L'INCHIESTA / il territorio dichiarato nel 2005 «Sito di Interesse Nazionale di Bonifica»
Valle del Sacco, cent'anni di veleni:
nell'area più inquinanti che intorno all'Ilva
Nella zona di Colleferro sono presenti industria bellica (dal 1912),
chimica e impianti di trattamento dei rifiuti: le morie di bestiame e i
casi di tumore in un'indagine epidemiologica
Un corso d'acqua inquinato nella Valle del Sacco
ROMA - Il sequestro dell'Italcementi a Colleferro, quattro anni
dopo i sigilli apposti al grande inceneritore nello stesso comune,
riaccende i riflettori sulla «valle dei veleni». Nel corso di un secolo
l'industrializzazione selvaggia ha compromesso il territorio
attraversato dal fiume Sacco e la sua popolazione: qui infatti, sin dal
1912, è presente l'industria bellica. La stessa che, negli anni '80,
arrivò ad aiutare il dittatore Saddam Hussein. E ancor oggi prosegue la
produzione a servizio della chimica di guerra, ma il segreto militare
resta impenetrabile e non consente di offrire le reali dimensioni del
fenomeno.
Sulla Valle del Sacco insiste poi l'impatto dell'impianto
per il trattamento dei rifiuti bloccato dal Noe dei carabinieri nel
2009, nonché quello della produzione di un insetticida (vietato solo dal
2001) finito nel foragio e nel latte crudo di 32 aziende bovine e 9
ovine: indagini epidemiologiche analizzano da tempo sospette morie di
bestiame e di pesci nel fiume, nonchè numerosio casi di tumori nella
popolazione. Con un inquinamento ambientale che, nel complesso, potrebbe
superare quello contestato intorno all'Ilva di Taranto.
L'industria bellica a Colleferro nel 1912
CENTO ANNI DI GUERRA - Nello scioccante studio - ignorato dai più -
prodotto nel 2012 da Legambiente sulle armi chimiche in Italia, tra i
siti sotto indagine spicca la Valle del Sacco. Si legge nel dossier: «A
Colleferro quest’anno ricorre il centesimo anno dell’industrializzazione
dell’area che ospita già dal 1912 produzioni belliche (Snia, BPD), in
particolare dedicate alla fornitura di tecnologie atte a trasformare
armi convenzionali in armi chimiche. Una produzione che continua anche
negli anni successivi alla II Guerra mondiale, tanto che alcuni
documenti riportano una correlazione tra la produzione dell’industria
bellica di Colleferro e le tecnologie fornite all’Iraq di Saddam Hussein
negli Anni '80».
Ancora oggi nell’area sono attive produzioni
belliche «ma sull’inquinamento ci sono ancora poche informazioni
pubbliche, a causa del segreto militare - spiegano gli ambientalisti - e
di una contaminazione molto complessa che deriva da tantissime attività
che si sono succedute negli anni in tutta la Valle del Sacco, diventata
recentemente "Sito di interesse nazionale da bonificare"».

SEGRETI
PER REGIO DECRETO - Scrive ancora Legambiente: «Parte del sito
industriale di Colleferro è ancora oggi “coperto” dal Regio Decreto 11
luglio 1941, n. 1161 – Norme relative al segreto militare - e dal
Regolamento di Pubblica Sicurezza del Regio Decreto 6 maggio 1940,
numero 635, che ha favorito l’assenza di controlli in materia
ambientale. Ai primi Anni ’90 risale il ritrovamento di fusti tossici
contenenti scarti di produzione delle aziende colleferrine. Nel 2005, in
seguito alla contaminazione da β-HCH (beta-esaclorocicloesano),
derivante dalle produzioni interrate di insetticidi, si è istituito il
"Sito di Interesse Nazionale di Bonifica", oggi uno dei più estesi in
Italia».
