sabato 18 agosto 2012
Tamburi di morte 40 mila persone da deportare subito dall'Ilva secondo il sindaco di Taranto
TAMBURI DI MORTE
ILVA E LA GENTE DA DEPORTARE
Spostare gli abitanti dei quartieri a rischio è l’unica soluzione
se la fabbrica resta aperta. Il sindaco Stefàno: “Via subito”
40 MILA
QUANTI ABITANO
NEI RIONI VICINI
30%
L’ECCESSO
DI MORTALITÀ
346
I DECESSI
IN TREDICI ANNI
1.500 CIRCA
I RICOVERI COLPA
D E L L’INQUINAMENTO
17
I BAMBINI
MALATI DI TUMORE
di Marco Palombi
L’esecutivo
mente:
le case erano
già lì quando
Italsider
costruì
lo stabilimento
Il Fatto quotidiano 19 agosto 2012
Per secoli era lì che l’acque -
dotto romano del Triglio
ha fatto sgorgare le sue acque.
Battevano sulla strada
e da lontano sembrava quasi che
suonassero decine di tamburi.
Un po’ alla volta, nella Taranto
nata dalle durezze di Sparta, col
nome dello strumento cominciarono
a chiamare pure il posto.
I Tamburi. Zona di quasi collina e
di mare, famosa fino a qualche
decennio fa per la salubrità dell’aria
tanto che in contrada Rondinella
- dove oggi ci sono i depositi
costieri dell’Eni - ci avevano
costruito un sanatorio, l’Isti -
tuto Testa, dove mandavano a
curarsi i malati di tubercolosi.
Tu t t ’attorno i vigneti e gli ulivi, i
campi coltivati e le case dei pescatori.
Oggi di quell’imma gine
elegiaca resta nulla, affogata dal
sogno novecentesco dell’indu -
stria pesante: la marina militare
un tempo, l’acciaio e il petrolio
dell’Eni poi. Ora, per una sorta di
equilibrio della storia, l’aff lato
parasovietico che ha creato il
mostro d’acciaio dentro la città
corre verso una fine altrettanto
parasovietica: la deportazione
delle persone, lo spostamento
dei quartieri uccisi da quello che
cinquant’anni fa era il progresso.
Se ne parla ancora poco, lo propone
qualche accademico, la
butta lì il sindaco Ippazio Stefàno,
ne accenna persino il ministro
dell’Ambiente Clini: spostare
la gente di Tamburi, del Borgo
e di Paolo VI, i quartieri in cui si
muore di Ilva (e di Eni e di inceneritori),
30 o 40mila persone.
D'ALTRONDE, se si vuole tenere
in vita l’acciaieria, quella è
l’unica soluzione che garantisca la
salute dei cittadini: una ricerca accademica
presentata ad un convegno
internazionale del 2006, per
dire, ha dimostrato che una cokeria
con dieci anni di servizio non
può, anche adottando le migliori
tecnologie, assicurare una concentrazione
di benzo(a)pirene inferiore
ad 1 nanogrammo al metro
cubo in un raggio fra 1,3 e 1,7 km
dall'impianto. “C’è la questione
delle case vicine alla fabbrica, case
in cui non si può più vivere – ha
spiegato il sindaco di Taranto –. Le
case parcheggio sono troppo vicine
alle ciminiere. Bisogna spostare
i cittadini, ma non fra cinque
anni: subito”. Anche Carlo Mapelli,
docente di siderurgia al Politecnico
di Milano, ha dichiarato pubblicamente
che quella è la vera opzione
da considerare: “Si potrebbe
valutare, attraverso un piano
urbanistico ad hoc, se sia il caso di
spostare alcune aree urbane che
sono di maggiore sofferenza”.
A leggerne le dichiarazioni, si capisce
che persino Corrado Clini ci
pensa. In un’intervista al Fatto quotidiano,
ad esempio, ha spiegato:
“Teoricamente la possibilità di minimizzare
la polverosità diffusa fino
a rendere abitabile Tamburi
c’è, ma in pratica non è semplice.
Io credo che il quartiere sia la rappresentazione
concreta di un modo
disordinato e scriteriato di localizzare
gli insediamenti abitativi”.
Il ministro dell’Ambiente, però,
dice una balla: Tamburi è lì da
molto prima dell’Italsider. Le prime
case le costruirono le Fs vicino
alla stazione, poi il grosso arrivò
nella prima metà degli anni 50 col
l’Ina Casa (appartamenti destinati
ai dipendenti della Marina) e con
lo Iacp. Le ultime nuove concessioni
edilizie risalgono invece agli
anni Settanta, proprio mentre Italsider
costruiva quartieri per i suoi
operai a Paolo VI e nel vicino comune
di Statte. Non è l’unica imprecisione,
per così dire, del ministro:
venerdì, ad esempio, ha sostenuto
che Tamburi ha raddoppiato
i suoi abitanti da quando c’è
Ilva (1995). “Non è vero – ci spiegano
Francesco Mastrocinque e
Gianfranco Carriglio del comitato
di quartiere –. Vent’anni fa qua ci
abitavano più di trentamila persone,
oggi siamo 17mila”. Chi ha potuto
se n’è andato, gli altri restano
perché non possono farne a meno:
il mercato delle case, nonostante
i prezzi da saldo, è completamente
fermo.
A TAMBURI, oltre a 17mila tarantini
in pericolo, abitano la rabbia,
la speranza di aver trovato un
giudice e le statistiche: “L’impat -
to in termini di mortalità dell’in -
quinamento da PM10 a Taranto è
in realtà sopportato dagli abitanti
dei quartieri Tamburi e Borgo”,
ha spiegato in Tribunale Annibale
Biggeri, uno dei periti. È tanto
vero che tutti lì sono un po’ me -
dici e governano parole difficili
come “mesotelioma pleurico”,
una delle prime cause di morte da
inquinamento. Il cosiddetto “ec -
cesso di mortalità”, nel triangolo
della mal’aria, passa dal 20-30%
medio al 400% della pneumoconiosi
per il quartiere Paolo VI, dove
abitano molti ex operai Italsider.
I numeri, contenuti nelle perizie
epidemiologiche allegate all’ordinanza
del gip, parlano da soli:
386 morti in 13 anni (30 ogni
dodici mesi), cui vanno aggiunti
quasi 1.500 casi di ricoveri (237
per tumore maligno, 247 per
eventi coronarici, 937 per malattie
respiratorie). Anche i bambini
pagano il loro prezzo: 17 casi di
tumore maligno con patologie riscontrabili,
in genere, in anziani
fumatori, la maggior parte delle
malattie respiratorie.
QUESTO è l’inferno in cifre e le
scelte sono solo due: chiudere la
fabbrica o spostare i quartieri. La
prima non sembra un’opzione
per nessuno, politica in testa. Sulla
seconda cominciano ad esercitarsi
politici e tecnici: “Il sindaco
Stefàno – spiega ancora Carriglio
– pensa di portarci dentro il vecchio
Arsenale della marina militare,
ma noi le new town non le
vogliamo. Se siamo vittime di Stato
ce lo dicano. Io me ne vado da
solo, basta che Riva si compra le
case di Tamburi: io, la mia, non
riesco a venderla
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