Autoscacco a 5 Stelle
di Marco Travaglio
Fino a ieri mattina, checché se ne dicesse, il
movimento 5 Stelle non aveva sbagliato
una mossa. A parte le trascurabili defezioni
sulla presidenza del Senato, aveva mantenuto
compatti i suoi variopinti ed eterogenei gruppi
parlamentari, sfuggendo a tutte le trappole che
i partiti e i giornalisti al seguito avevano seminato
sul suo cammino. Aveva messo all’angolo
il Pdl con l’annuncio del sì all’ineleggibilità
e a un’eventuale richiesta d’arresto di B.
(spingendo il Pd ad allinearsi). Aveva costretto
il Pd a rottamare i candidati di partito per le
due Camere e a inventarsi in fretta e furia i
nuovi arrivati Boldrini e Grasso, a loro volta
obbligati a esordire col taglio degli emolumenti
che, per quanto modesto, avrebbe innescato
l’effetto valanga. Infine aveva cucinato a fuoco
lento Bersani, fino alla figuraccia in diretta
streaming e alla resa sul Colle camuffata da
congelamento. Intanto i dogmi pidini dei rimborsi
elettorali e del Tav Torino-Lione venivano
rimessi in discussione. Insomma, pur
avendo vinto solo moralmente le elezioni,
5Stelle era diventato in pochi giorni il dominus
della politica italiana. Se Grillo avesse chiesto a
Bersani le chiavi di casa e della macchina, quello
gliele avrebbe consegnate senza fiatare e con
tante scuse per il ritardo. Insomma, da oggi un
movimento nato appena tre anni fa avrebbe
avuto l’ultima parola sul nuovo governo e sul
nuovo presidente della Repubblica. Con notevoli
benefici per gli italiani, visto che alcuni
punti del programma pentastelluto, al netto
delle follie e delle utopie, sono buoni e giusti e
realizzabili in poco tempo. E visto che B. sarebbe
rimasto irrimediabilmente all’angolo.
Sarebbe bastato che ieri i capigruppo fossero
saliti al Quirinale con una proposta chiara e
netta: un paio di nomi autorevoli per un governo
politico guidato e composto da personalità
estranee ai partiti (parrà strano, ma ne
esistono parecchie, anche fuori dalla Bocconi,
dalle gran logge, dai caveau delle banche e dalle
sagrestie vaticane). Siccome Bersani, anche in
versione findus, era rimasto fermo all’asse con
M5S, secondo la volontà dei due terzi degli
elettori, i grilli avrebbero dovuto sfidarlo ad
appoggiare quel tipo governo. Che naturalmente
non può essere né a guida Bersani, né
tantomeno a guida M5S. Di qui la necessità di
una rosa di personalità che potessero incarnare,
per la loro storia e le loro idee, alcuni dei
punti chiave del movimento. Sarebbe stato lo
scacco matto al re. Invece lo scacco i grilli se lo
son dato da soli. Col rischio di perdere un treno
che potrebbe non ripassare più; di accreditare
le peggiori leggende nere sul loro conto; e di
gettare le basi per drammatiche spaccature.
Ieri infatti al Colle non hanno fatto nomi, ma
solo allusioni, anche perchè Napolitano non
vuole sentir parlare di nomi extra-parti. Poi
hanno chiesto ciò che non potevano avere: l’incarico.
Ha prevalso l’inesperienza, o la supponenza,
o la paura di essere incastrati in giochi
più grandi e inafferrabili. Paura infondata,
visto che i partiti sono alla canna del gas e non
sono più in grado di incastrare nessuno, se non
se stessi. E in ogni caso la mossa era a rischio
zero e a vantaggio mille (per loro e per il Paese).
É vero, come sospettavano i complottisti (che
spesso ci azzeccano) che Napolitano e parte del
Pd sono già d’accordo col Pdl per l’inciucio:
ma, a maggior ragione, la proposta di un governo
Settis o Zagrebelsky li avrebbe messi tutti
con le spalle al muro. E li avrebbe costretti alla
ritirata, non foss’altro che per non assumersi la
responsabilità di aver bocciato il miglior governo
degli ultimi 15 anni (almeno sulla carta).
Ora invece l’unica alternativa alle urne, che
tutti invocano ma tutti temono, sarà un inciucissimo
con B., più o meno mascherato. Che
magari era nella testa di Napolitano e dei partiti
fin dal primo giorno. Ma che ora ricadrà sulla
testa dei 5 Stelle. E naturalmente degli italiani.
Bel risultato, complimenti a tutti. Il fatto quotidiano 30 marzo 2013
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