mercoledì 13 giugno 2012

Latina discarica Borgo Montello il mistero dei veleni raccontato dai protagonisti. Niente scavi fusti tossici

Latina, i veleni restano nella discarica. “Lo smaltimento costerebbe troppo”

La decisione del Comune (dopo aver lanciato la proposta). La collina artificiale di Borgo Mantello conserva un pezzo di storia di traffici di rifiuti: chi ha voluto fare luce è finito male, come don Cesare Boschin. Per la prima volta il traffico viene raccontato da un dirigente delle società che hanno operato nell'area: "Era un vero Far West, arrivava di tutto"

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/06/13/latina-veleni-restano-a-borgo-mantello-carotaggi-e-smaltimento-costano-troppo/261817/
Montello interna nuova
Tutto sembrava pronto per trovare un pezzo di verità dopo vent’anni e più di sospetti e silenzi omertosi. Il ventre della discarica di Borgo Montello – alle porte di Latina - tra pochi giorni doveva essere aperto, alla ricerca dei fusti tossici interrati per anni. La pistola fumante che mancava per iniziare ad individuare le responsabilità su anni di interramenti clandestini, che hanno avvelenato decine di famiglie, era a portata di mano. Sul sito “S0″ – la parte più antica della discarica, chiusa negli anni Ottanta – l’Enea aveva individuato nel 1998 alcune masse metalliche, segno della presenza di fusti interrati. Tanti, tantissimi, secondo le testimonianze degli abitanti del posto, supportate dal racconto del pentito di camorra Carmine Schiavone. Lunedì scorso è arrivato lo stop: “Non se ne fa più nulla, i costi sono troppo alti”, ha spiegato durante una riunione l’assessore all’ambiente del comune di Latina Fabrizio Cirilli, dopo aver ascoltato le parole del presidente dell’Arpa Dino Chiarucci, preoccupato con il costo di smaltimento dei veleni che i carotaggi avrebbero potuto trovare. Una decisione che sfiora il paradosso, visto che era stato lo stesso assessore all’ambiente Cirilli a preparare la gara per scavare nel luogo indicato da una perizia dell’Enea, deciso a portare avanti “un’operazione verità”.
Dunque i veleni rimarranno al loro posto, sfiorando le falde acquifere che alimentano una delle zone a maggiore intensità agricola della regione Lazio, a pochi metri dai campi dove crescono le verdure vendute poi in tutta Italia. Un invaso di circa cinquanta ettari, con buche che almeno fino alla metà degli anni novanta hanno accolto scorie pericolose. Un traffico che viene rivelato per la prima volta a ilfattoquotidiano.it da uno dei massimi dirigenti della società Ind.eco (gestore di una parte della discarica), un tecnico mandato a Latina nel 1997 direttamente da Giuseppe Grossi.
La collina artificiale di Borgo Montello conserva al proprio interno un pezzo della storia italiana dei traffici di rifiuti. Chi ha cercato in passato di ricostruire la verità ha fatto una brutta fine, come il parroco don Cesare Boschin, morto incaprettato nella canonica nel marzo del 1995. Gli unici racconti fotografati sui verbali dei carabinieri di Latina sono quelli di Carmine Schiavone, che un anno dopo l’omicidio dell’anziano prete raccontò dei traffici dei casalesi in quelle terre. Ma i suoi ricordi si fermano alla fine degli anni Ottanta, su quella zona chiamata “S0″, dove erano previsti i carotaggi fermati dal comune di Latina.
Nessuno, fino ad oggi, ha voluto raccontare cosa sia avvenuto negli anni successivi, quando la discarica iniziò ad essere gestita dai colossi italiani dei servizi ambientali. Prima l’azienda dei fratelli Pisante, i padroni del gruppo Acqua, industriali di peso in tutto il Paese, dalla Puglia alla Lombardia. Poi la Green Holding del gruppo di Giuseppe Grossi, l’azienda rimasta impigliata nei processi milanesi per la bonifica di Santa Giulia.
A ricordare quel periodo è l’ex direttore della discarica di Borgo Montello Achille Cester: “Quando arrivai nel 1997 Borgo Montello era un vero Far West, era in gestione l’invaso S4 – racconta – che galleggiava sul percolato mai recuperato, mentre quel poco che prelevavano si diceva che lo facessero buttare direttamente nel fiume Astura. L’estrazione e produzione del biogas, pur altamente remunerativa ed ecologicamente indispensabile, era abbandonata. L’invaso S4 era il grande contenitore dove tutte le aziende della zona, oltre ai comuni, sversavano i loro rifiuti. Spesso questi rifiuti erano assimilabili ai rifiuti urbani ma più spesso era necessario controllare ogni automezzo in ingresso per evitare abusi, specialmente da parte dei cosiddetti terzisti”.
