sabato 27 ottobre 2012

Berlusconi la condanna per Mediaset secondo Marco Travaglio

Le indecenti evasioni di Marco Travaglio La sentenza emessa ieri dal Tribunale di Milano, che ha condannato Silvio Berlusconi a 4 anni di reclusione per frode fiscale, a 5 anni di interdizione dai pubblici uffici e a 10 milioni di provvisionale all’Agenzia delle Entrate nel processo sui diritti Mediaset, non è – come vaneggia Angelino Alfano, nientemeno che ex ministro della Giustizia, “l’ennesima prova dell’a c c a n i m e nto giudiziario contro Silvio Berlusconi”. Semmai è la prova che l’Italia è stata governata per nove anni negli ultimi venti da un evasore fiscale (che ogni tanto condonava le proprie evasioni). Non è nemmeno, con buona pace di Angelino Jolie, “una condanna inaspettata e incomprensibile con sanzioni principali e accessorie iperboliche”: chi conosce il processo sa bene che alcune società occulte create da David Mills e usate per drenare fondi neri gonfiando i costi dei film acquistati in America facevano capo personalmente a B. Quanto alle pene, detentive e accessorie, sono ridicole se confrontate con quelle di qualunque altra democrazia, dove gli evasori vengono sepolti in carcere, mentre da noi siedono al governo, in Parlamento e ai vertici di banche e grandi aziende. Fa sorridere, anzi fa pena il commento del capogruppo pidino Dario Franceschini: “Questo non è oggetto di confronto politico. E comunque, per fortuna, non lo è più”. Cioè: il fatto che un tribunale della Repubblica giudichi il più potente parlamentare della Repubblica, per tre volte presidente del Consiglio, colpevole di frode fiscale per 40 milioni di euro (35 volte la cifra che ha portato Fiorito in carcere) con “una naturale capacità a delinquere mostrata nel perseguire il disegno criminoso”, non sarebbe un fatto politico. O non lo sarebbe più solo perché B. ha rinunciato a candidarsi a premier, cioè a una carica che – sondaggi alla mano – non potrà mai più ricoprire, senza peraltro rinunciare al Parlamento, cioè all’immunità. Cose dell’altro mondo, anzi di questa Italia e di questo tragicomico centrosinistra, che per vent’anni ha dialogato col “delinquente naturale” e ha fatto di tutto per salvarlo dai suoi processi. Solo Di Pietro trova le parole giuste per commentare uno scandalo noto a tutti, che quasi tutti hanno finto, e tuttora fingono, di non vedere (come pure sulla costituzione di parte civile del governo nel processo sulla trattativa Stato-mafia, chiesta a gran voce da Di Pietro, da Fli e dal nostro giornale). Del resto non è la prima volta che B. viene condannato in primo grado: lo era già stato fra il 1997 e il '98 per i finanziamenti illeciti a Craxi nel processo All Iberian (poi lo salvò la prescrizione), per la corruzione della Guardia di Finanza e per il falso in bilancio sui fondi neri di Medusa Cinema (poi fu assolto per insufficienza di prove). E ora che succede? Nell’immediato, nulla. La mannaia della prescrizione incombe, anche se il Tribunale, depositando le motivazioni assieme al dispositivo dopo sei anni di processo, ha fatto il possibile per scongiurarla: il reato dovrebbe estinguersi nel 2014, dunque c’è tutto il tempo per celebrare gli altri due gradi di giudizio. Se la Cassazione confermasse il verdetto di ieri, B. non andrebbe comunque in carcere: sia perché dai 4 anni vanno detratti i 3 dell’indulto gentilmente offerto nel 2006 dal centrosinistra e appositamente esteso ai reati finanziari; sia perché B. ha più di 70 anni e, in base alla legge ex-Cirielli da lui stesso imposta e mai cancellata dal centrosinistra, a quell’età si va ai domiciliari. Resterebbero però 2 anni di interdizione dai pubblici uffici non coperti da indulto: se la Cassazione confermasse la condanna, B. dovrebbe lasciare il Parlamento e perderebbe, oltre al seggio, l’immunità. Cioè a quanto ha di più caro, oltre ai soldi rubati a milioni di contribuenti onesti. Il fatto quotidiano 27 ottobre 2012

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