Conta più l’edificio
di chi lo costruisce
BARRA DRITTA
Il cantiere è stato
aperto: servono
una presa di distanza
da tutte le altre forze
politiche e un nuovo
sistema di selezione di Livio Peppino Ingroia scende in campo
oppure no? Cosa fa De
Magistris? Gli arancioni
e “Cambiare si può”
sono la stessa cosa? Ci sono le
condizioni per un quarto polo?
Comincio dall’ultima domanda
intorno a cui ruotano le altre:
sì, ci sono le condizioni per
una formazione politica alternativa
e c’è una richiesta diffusa
in quel senso; di più... c’è
un cantiere avanzato per costruirlo.
Ma ci sono ancora
ambiguità da sciogliere. Due
soprattutto.
PRIMO. Un quarto polo ha un
senso e una legittimazione se è
radicalmente alternativo agli
altri e, dunque, anche al Partito
democratico e ai suoi alleati.
Diciamolo in modo comprensibile,
fuori dal politichese. Chi
crede che i diktat dell’Europa
delle banche (e con essi la modifica
costituzionale sul pareggio
di bilancio e la riduzione
delle tutele del lavoro) siano un
boccone amaro ma inevitabile,
che il futuro del Paese stia nelle
grandi opere, che il governo
Monti sia stato la salvezza del
paese è giusto e coerente che
stia con quel governo e nella
strana maggioranza che lo sostiene.
Chi non ci crede, e pensa,
al contrario, che la rinegoziazione
delle politiche economiche
europee, una diversa politica
fiscale, il ritiro da tutte le
operazioni di guerra e l’abbat -
timento delle spese militari, la
definitiva rinuncia alle grandi
opere, la previsione di un tetto
massimo per i compensi pubblici
e privati consentano di finanziare
un diversa via di uscita
dalla crisi (fondata sulla riconversione
di ampi settori
dell’economia e su migliaia di
piccole opere di immediata utilità
collettiva) deve stare da
un’altra parte. Una via di mezzo
non esiste. E il discrimine –
inutile dirlo – non sono le parole,
ma i fatti e i comportamenti.
Per questo sono inaccettabili
i programmi generici che consentono di tenersi le
mani libere (senza dare risposte
esplicite sulle questioni più
controverse: le grandi opere, il
tipo di sviluppo perseguito, il
futuro dello stato sociale, le tutele
del lavoro...).
SECONDO. I contenuti non
possono essere separati dal metodo.
Il sistema politico ereditato
dal secolo scorso (nelle forme
della Prima e della Seconda
Repubblica) è finito, soffocato
da un rapporto corrotto con il
denaro e con il potere economico,
dalla trasformazione della
rappresentanza in delega incontrollata,
dalla incapacità di
affrontare i problemi reali della
vita delle persone. Occorrono
forme diverse, nuovi modi di
partecipazione, una revisione
dei sistemi della rappresentanza
che partano dal basso e consentano
a tutte e a tutti di partecipare
realmente. Ciò vale
non solo per il futuro, ma anche
per il presente a partire dalle
modalità con cui si costruisce
un nuovo soggetto: operazione
che richiede una profonda e visibile
discontinuità. Devono
cambiare metodi, pratiche, facce.
In particolare, tutti i candidati
(ma proprio tutti e non solo
le seconde file, prive di ogni
possibilità di elezione) devono
essere designati dal territorio e
all’esito di un dibattito pubblico,
senza quote o riserve per
leader di nuovi o vecchi partiti
e per esponenti degli apparati
che li sostengono.
SONO QUESTI i problemi
aperti nel cantiere del quarto
polo. Un cantiere che si è aperto
bene, con centinaia di assemblee
su tutto il territorio
nazionale, nelle quali decine di
migliaia di persone hanno ritrovato
il gusto e la voglia di
partecipare e centinaia di associazioni,
organizzazioni politiche,
movimenti (piccoli e grandi)
hanno ricominciato a parlarsi,
a confrontarsi, a contaminarsi.
Un cantiere la cui novità
non è sfuggita alla parte più attenta
della società (civile e politica)
come dimostrano i numerosi
inviti e appelli a procedere
in quella direzione. Ora il
cantiere deve lasciare il posto
all’edificio, a un edificio coerente
con il processo di costruzione.
Non c’è ragione di premura
o di visibilità che possa
modificare quel processo. Non
c’è esigenza di alleanze o di
supporti organizzativi che possa
trasformare (o anche solo far
apparire) la costruzione del
quarto polo come l’occasione
per il riciclo di chi è corresponsabile
dello sfascio a cui si vuole
porre rimedio.
Questo è l’orizzonte del quarto
polo: un orizzonte collettivo e
plurale, aperto a diverse esperienze
e a diverse culture delle
quali può e deve essere espressione.