Un camion porta i rifiuti al termovalorizzatore di Colleferro (Jpeg)
BONIFICA MISTERIOSA - «La relazione dell’Ufficio Commissariale per
l’emergenza della Valle del Sacco del 2009 non evidenzia il
ritrovamento di sostanze legate alla produzione bellica. Ma documenti
Usl (Anni ’90) sottolineano le tipologie di «sostanze utilizzate
dall’industria bellica, al tempo stesso industria chimica». La relazione
dell’Ufficio Commissariale - prosegue lo studio - indica che molte
operazioni di bonifica all’interno del sito industriale «sono state
effettuate dalle stesse aziende, senza che ne siano stati esplicitati i
termini». Nel 2009, circa il 30% dell’area industriale era «oggetto di
caratterizzazione in itinere o in previsione»: un problema che
riguardava «tutte le aree di pertinenza delle aziende belliche, le
stesse che ne dovranno redigere i piani di caratterizzazione».
FORNITORI DI SADDAM HUSSEIN - Quanto
ai clienti dell'industria bellica, «nel 1982, l’Iraq di Saddam Hussein,
come molti altri Paesi emergenti», stava effettuando la sua corsa al
riarmo, «progettando e costruendo la sua macchina bellica in chiave
anche chimica e di distruzione di massa, con l’ausilio delle capacità
produttive e ingegneristiche di Paesi avanzati... I rapporti Unmovic,
ovvero della Commissione ispettiva creata dalle Nazioni Unite nel 1999
al fine di monitorare le capacità belliche dell’Iraq, fanno emergere
«notizie di collaborazione tra l’Iraq e aziende italiane, non menzionate
però esplicitamente», ribadisce Legambiente.
La Simmel Difesa, dove nel 2007 un' esplosione uccise un operaio e ne ferì altri tre (Ansa)
DALL'IRAQ ALLA'ARABIA SAUDITA - Il giornalista Gianluca Di Feo, in
Veleni di Stato (2010),
ricostruisce tasselli essenziali circa la responsabilità delle
produzioni belliche colleferrine (Snia BPD), in particolare
relativamente alla «fornitura di tecnologie atte a trasformare armi
convenzionali in armi chimiche, scavalcando le convenzioni
internazionali». Infine: «In tempi recenti (2006), le industrie belliche
di Colleferro (ora Simmel Difesa SpA) vendono ancora unità di ricambio
di armamenti modificabili in vettori chimici a paesi come l’Arabia
Saudita, trasferibili ad altri paesi ex Legge 185/90, che non garantisce
l’ end use. Non è dato sapere, in ultima analisi, quali altri paesi
siano in possesso di tecnologia italiana per la modifica di armi
convenzionali in armi chimiche».
Mario Cacciotti, sindaco di Colleferro (foto Eidon)
UN FIUME DI INSETTICIDI - Ripercorrendo, invece, la recente storia
della Valle del Sacco, non si può che rimanere sbalorditi da quanto la
vicenda dell'inquinamento sia stata letteralmente sminuita: a
raccontarla in maniera drammatica solo le indagini epidemiologiche,
oltre a sospette morie di bestiame e di pesci nel fiume accompagnate da
una sequela di esposti e denunce sui disastri ambientali che si sono
susseguiti negli anni tra la bassa provincia Roma - in particolare
Colleferro, Valmontone, Gavignano - e l'alta Ciociaria. Ad avvelenare la
zona, in particolare, sarebbe stata un'azienda produttrice di un
insetticida che conteneva Beta-HCH. La sostanza era contenuta nel
lindano, antiparassitario vietato solo nel 2001. Fu nel 2005 che
scoppiò il caso, a seguito dei risultati analitici di campioni di latte
crudo di un’azienda agricola di Gavignano che evidenziavano livelli di
beta- esaclorocicloesano (β-HCH), un composto organico persistente,
molte volte superiore ai livelli limite di legge per la matrice
considerata.
Mucche in una stalla della Valle del Sacco (Ciofani)
ANIMALI ABBATTUTI - I veleni confluiti dai terreni dell'azienda
che produceva l'antiparassitario nel suolo e nelle acque, come rilevò
l'Istituto zooprofilattico, confluirono nel fiume che distrusse ciò che
attraversava: 32 aziende bovine, una bufalina e 9 ovine vicine a dove
era stato riscontrato il primo campione positivo, presentavano altre
positività e la molecola incriminata venne rilevata anche nei foraggi
per l’alimentazione animale. Con l'amministrazione Marrazzo venne
dichiarato lo stato di emergenza: venne istituito un commissario ad hoc e
furono abbattuti in via cautelativa 6000 capi di bestiame mettendo in
ginocchio la zootecnia della Valle. Partono anche le prime bonifiche dei
siti inquinati. Ad oggi la contaminazione dell'area perimetrata ed
oggetto degli interventi, si sarebbe ridotta «tra il 30 ed il 40%
rispetto ai valori iniziali (fonte: assessorato all'ambiente, agosto
2012)».
