni ’70 a convivere con una gigantesca bomba ecologica. Una sorta di ritorno all’infanzia, seppur involontaria. LA MONNEZZA FUORILEGGE Questa discarica, la seconda del Lazio dopo Malagrotta, ha scritto nero su bianco la commissione europea è fuori dalle regole e il governo italiano ha tempo fino alla fine di luglio per cercare una soluzione. Una situazione che riguarda gran parte degli impianti di stoccaggio di rifiuti delle province di Roma e Latina, ma che a Borgo Montello si aggrava grazie ad un fantasma arrivato dal passato. Tra i milioni di tonnellate di rifiuti urbani stipati in quasi trent’anni di funzionamento ci sono, molto probabilmente, scorie industriali pericolose. Fusti tossici stipati negli anni ’80, quando secondo il collaboratore di giustizia Carmine Schiavone i casalesi utilizzavano questi terreni come sversatorio per i carichi pericolosi delle industrie italiane. Melme tossiche arrivate negli anni ’90 ha aggiunto in un’intervista a ilfattoquotidiano.it Achille Cester, ex direttore della discarica infilate tra i sacchetti dell’immondizia di Latina, fatte scivolare silenziosamente mentre chi avrebbe dovuto controllare preferiva guardare da un’altra parte. Nei due impianti alle porte di Latina finisce una monnezza illegale, non trattata. I sacchetti cadono nelle due buche dopo una semplice triturazione, un processo che non permette di stabilizzare le sostanze pericolose alla base del percolato. Da anni la regola prevede un trattamento “meccanico e biologico”, in grado di separare la parte umida, di stabilizzarla e, alla fine del ciclo, di inviare nelle discariche solo la frazione secca rimasta. Nella procedura d’infrazione partita lo scorso anno sul ciclo dei rifiuti laziale (vedi Il Punto di due settimane fa), i commissari europei contestano l’assenza di un vero trattamento per più di un milione di tonnellate di Rsu in provincia di Roma e per quasi duecentomila tonnellate nella provincia di Latina. Lo scorso 31 maggio da Bruxelles è partito l’ultimo atto prima del ricorso formale alla corte di giustizia europea, procedura che porterebbe all’Italia una sanzione carissima. Il tempo concesso è brevissimo: la risposta e soprattutto la soluzione dovrà arrivare entro la fine di luglio. I VELENI SOTTO LA COLLINA L’emergenza rifiuti in realtà è già in atto, da mesi, forse da anni. La discarica di Borgo Montello poggia su falde acquifere ormai contaminate, come ha dimostrato uno studio richiesto dalla Procura di Latina e da un rapporto dell’Arpa Lazio. Dati noti già nel 2009, quando la regione Lazio diede l’ultima in ordine di tempo autorizzazione per l’ampliamento. La contaminazione delle acque non deriverebbe solamente dalla gestione dei rifiuti urbani, che almeno negli anni passati ha avuto come conseguenza la penetrazione nel terreno di enormi quantità di percolato. Le analisi dei laboratori hanno confermato l’esistenza di diversi focolai dove la concentrazione di sostanze di origine industriale va oltre i limiti di legge. Una prova ulteriore che negli otto invasi di Borgo Montello o almeno in alcuni di essi sono finiti scarti pericolosi, che la discarica non avrebbe mai potuto accogliere. La zona più antica dell’area è stata chiusa negli anni ’80. Si chiama S0 e, secondo uno studio dell’Enea della metà degli anni ’90 conterrebbe grandi masse metalliche. Fusti, secondo i ricordi di Carmine Schiavone, che iniziò a collaborare nel 1993; forse interi camion seppelliti con sostanze pericolosissime, secondo il ricordo di molti abitanti della zona. Semplicemente vasetti di omogeneizzati scaduti giuravano molti amministratori locali, temendo che il ritrovamento di rifiuti pericolosi potesse portare alla chiusura della discarica. L’incarico per i sondaggi in quella zona dopo anni sono stati affidati ad una società locale, la Poseidon. Un nome ben noto all’interno della discarica,visto che è la stessa ditta che ha lavorato alla realizzazione di uno dei due invasi attualmente in attività. Fatto in casa è anche il progetto per la ricerca dei fusti, firmato dall’ingegner Gian Mario Baruchello, consulente di Ecomabiente, uno dei due gestori dell’area e componente alla fine degli anni ’90 della commissione di gara per la creazione della società mista che a Latina gestisce la raccolta dei rifiuti. In fondo la città è piccola e alla fine i nomi sono sempre gli stessi. Per le associazioni ambientaliste di Latina cercare solo nel sito più antico è poco più di uno specchietto per le allodole. Le eventuali responsabilità ricadrebbero tutte sul vecchio gestore comunale, lasciando fuori i gestori industriali arrivati dai primi anni ’90 in poi. Perché non cercare i rifiuti tossici nell’intera area? Una domanda che viene elusa dal comune, dalla provincia e dalla regione. L’EMERGENZA SI AVVICINA Di soluzioni sicure e ambientalmente accettabili per l’emergenza rifiuti che sta per abbattersi sulla provincia di Latina non ve ne sono, almeno in tempi brevi. Nel piano regionale approvato dalla giunta Polverini qualche mese fa è stato inserito un impianto di trattamento ad Aprilia, la Rida Ambiente, che però da solo non potrà affrontare l’enorme quantità di rifiuti prodotti ogni giorno in una zona dove la differenziata è praticamente nulla. Per il momento, dunque, la produzione di Rsu di Latina continua ad essere semplicemente triturata prima di finire negli invasi. Con conseguenze drammatiche per la popolazione di Borgo Montello, costretta a convivere fin dagli anni ’80 con odori insopportabili, un’acqua non più potabile e le polveri prodotte dai movimenti terra e dagli automezzi che transitano ogni giorno nella zona. Anche se non è stato mai dimostrato il nesso causa-effetto per le famiglie della piccola frazione agricola di Latina i tanti morti di tumore della zona hanno un nome ben preciso: la monnezza, gli scarti industriali, i fusti portati per anni e oggi coperti da una collina artificiale. Nessun aiuto è mai arrivato per loro, salvo una proposta di contratto inviata ad una famiglia dall’amministratore di Ecoambiente Bruno Landi, ex presidente della regione Lazio da tempo consulente del gruppo Cerroni: 1400 euro al mese, per tre anni. Con una clausola: riconoscere che questa cifra è una “mera cortesia” e che tutto in quella discarica funziona a meraviglia. Condizioni inaccettabili per chi ha visto morire di tumore i parenti più stretti e la propria attività di contadino finita per sempre. C’è un senso di giustizia negata dietro le vicende dei rifiuti laziali, un sistema che ha distrutto territori, senza risolvere, alla fine, il problema dello smaltimento. Un nodo cruciale che a Latina appare in tutta la sua complessità. E complicità. *dal settimanale N.27 http://ilpuntontc.com/attualita/3670-un |
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