Senza leaderismi né uomini
della provvidenza. La novità
sta nel progetto e solo in
seconda battuta nei i suoi attori,
tutti importanti (a cominciare
da Antonio Ingroia, la cui
presenza – per le sue doti, la sua
storia e quel che rappresenta –
sarebbe un rilevante valore aggiunto)
ma nessuno indispensabile.
L’importante è non
smarrire la rotta.
Un gesto coraggioso
per un Paese anormale di Enrico Fierro DI CHI È LA COLPA
È normale un Paese
in cui un magistrato viene
messo sotto inchiesta
dal Csm perché
si dichiara “partigiano
della Costituzione”? Credo che Antonio
Ingroia abbia tutto
il diritto di candidarsi,
e credo anche
che la sua presenza nel prossimo
Parlamento potrà essere
utilissima proprio per il lavoro
che ha svolto da pm nelle
inchieste sulla trattativa Stato-
mafia. Quando i processi
finiranno, forse, e nonostante
i depistaggi, le aggressioni ai
pubblici ministeri, le complicità
istituzionali, si affermerà
una verità giudiziaria su quel
periodo nero della nostra storia.
La verità politica, invece,
nessuno l'ha ricercata fino in
fondo e pochissimi la vogliono
davvero.
DA DEPUTATO, Antonio Ingroia
potrà imporre a una
Commissione parlamentare
antimafia non più ingessata
nelle liturgie partitiche e persa
nel solito bla bla bla sulla legalità
che mette d'accordo
tutti, una vera e propria inchiesta
“politica” che rimetta
insieme i tasselli delle mille
verità disperse o ancora inesplorate
su Capaci e via D'Amelio.
È un dovere del Parlamento,
un diritto degli italiani.
In un'epoca politica diversa,
un altro magistrato palermitano
scelse la strada dell'impegno
politico, si chiamava
Cesare Terranova e da deputato
del Partito comunista
italiano decise di mettere a
frutto la sua esperienza proprio
nella Commissione antimafia.
Fece un lavoro immenso
per scrivere la relazione
di minoranza alternativa
alle conclusioni della relazione
Carraro. Troppo omertosa
sui rapporti tra mafia e politica,
con troppe ombre sui
rapporti tra i boss e i capi dell'allora
Dc. Anche da “onore -
vole” Cesare Terranova servì
il suo Paese con onore. I boss
di Cosa Nostra furono gli unici
a capirlo e gliela fecero pagare
cara.
MA SULLA candidatura di Ingroia
molti sono i dubbi (alcuni
giusti, altri strumentali),
tanti i timori, tantissime le
contrarietà preconcette. A chi
sostiene che candidandosi il
pm compromette l'esito processuale
dell'inchiesta di Palermo
va ricordato che di quel
lavoro Ingroia non è stato l'unico
protagonista. A chi invece
giudica “anormale” il
passaggio di un pubblico ministero
al Parlamento, va detto
che il discorso è giusto, che
forse la materia andrebbe regolamentata
da una legge (che
non c'è), ma soprattutto va
posta una domanda. È normale
un Paese dove un magistrato
viene messo sotto inchiesta
dal Csm perché si dichiara
“partigiano della Costituzione”,
mentre un comico
che la declama in tv viene
osannato dai giornali e da milioni
di telespettatori?
Parlano in tanti e criticano Ingroia,
alcuni ponendo questioni
giuste, altri, invece,
sembrano i partecipanti a un
festival delle ambiguità. Pensate
al numero due di Palazzo
dei Marescialli, Michele Vietti,
magistrato e già consigliere
comunale a Torino, poi deputato
del Ccd, scandalizzato
per “il caso” Ingroia, chiede ai
partiti di non candidare togati.
Come se fosse questo il
problema dell'Italia e non,
tanto per fermarci nei pressi
di Piazza Indipendenza a Roma,
un Consiglio superiore
della magistratura che lottizza
le nomine dei procuratori anche
delle aree più calde del
Paese. La Procura di Reggio
Calabria è da mesi senza procuratore
perché il Csm non è
ancora riuscito a trovare un
equilibrio tra le varie correnti.
In un Paese normale non succederebbe.
Un Paese normale
non ostacolerebbe il lavoro di
magistrati che cercano la verità
sulle stragi di mafia. In un
Paese normale un magistrato
non sarebbe nell'occhio del
ciclone per il solo fatto di intestardirsi
ad applicare l'articolo
3 della Costituzione
(“Tutti i cittadini hanno pari
dignità e sono eguali davanti
alla legge”). In un Paese normale
Antonio Ingroia sarebbe
rimasto al suo posto, e forse
l'idea di lanciarsi in una competizione
politica difficile con
un movimento non ancora
nato che avrà addirittura difficoltà
a superare la soglia di
sbarramento, non l'avrebbe
neppure sfiorato. Altro che ricerca
di un posto al sole. Il fatto quotidiano 21 dicembre 2012
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