VILLA ADRIANA È SALVA
Il governo rinuncia alla discarica a Corcolle
Prefetto costretto alle dimissioni da Commissario
di Malcom Pagani
Per somigliare definitivamente
a Gianni Letta, il
sottosegretario Antonio
Catricalà dovrà studiare
a lungo. Il primo vero esame
affaristico-politico dell’e ra
tecnica lo boccia inesorabilmente
e, in un’afosa mattina
romana di inizio estate, trascina
a fondo la fredda logica della
devastazione del patrimonio
artistico. Villa Adriana è
salva. La discarica di Corcolle
non si farà. Il commissario
straordinario Giuseppe Pecoraro
vede il mondo ribaltarsi
in una notte. Da padroncino
dell’emergenza rifiuti a rifiuto
da licenziare in tronco con lo
struggente espediente delle
dimissioni su richiesta, a sole
48 ore dalla fiducia governati va .
SOSTITUITO da Goffredo
Sottile, il grande amico di Luigi
Bisignani ha il profilo sgualcito
di un uomo che perde due
partite in un sol colpo. Aveva
affidato la consulenza sulla cava
nei pressi di Tivoli a un vecchio
amico di famiglia e al suo
consulente. Sognava di diventare
Capo della Polizia. Rimarrà
invece, fino alla prevista sostituzione,
Prefetto di Roma.
Intorno alla sua figura obliqua,
volano stracci e insulti (“ir responsa
bile”) tra Renata Polverini
e Gianni Alemanno. Il sindaco,
convinto teorico della
giravolta in corso d’opera, tira
in ballo la Provincia: “La competenza
per individuare le
aree idonee o non idonee allo
smaltimento di rifiuti è sua” e
Zingaretti, lesto, risponde parlando
di “stop alle discariche”
e guarda lo spettacolo dall’uscio,
come è di moda, a propria
insaputa: “Non è vero.
Non c’entriamo nulla”. Ieri
mattina, facendo slittare il previsto
Cdm di 40 minuti, nello
studio privato del premier a
Palazzo Chigi si è svolto un
prevertice. Cinque personaggi
in cerca d’autore. Facce tirate.
Gelo. Il titolare dell’Ambiente
Clini, reduce dal Brasile,
quello dell’Interno Cancellieri,
Monti, Ornaghi e il sottosegretario
Catricalà, uno degli
sponsor dello scempio. Incredulo.
Teso. Il premier, di
pessimo umore per la sottovalutazione
complessiva dell’intera
vicenda, aveva trascorso il
pomeriggio precedente ad
ascoltare lo sdegno di un altro
presidente, quello onorario
del Fai, l’amica quasi novantenne
Giulia Maria Mozzoni
Crespi. La fondatrice del Fondo
ambiente italiano, una donna
che dopo aver guidato giganti
dell’editoria, si occupa
di tutela dei capolavori dal
1975, avrebbe ricordato a
Monti la sua recente presenza
nel Cda della creatura nata per
impedire orrori e saccheggi e
chiesto “saggezza e dignità”.
Monti l’ha ascoltata. Poi ha fatto
lo stesso con Anna Maria
Cancellieri, combattiva: “Pe -
coraro è stanco, va immediatamente
sostituito” e impegnata
a descrivere i contraccolpi
anche mediatici che
un’accentuata insistenza governativa
avrebbe fatto deflagrare:
“I giornali ci descrivono
per quelli che non siamo. Il
Paese non capirebbe. Dobbiamo
fermarci”. Poi, dopo aver
registrato la contrarietà di Catricalà
al passo indietro: “Mi
adeguo, ma è un manifesto di
debolezza”, è stata la volta di
Clini e Ornaghi. Il primo, laconico,
ha ricordato l’opposizione
formale del suo ministero
.
IL SECONDO, messo di
fronte a un dilemma amletico,
ha scelto, per una volta, di essere.
“Se andiamo avanti, rimetto
oggi stesso il mandato”.
Un’opzione coraggiosa, una di
quelle curve annunciate da
cui fuggire è impossibile. Con
le dimissioni del rettore della
Cattolica sul tavolo e lo spettro
di una minicrisi di governo,
Monti, concentrato per
l’intera assise, si è deciso. Incarico
di commissario straordinario
conferito al Prefetto
Sottile per cercare rapidamente
un nuovo sito che sostituisca
Malagrotta (Quadro Alto,
Riano, è il preferito di Clini ma
in corsa c’è anche il vicino
Pian dell’Olmo) e rapido passaggio
collegiale in Consiglio
dei ministri per esporre la sindone
di Clini e Ornaghi e il
“sacr ificio” di Pecoraro. Nel
pomeriggio, dopo mesi di critiche
aspre, mentre Clini ammetteva
l’addio ufficiale al
progetto: “Direi di sì”, Ornaghi
ha assaporato la revanche.
Il salvataggio di Villa Adriana
gli vale il plauso di mezzo arco
costituzionale, compreso
quello del nemico di ieri, l’archeologo
Carandini, in prima
fila nel pomeriggio con Veltroni
e mezzo Pd al “Teatro dei
Ser vi”. Ornaghi, comprensibilmente
retorico, incassa senza
esagerare. Ma è raggiante:
“Qui non ci sono né vincitori
né vinti. Hanno prevalso ragionevolezza
e buon senso. L’unica trionfatrice è la cultura”.
L’altra faccia della luna è l’ovale
di Renata Polverini. Il governatore
non si aspettava un
finale del genere. Su Corcolle
e sul suo indotto, lavorativo ed
elettorale, aveva puntato moltissimo
un rilevante segmento
di centrodestra laziale. Polverini
non si dà pace e prima difende
Pecoraro: “Ha subìto
un’aggressione assolutamente
ver gognosa” poi rende, anche
plasticamente, la decomposizione
in corso nel fu Pdl.
IL BERSAGLIO è l’antico
sodale Gianni Alemanno, prima
favorevole e poi contrario
alla discarica: “Rimettiamo al
Sindaco e al consiglio comunale
le loro competenze”. Tradotto:
trovino rapidamente il
sito perché – si rivela Renata –
minacciando: “Non sono disponibile
a firmare la proroga
di Malagrotta e soprattutto” le
sfugge in un lampo rivelatorio:
“Non sono disposta ad andare
verso una soluzione che mantenga
un monopolio privato in
questa città”. Allora, a guardare
oltre capitelli, profili, colonne
e appelli, si trattava di questo.
La discarica era un affare.
Corcolle un nome privo di
senso. Bisognava indebolire
Manlio Cerroni, il paperone
dell’immondizia dal cuore cattocomunista.
Togliergli un potere
incalcolabile. Ridistribuire,
non solo geograficamente,
il prodotto di un’equazione.
Di un paradosso della modernità
precipitato in duemila anni
di storia. Ciò che mangiamo.
Chi fa sparire i resti. Quanto
costa il disturbo. Sopra Roma
volano i gabbiani. Fino a
ieri vigilavano gli avvoltoi. Il fatto quotidiano 26 maggio 2012
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