martedì 14 agosto 2012
Vendola e l'Ilva di Taranto, parole, opere e omissioni
Detti e contraffatti del governatore pugliese
Nichi e la fabbrica: parole, opere e omissioni
di Marco Palombi
Dicembre 2011 “Sulla
diossina dati
s t r a o rd i n a r i ,
la miglior
buona pratica
d’E u ro p a
Il fatto quotidiano 15 agosto 2012
Io penso che abbandonare l’acciaio
sarebbe una sconfitta, bisogna
mettere in equilibrio il lavoro
e la salute. Nelle carte dei
magistrati c’è il percorso. L’ambientalizzazione
della fabbrica può essere
fatta solo a impianti accesi”. Peraltro,
“L’Ilva rispettava i limiti e si è
adeguata alla legge regionale sulla
diossina, ma l’Ilva è anche una metropoli
che per 60 anni è stata un
propagatore di veleni”.
LA POSIZIONE di Nichi Vendola
sull'acciaieria di Taranto, com’è naturale
per un uomo che rifiuta le facili
semplificazioni, è un
po’ complessa: hanno
ragione i giudici che
chiedono all’Ilva di non
inquinare e prescrivono
la chiusura della fabbrica,
però hanno pure torto
perché l’Ilva adesso rispetta
i limiti e quindi la
fabbrica deve rimanere
aperta. Il governatore è
confuso? No, più che altro
si muove sul doppio
binario su cui ha sempre
viaggiato in questi anni:
ufficialmente lui ha risolto
la situazione, in
pratica non può far finta
che non esistano le perizie
ordinate dalla magistratura
che dimostrano
che non è vero. Basti vedere
quanto lo stesso
Vendola diceva in uno
dei suoi videomessaggi nel dicembre
del 2011, otto mesi fa: “Ho i dati
degli ultimi rilevamenti dell’Arpa
sulle emissioni di diossina e furani a
Taranto: siamo a quota 0,2 nanogrammi
per metro quadrato. Vorrei
ricordare a tutti che nel 2005 l’I l va
sputava in atmosfera fino a 10 nanogrammi
di veleni. Questo dato è
straordinario, è una delle migliori
buone pratiche che ci siano state a
livello europeo”. Non che fosse la
prima volta che il nostro parlava degli
straordinari progressi di Taranto.
Basta rileggere un paio di numeri
della rivista della stessa Ilva, Il Ponte.
Ecco cosa diceva Vendola in un’intervista
del novembre 2010: “Gli investimenti
dal punto di vista ambientale
sono stati notevoli, sebbene
rimanga ancora molto da fare. In
moltissimi settori sono state applicate
le migliori tecnologie disponibili,
come previsto dalla legislazione
europea, e a breve il cronoprogramma
per l’ambientalizzazione completa
dell’Ilva sarà attuato al 100%”.
A maggio 2011, invece, fornì al periodico
pagato dai Riva una dichiarazione
contro la consultazione popolare
promossa dai movimenti tarantini
per la chiusura dello stabilimento:
“Chiesi ad Emilio Riva, nel
mio primo incontro con lui, se fosse
credente, perché al centro della nostra
conversazione ci sarebbe stato il
diritto alla vita. Credo che
dalla durezza di quei primi
incontri sia nata la stima reciproca
che c’è oggi. La stessa
che mi ha fatto scendere
in campo contro il referendum
per la chiusura del ‘polmone
produttivo’ della Puglia”.
Sul polmone produttivo
della Puglia poi sono arrivate
le analisi della Procura,
compresa quella che rileva
livelli di diossina intollerabili,
e i toni sono un po’
cambiati.
SOLO CHE NON solo di
parole ha peccato Vendola,
ma pure in opere e omissioni.
La famosa legge sulla diossina
del 2008 che ha risolto
tutto secondo lui, per dire,
prevede non controlli in
continuo (“assolutamente
indispensa bili”, scrive Todisco nella
sua ordinanza) ma sulla media aritmetica
di rilevazioni discontinue e
casuale. Per di più i numeri trionfali
forniti dal governatore – ed è sempre
il gip che lo sancisce – av ve n i -
vano andando a fare gli esami nel camino
sbagliato.
ANCHE L’AIA (Autor izzazione
integrata ambientale) firmata da
Vendola nell’agosto di un anno fa, all’ingrosso,
consentiva il raddoppio
della produzione, non prevedeva
controlli in continuo, né la copertura
del parco minerale da cui si alzano
molte delle polveri che infestano Taranto.
Festeggiò allora
l’assessore all’Ambiente
Nicastro:
“Siamo riusciti
a tenere insieme
le ragioni dell’ecologia
con quelle
dell’economia e
del diritto alla salute
con il diritto al lavoro.
Un passaggio
stor ico”. Poi a marzo
la giunta Vendola
cambiò idea e
chiese al ministro
Clini di procedere
al riesame dell'Aia.
Se si volesse risalire
al 2005, si potrebbe
ricordare anche che, Provincia
e Comune ritirarono la loro costituzione
di parte civile nel processo
che portò alla prima condanna
dei Riva. Contestualmente firmarono
un protocollo in cui la Regione si
impegnava a stanziare 50 milioni per
il risanamento del quartiere Tamburi
e altri 25 milioni per il Mar Piccolo.
Che ne è stato di quei soldi? C’è una
certezza: a Taranto non li hanno visti.
Ci sono, infine, le omissioni, il
cui peso si può apprezzare solo adesso
che tutti parlano della mancanza
di dati certi su cui basare un’analisi
credibile. I dati non ci sono anche
perché Vendola, pur avendone la
competenza istituzionale, s’è sempre
rifiutato di disporre un’inda gine
epidemiologica e pure di avviare il
monitoraggio di sangue e urine nonostante
gli sia stato chiesto più volte
dai movimenti tarantini e da forze
politiche dello stesso
centrosinistra (i
Verdi). Finito? Quasi:
il “Registro tumor
i” a Taranto è
fermo al 2005,
quindi sarà difficile
stabilire il numero
esatto dei morti per
inquinamento. Fortuna
che ci pensa
Nichi via Facebook
a spiegarci tutto:
“Lo sguardo di chi
governa deve pesare
ciascuno dei beni
da tutelare, deve
custodire tutte le
promesse di futuro,
ma soprattutto deve sentire la responsabilità
di evitare che vinca il
caos, e che l’ardire utopico dei pensieri
lunghi si pieghi alla disperazione
di un presente immobile, quasi
divorato dal suo passato”.
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