Nell’ordinanza di sequestro dello scorso inverno il magistrato definiva
la “situazione paradossale”. Secondo il magistrao l’azienza
“imperterrita” aveva continuato a produrre nonostante l’autorità
giudiziaria avesse emesso un primo provvedimento il 26 luglio del 2012,
poi confermato dal Riesame e così fino in Cassazione, di blocco della
produzione. L’azienda del gruppo Riva, quindi, non avrebbe potuto far
uscire dalla fabbrica nessuno tipo di lavorato o prodotto. Tutto
l’acciaio prodotto all’Ilva da quel giorno in poi, secondo il gip, era
ed è frutto di un reato. Quel disastro ambientale provocato
da un riversamento continuo “nell’ambiente circostante e non di una
quantità rilevante di sostanze altamente nocive per la salute umana” e
non solo. I prodotti lavorati finali erano e sono, nel ragionamento del
gip, il “frutto” di un avvelenamento del territorio, degli animali e
delle persone che, secondo i rapporti epidemiologici, ha portato il
territorio ad avere un’incidenza di tumori spaventosamente alta.
Lo scorso 9 aprile la Corte Costituzionale aveva
dichiarato la legge ‘salva Ilva‘ costituzionale. I giudici, al termine
dell’udienza, avevano dichiarato inammissibili o infondati i ricorsi
proposti dalla magistratura. La Consulta in comunicato emanato spiegava
di ritenere “in parte inammissibili e in parte non fondate le questioni
di legittimità costituzionale. Una decisione, quindi, che aveva aperto
uno scenario tutto nuovo e che sembrava essere andato tutto a favore
dell’impresa e a discapito della salute.
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