Colleferro, l'area del termovalorizzatore
INDAGINE EPIDEMIOLOGICA - Nel 2008 la prima indagine
epidemiologica - ne verrà fatta un'altra due anni dopo con esiti
stranamente più miti - evidenziò i gravi problemi per la salute portati
da anni di avvelenamento. Come scrive il rapporto della Asl Roma E:
«L’area di Colleferro è stata oggetto di un inquinamento ambientale da
fonti molteplici e le modalità di contaminazione umana sono state
diverse. Il complesso industriale ha sicuramente causato un inquinamento
dell’aria da sostanze chimiche e prodotti della lavorazione fin dai
primi tempi della propria attività e i cui livelli e la cui estensione
nel territorio sono oggi poco documentabili». I lavoratori - prosegue il
testo - «sono stati esposti a sostanze tossiche in ambiente di lavoro,
in particolare prodotti chimici ed amianto».
L'impianto dove si producevano i pesticidi organici
PESTICIDI NEL CIBO - Le persone che hanno risieduto lungo il
fiume hanno assorbito ed accumulato nel tempo pesticidi organici
soprattutto tramite la via alimentare. I risultati della indagine
mostrano che alcuni effetti sanitari possono essere ragionevolmente
messi in rapporto con tali esposizioni. «Il quadro di aumento della
patologia respiratoria e cardiovascolare riscontrato nel comune di
Colleferro e nelle aree rurali vicine - dice l'indagine - può essere in
parte attribuibile all’inquinamento dell’aria negli anni trascorsi. Gli
eccessi di tumore della pleura possono essere messi in rapporto con la
esposizione ad amianto in ambito occupazionale mentre la esposizione a
sostanze chimiche può aver causato l’eccesso di tumori della vescica tra
gli operai esposti». Tanto che l'area è stata ribattezzata «la Valle
dei tumori». Mancano aggiornamenti recenti: nell'agosto 2012, ad una
interrogazione dei radicali del Lazio, non rispose la presidente
Polverini in veste di delegato alla salute, ma solo l'assessorato
all'Ambiente.
UN CASO ILVA A SUD DI ROMA - E
torniamo ai giorni nostri. Come sottolinea il presidente dei Verdi Nando
Bonessio: «Se alla situazione emersa dell’Italcementi, si aggiunge un
contesto ambientale già gravemente compromesso, in un territorio sul
quale insiste anche l’inceneritore, già finito sotto la lente degli
inquirenti per dei gravissimi illeciti ambientali, si compone un quadro
di devastazione ambientale pari a quello dei siti più inquinati
d’Italia, come l’Ilva di Taranto». E nella zona il futuro sembra
parlare di nuove ferite per l'ambiente: dopo anni di sversamenti nella
discarica di Colleferro, di incenerimento dei rifiuti, di pneumatici e
biomasse, infatti, si vogliono installare anche impianti di Tmb
(trattamento biologico meccanico dei rifiuti) per produrre combustibile
da rifiuto.
NO TAX AREA INVECE DEI RIFIUTI - I
verdi del Lazio, contrari a nuove opere, propongono un'alternativa:
«Non possiamo permettere che si costruiscano altri impianti per
alimentare gli inceneritori - conclude - un altro modello di sviluppo è
possibile, e passa per la filiera della riduzione, del riuso, della
raccolta differenziata e del riciclo e dal rilancio del territorio che
passa attraverso le bonifiche». A margine dell'ultima manifestazione
celebrata nella zona, il presidente dei Verdi ha aggiunto: «Chiediamo
che sia istituita subito una "No Tax area" per la Valle del Sacco, per
attrarre imprese e lavoro e portare sviluppo a quest'area - troppo a
lungo sacrificata dalle scelte della politica con rifiuti e inquinamento
- e un processo di bonifiche che la restituisca ai cittadini».
Michele Marangon12 ottobre 2012 | 20:48© RIPRODUZIONE RISERVATA http://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/12_ottobre_12/inquinamento-valle-del-sacco-marangon-2112220835180.shtml
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