mercoledì 1 agosto 2012

la Roma al tempo di Alemanno, Colosseo mussoliniano

Il colosseo mussoliniano la passione di Alemanno Il Fatto quotidiano 2 agosto 2012 diTomaso Montanari L a città eterna in mano agli alemanni: successe nel 1527, e fu il Sacco di Roma; poi con l’occupazione nazista, ed è meglio sorvolare. Se quelle furono tragedie, oggi il tutto ricicla in farsa. “L’irto e increscioso Alemanno” ( p ro - fetico Giovanni Berchet!) ne ha detta un’altra delle sue. Nel 2008, dribblando le domande sulla croce celtica che si era fatto benedire a Gerusalemme, aveva sentenziato che gli sembrava un’enor mità aver definito il fascismo un male assoluto (“molte persone vi aderirono in buona fede”). Oggi aggiunge che nessuno ha s p a z zo l a t o il Colosseo come Mussolini: “un intervento così forte, così complessivo, così organico, così s i g n i fi c a t i vo ” (come quello deciso in questi giorni) non si vedeva, secondo il sindaco, dal 1938. Poco importa che non sia vero (come ha chiarito la direttrice del monumento parlando con La Stampa): il punto è la coazione a sciorinare il proprio intramontato orizzonte culturale. E immagino i sospiri di Della Valle, che certo non aveva in mente proprio quel modello quando ha deciso di investire 25 milioni in un restauro che durerà tre anni, e che aprirà i cantieri entro dicembre. Folclore a parte, gli interrogativi veri riguardano proprio il ruolo dell’i m p re n d i t o re . IL MINISTRO Lorenzo Ornaghi – indefesso difensore del patrimonio e dell’i n t e re s - se pubblici – non ha parlato di ‘sponsor izzazione’, ma di “mecenatismo”. La differenza è cruciale. Lo sponsor conta di ricavare (legittimamente) un immediato utile economico dal suo investimento: e ciò molto spesso (se non sempre) risulta in irrimediabile contrasto con il fine costituzionale del patrimonio, che non è quello di produrre reddito, ma cultura ed eguaglianza. Il mecenate, invece, ha un obiettivo di legittimazione morale, culturale e sociale non traducibile in denaro: una figura consueta negli Stati Uniti, non solo grazie alla defiscalizzazione delle donazioni, ma grazie ad un diverso modello culturale. Se Della Valle sarà un mecenate o uno sponsor saranno i fatti a dircelo: quale sarà l’uso di quello che oscenamente viene chiamato il ‘brand Colosseo’? Quanto sarà impattante la nuova sede del centroservizi- merchandising che sarà costruito in un’area delicatissima e supervincolata? Quale l’effettivo controllo del Mibac sui restauri, e quale l’accessibilità alla documentazione? Fin da ora si può notare che un vero mecenate sarebbe forse stato disposto a legare il proprio nome a monumenti ben più in pericolo del celeberrimo anfiteatro. Ma lo Stato non gli può certo imporre come spendere i suoi soldi: non siamo mica ai tempi di Mussolini!

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