Cester – che è rimasto ai vertici dell’Ind.eco fino al 1999 – ricorda che in quella zona arrivava di tutto: “Dovevo controllare personalmente tutti i camion per verificare che non continuassero ad entrare i rifiuti industriali”. Chi gestiva questo tipo di trasporti nel Lazio mantenendo i rapporti con la Ind.eco in quel periodo? “C’erano alcune persone che si erano occupate di questo, come Carmine Mirante, detto Piero. Nella zona di Formia comandava invece la ditta Ambroselli Maria Assunta che conferiva, e lo fa ancora, regolarmente in Ind.eco. Mirante era un calabrese, trapiantato qua, da più generazioni, titolare anche di un locale notturno sul litorale romano, so che è morto recentemente dopo aver avuto problemi con la giustizia. Lavora lì anche un tale Luigi Bontempi, arrestato pochi anni dopo per traffico di rifiuti. Bontempi non dipendeva gerarchicamente da me, ma era il punto di riferimento di Cesarina Ferruzzi responsabile per tutto il gruppo della parte commerciale dello smaltimento dei rifiuti industriali”. Cesarina Ferruzzi è uno dei tecnici più conosciuti in Italia, specializzata da sempre in rifiuti industriali. Ha iniziato la sua carriera negli anni Ottanta riportando in Italia i fusti tossici delle aziende lombarde abbandonati abusivamente a Beirut in Libano. Il trasporto avvenne utilizzando la tristemente nota nave Jolly Rosso della compagnia Messina, che dopo quel carico rimase ferma a La Spezia diversi mesi per essere decontaminata, prima di affrontare l’ultimo viaggio che la vedrà spiaggiarsi ad Amantea, in Calabria.
La Green Holding – in una nota – spiega che in realtà i rifiuti industriali “non pericolosi” non finiva nell’invaso dell’Ind.eco, ma in quello della Ecotecna, un sito adiacente che era gestito da una società del gruppo Acqua. Uno sversamento – assicura l’azienda milanese – autorizzato e durato solo dal 1992 al 1994.
Il sito di Borgo Montello non avrebbe mai potuto ricevere le scorie pericolose: “La regola veniva però aggirata – prosegue nel racconto Achille Cester – mediante i centri di stoccaggio presenti sul territorio. Di fatto avrebbero dovuto soltanto ritirare rifiuti recuperabili ma più volte mi era capitato di respingere melme maleodoranti e fusti che di assimilabile avevano proprio poco. Per evitare i controlli e la facile identificazione – prosegue il racconto – i fusti, a partire da metà degli anni Novanta, non venivano più smaltiti tal quali ma triturati e mischiati con plastica, carta e legno, tant’è che tra gli addetti ai lavori era stato coniato un neologismo con il suo prezzo di riferimento, il triturato misto”.
Attorno a quel sito – gestito dal gruppo Grossi a partire dal 1996 – si aggiravano tanti mediatori e trafficanti, gente abituata a sversare di tutto: “C’erano operatori che sotto la patente di ecologici sbarcavano il lunario cercando di diventare ricchi con lo smaltimento al limite del proibito. Ricordo uno di questi che voleva smaltire medicinali scaduti facendoli passare per urbani dopo la triturazione con il placet analitico di uno dei chimici che andava e tuttora va per la maggiore a Latina. Il mio compenso per approvare l’operazione avrebbe dovuto essere una notte di fuoco con non una, ma due escort”.
I controlli, secondo Cester, erano praticamente nulli, grazie ad accordi non scritti: “La discarica, almeno con la gestione precedente l’ingresso della Green Holding, aveva un tacito accordo con il comune di Latina. In cambio di una tariffa agevolata di smaltimento (40 lire al chilo), che di fatto non pagava nemmeno, la discarica ritirava rifiuti industriali con la scusa che erano assimilabili agli urbani”. Storie, queste, che le famiglie di Borgo Montello non potranno vedere ora verificate. Di soldi per andare a cercare i veleni intrisi nel suolo dicono che non ce ne sono.

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