sabato 4 agosto 2012
Clini ministro ambiente, chi l'avrebbe detto: difende le aziende?
VELENI
IERI E OGGI 17 anni fa corse in soccorso dell’industria
L’uomo che sussurra alle aziende
di Giorgio Meletti Il Fatto quotdiano 5 agosto 2012
I l ministro dell'Ambiente Corrado Clini manifesta
da sempre una curiosa concezione dei compiti
del suo dicastero. È come se per lui l'obiettivo
non fosse difendere l'ambiente da chi inquina, ma
tutelare le industrie dalle seccature di natura ambientale.
Dunque, se risultasse confermato che
l'ex responsabile delle relazioni istituzionali dell'Ilva
di Taranto, Girolamo Archinà, lo ha definito in
una telefonata intercettata “uomo nostro”, Clini
avrebbe tutte le ragioni di respingere ogni insinuazione
riferita a qualcosa di opaco nel suo comportamento.
Quella di Archinà (fine teorico dell'inquinamento
dell'Ilva come “fenomeno mediatico
di allarmismo assolutamente spregiudicato”)
appare semmai come una pura, limpida, trasparente
constatazione.
CLINI, 65 ANNI, medico del lavoro veneziano,
pupillo del boss socialista Gianni De Michelis
che lo ha proiettato vent'anni fa alla direzione generale
dell'Ambiente, lasciata lo scorso novembre
per diventare ministro, è un'icona dei liberisti. L'Istituto
Bruno Leoni, tempio dell'impresa libera da
lacci e lacciuoli statali o statalisti, lo annovera tra i
suoi senior fellows. Nel curriculum di Clini spicca la
sorda opposizione al protocollo di Kyoto, con la
quale nel 2001 fece saltare i nervi al presidente del
Consiglio dell'epoca, il suo compagno socialista
Giuliano Amato, che pure non figura tra i talebani
d e l l ' e c o l og i a .
Ma i sacerdoti del liberismo dovrebbero spiegare al
popolo dei fedeli che cosa c'entri con Adam Smith il
riflesso pavloviano di mettere mano al portafoglio
dello Stato (di Pantalone, direbbero a Venezia) ogni
volta che un'azienda, per risparmiare, inquina. Clini
questo riflesso ce l'ha, e nel governo Monti è in
buona compagnia se è vero che, prima ancora di
chiedere all'Ilva che cosa pensa di fare per ridurre
l'inquinamento ed evitare così il blocco degli impanti,
è riuscito a far approvare a passo di carica un
decreto legge con cui lo Stato pagherà 336 milioni
di euro per la bonifica del letamaio cancerogeno
depositato per decenni sulla sfortunata terra di Tara
n t o .
Ma Clini è fatto così, e se l'ottantaseienne industriale
Emilio Riva e i suoi guardaspalle lo considerano
“dei nostri”, hanno tutte le loro legittime
ragioni. Perché adesso è tutto un correre, tutta
un'emergenza, e giustamente, perché i severi custodi
del ministero dell'Abiente solo oggi scoprono
che a Taranto ci sarebbe un problemino. Ma già nel
1995, diciassette anni fa, Riva aveva problemi di
inquinamento, e Clini volò in soccorso delle ragioni
dell'industria. L'indusriale milanese, che aveva appena
comprato il centro siderurgico di Taranto, aveva
già da anni la proprietà del centro gemello, quello
di Genova-Cornigliano. Inquinava, e a Genova
glielo volevano far chiudere (diciassette anni fa).
Clini, direttore generale del ministero dell'Abiente,
corse a una riunione con l'assessore regionale ligure
Giuliano Gallanti e con lo stesso Riva, ed
estrasse dal cilindro la soluzione: “Sarà lo Stato a
finanziare, attraverso suoi fondi e con finanziamenti
Cee, la bonifica e l'adeguamento alle norme
di rispetto ambientale dell'impianto, in particolare
della cokeria, le cui emissioni sono considerate gravemente
inquinanti”. Già, la cokeria, proprio il reparto
oggi nel mirino a Taranto. Leggete come quel
giorno (23 marzo 1995) l'Ansa raccontava i benefici
effetti della cura Clini, e stropicciatevi gli occhi:
“Dopo anni di prescrizioni disattese (la Regione
ha più volte diffidato l'azienda indicando opere di
bonifica, mai realizzate), con l'intervento e l'impegno
finanziario dello Stato l'industriale Riva s’è dunque
dichiarato disponibile a rinnovare l'impianto”.
DICIASSETTE anni dopo il copione si ripete a
Taranto. Con l'alibi dell'emergenza sociale (alcuni
magistrati cattivi vogliono ridurre sul lastrico gli
operai bloccando gli impianti Ilva) Clini corre in soccorso
dell'industria scaricando sui contribuenti parte
dei suoi costi. Come spiegò nel marzo scorso,
dopo un vertice sull’Ilva con il governatore pugliese
Nichi Vendola, “dobbiamo tener conto che queste
strutture industriali devono competere col mercato
globale dove i costi sono una delle chiavi della competizione”.
E' il mercato bellezza. Ma all'italiana. E
Adam Smith si rivolta nella tomba.
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