ABC, Acqua Bene Comune |
Scritto da Andrea Palladino |
Venerdì 07 Dicembre 2012 |
RITORNO AL FUTURO - Nel preambolo dello statuto di Abc Napoli si declinano i principi di base del nuovo ente: «Ecologia, economicità, efficienza, trasparenza e partecipazione». La rottura non è solo con il modello della gestione privata dell’acqua, e più in generale dei beni comuni. Il principio uscito dal voto referendario rompe anche con la gestione comunale degli acquedotti che ha caratterizzato il passato in moltissime parti d’Italia. Due i pilastri, la trasparenza e la partecipazione. Il titolo IX dello statuto, “Rapporti con la cittadinanza”, apre le porte ad un rapporto diretto con tutte le forme di partecipazione attiva dei cittadini, rafforzando il principio della trasparenza della gestione. L’articolo 42, ad esempio, obbliga i dirigenti di Abc Napoli a pubblicare sul sito istituzionale tutti gli atti amministrativi. C’è poi l’obbligo statutario a prendere in considerazione le proposte presentate dalle associazioni e dai comitati, aprendo al principio della gestione partecipativa, mai attuato fino ad oggi in Italia. Una sfida decisiva per la giunta guidata da Luigi De Magistris, che ha affidato ai due giuristi autori dei quesiti referendari, Alberto Lucarelli e Ugo Mattei, la transizione dalla vecchia Arin al nuovo ente pubblico. ACQUA BENE COMUNE - Il secondo principio inserito nello statuto – ed è anche in questo caso la prima volta in Italia – è il rispetto del principio di accesso garantito al bene primario acqua, secondo le stesse indicazioni delle Nazioni unite. Viene introdotto il concetto di «quantitativo minimo giornaliero» (articolo 27), ovvero «l’erogazione gratuita, relativamente alle utenze domestiche, del quantitativo vitale di acqua, individuato sulla base dei parametri indicati dalla Organizzazione Mondiale della Sanità e nei limiti della capacità finanziaria dell’azienda e del Comune». Rimane il vincolo alla disponibilità di fondi dell’amministrazione comunale – obbligatorio per legge – ma si introduce il meccanismo che impedirà il taglio dell’acqua a chi non riuscirà a pagare la bolletta. Se Napoli riuscirà ad affrontare e vincere la sfida della sostenibilità di questa parte centrale del nuovo statuto, si tratterà di una vera e propria rivoluzione copernicana, riaffermando il principio della solidarietà e allontanando il vecchio leit motiv che sono i furbi ad approfittare dello stato sociale. Per capire quanto sia importante questo principio – che garantisce a tutti, anche a chi non riesce a pagare, l’accesso all’acqua potabile – occorre guardare quello che sta accadendo a livello nazionale. L’agenzia per l’energia e il gas – che è stata indicata dal governo Monti come autorità di regolazione del settore idrico – sta elaborando in questi giorni i nuovi sistemi di calcolo della tariffa. Il principio della garanzia del bene essenziale acqua a tutti – figlio dei referendum – è completamente assente dai documenti preliminari. Anzi. Per il settore energetico – ma è ipotizzabile che il principio si applicherà anche per l’acqua – ad esempio l’autorità nazionale vorrebbe introdurre una lista nera dei morosi, escludendo chi non riesce a pagare le bollette dalla possibilità di ricevere il servizio anche da altri gestori. Insomma, il nuovo nemico delle multinazionali dei servizi pubblici è il povero. IL RESTO D’ITALIA - Il risultato dei referendum è stato ormai dimenticato dalla politica, soprattutto in questa fase di campagna elettorale. Nessuna parola, in questo senso, è stata spesa con chiarezza dai candidati alle primarie, se si esclude un riferimento generale da parte di Nichi Vendola. Eppure quel voto ha anticipato di almeno un anno il profondo cambiamento in atto nella politica italiana, reso evidente dal voto in Sicilia. Oltre a Napoli – che il 16 giugno del 2011, quattro giorni dopo il risultato referendario votò la costituzione di Abc Napoli – qualcosa inizia a muoversi in Sicilia, dove il Movimento 5 Stelle ha chiesto nei giorni scorsi un incontro con i comitati acqua pubblica, per riaprire l’iter della legge d’iniziativa popolare rimasta insabbiata nella scorsa legislatura regionale. Non è ancora chiara la posizione di Rosario Crocetta su questo tema. Tutto fermo anche in Puglia, regione che aveva annunciato la creazione di un gestore completamente pubblico subito dopo il voto. Qui le bollette intanto sono aumentate, senza che avvenisse la riduzione del costo eliminando la remunerazione del capitale investito, principio alla base del secondo quesito referendario. Più in generale il dibattito sui beni comuni è sparito dall’orizzonte, come se nulla fosse accaduto. Le aziende private che oggi hanno in mano buona parte degli acquedotti italiani stanno puntando con forza sulla revisione della tariffa da parte dell’agenzia del gas e dell’energia, sicure di vedere il ritorno del principio della remunerazione cassato dal voto. La stessa Acea – multinazionale romana, principale gestore dell’acqua in Italia – ha detto chiaramente che è pronta a riprendere gli investimenti quando avrà garanzie dall’Authority sulla tariffa. Affermazione che per una società per azioni quotata in borsa vuol dire sostanzialmente garanzia del profitto. Intanto sono migliaia le famiglie italiane che in questi giorni si vedono chiudere i rubinetti per morosità, situazione che si sta aggravando grazie alla crisi economica. La volontà popolare uscita con chiarezza dal voto del giugno 2011 è stata messa – almeno per ora – all’angolo. *dal settimanale n. 48 http://ilpuntontc.com/attualita/5773-abc-acqua-bene-comune-.html |
Nessun commento:
Posta un commento