domenica 31 marzo 2013
Travaglio i grillini dal movimento 5 stelle alle stalle, occasione persa
Con scappellamento a destra
di Marco Travaglio
“Gol mancato, gol subìto” è una regola
ferrea del calcio. Ma non solo. L’altroieri
M5S aveva un rigore a porta vuota: l’ha
tirato in tribuna. E, con la partecipazione
straordinaria di Napolitano e Bersani, ha perso
un’occasione unica di spingere l’Italia verso un
po’ di futuro. Ieri le lancette della politica hanno
ripreso a camminare a ritroso verso il peggiore
passato. Anziché andarsene in anticipo,
accelerando l’elezione del successore e la soluzione
della crisi, come pure aveva saggiamente
pensato, Napolitano è riuscito a farci rimpiangere
di non vivere in Vaticano (di Ratzinger
purtroppo ce n’è uno solo, e non è italiano).
E a dare ragione a Grillo anche quando aveva
torto. La bi-Bicamerale escogitata per dettare
l’agenda a un governo che non c’è ricorda la
Restaurazione del 1815, col ritorno dei “codini”
in Europa dopo la fine di Napoleone e il congresso
di Vienna. Solo che da noi la rivoluzione
non c’è stata: siamo il paese della controriforma
senza riforma e della restaurazione senza rivoluzione.
Il paese che, quando ha le idee confuse,
fa una commissione (anzi, due) per confondersele
un altro po’. In un altro, la mossa del
Presidente verrebbe chiamata col suo nome:
golpe bianco, commissariamento della politica
e degli elettori (e poi l’“antipolitico” sarebbe
Grillo), con i saggi al posto dei colonnelli.
Nel paese di Pulcinella, è il tragicomico risultato
delle non-dimissioni di Napolitano, seguite
alla non-vittoria Pd, alla non-sconfitta Pdl, al
non-statuto M5S, alla non-rinuncia di Bersani
dopo il fallimento delle convergenze parallele e
della non-sfiducia a 5Stelle, previa pausa di riflessione.
Mentre le migliori lingue di giornalisti
e giuristi fanno gli straordinari per magnificare
la geniale, strepitosa, magistrale mossa
del Colle, si sente persino dire che “il governo
Monti è pienamente operativo” e sta per assumere
“provvedimenti urgenti per l’economia”:
è lo stesso che annega in acque territoriali
indiane sul caso dei marò, col ministro degli
Esteri che riesce a dimettersi da un esecutivo
dimissionario. E il cui leader Monti è stato appena
asfaltato dal 90% degli elettori. Dunque
l’eterna Bicamerale, aperta nel '97 da D’Alema e
B. e mai davvero chiusa nonostante le apparenze,
riapre trionfalmente i battenti sotto le
mentite spoglie di due “gruppi di saggi”. C’è
Onida, corazziere ad honorem per gli immani
sforzi compiuti per difendere le interferenze del
Quirinale nelle indagini sulla trattativa Stato-
mafia e per negare l’ineleggibilità di B., dunque
molto saggio. C’è Giovannini, il presidente
Istat che fu incaricato di studiare i costi della
politica, ma alla fine si arrese stremato, dunque
molto saggio. C’è Pitruzzella, già associato allo
studio Schifani, dunque garante dell’Antitrust e
molto saggio. C’è Rossi, il solito banchiere uscito
dai caveau di Bankitalia, dunque molto saggio.
C’è Violante, quello che si vantava con B. di
non avergli toccato le tv e il conflitto d’interessi,
dunque molto saggio. C’è Mauro, già Pdl, ora
montiano, ma sempre Cl, dunque molto saggio.
C’è Quagliariello, che strepitò in aula contro
gli “assassini” di Eluana, dunque molto saggio.
C’è Bubbico, già indagato e prosciolto per
la buona politica in Lucania, dunque molto saggio.
C’è il leghista Giorgetti, che intascò una
mazzetta da Fiorani, poi con comodo la restituì,
dunque molto saggio. Se questi sono saggi, i
fessi dove sono? Eppure piacciono a tutti. Anche
ai 5Stelle, gli unici esclusi dalla spartizione
quirinalesca, gli unici ignari della vera natura
della bi-Bicamerale: una stanza degli orrori per
rimettere in pista B. e patteggiare alle nostre
spalle, una siringa di anestetico per infilarci la
supposta dell’inciucio senza che ce ne accorgiamo.
Scommettiamo che i saggi parleranno
quasi soltanto di giustizia?
Ps. Nella distrazione generale si son dimenticati
Bersani nel freezer. Qualcuno lo avverta
che non è più il premier incaricato e, se possibile,
lo scongeli nel microonde. Il Fatto quotidiano 31 marzo 2013
sabato 30 marzo 2013
Brescia ai bambini è vietato giocare sull'erba, inquinamento da pcb nel parco tossico
Brescia, dove ai bambini
è vietato giocare sull’erba
L’INCHIESTA DI PRESADIRETTA SULL’INQUINAMENTO DA PCB, CANCEROGENO,
NELLA CITTÀ LOMBARDA. UN’EMERGENZA TENUTA SOTTO SILENZIO - PARCO TOSSICO
A produrre il “ve l e n o”
era la Caffaro, chiusa
a metà anni 80
Nei pressi, una scuola:
agli alunni è proibito
andare tra il verde - BOOM DI TUMORI
In città, +58 per cento
di neoplasie al fegato
rispetto alla media
del Nord. E i più
piccoli rischiano
danni al cervello - di Riccardo Iacona
ABrescia c’e’ una
emergenza sanitaria
che tutti nascondono
e che riguarda direttamente
25mila tra uomini,
donne e bambini . Sono gli abitanti
della zona che si estende a
sud della Caffaro, la fabbrica
adesso chiusa che dagli anni
trenta fino a metà degli anni 80
ha prodotto migliaia di tonnellate
di Pcb (policlorobifenili), al
pari della diossina un pericoloso
cancerogeno, sversandone
centinaia di tonnellate allo stato
puro nell’ambiente circostante.
COINVOLTA è tutta la popolazione
di Brescia, visto che in 50
anni di continuo inquinamento
il Pcb è entrato nella catena alimentare,
tramite le verdure, la
carne, il latte e anche attraverso
l’allattamento materno. Secondo
Philippe Grandjean, il più
grande studioso delle conseguenze
nell’uomo della contaminazione
da diossine e Pcb che
siamo andati a intervistare a Boston,
nella Harvard University
dove insegna e fa ricerca , “più
della metà del Pcb depositato
nel grasso della madre passa al
neonato tramite il latte materno”.
La vicenda è conosciuta almeno
da dieci anni, da quando
cioè nel 2002 il sito Caffaro è entrato
a far parte ufficialmente
dei siti di interesse nazionale individuati
dal Ministero dell’Ambiente
come sito fortemente
contaminato da Pcb e
quindi da bonificare. Quelli che
invece sono nuovi sono i dati
sull’insorgenza dei tumori, che
questa sera vi mostreremo per la
prima volta in Presadiretta . Sono
il risultato di una recente ricerca
svolta da Paolo Ricci, epidemiologo
della Asl di Mantova che
segue il sito Caffaro da quando
si è scoperto il grave inquinamento.
La ricerca è stata realizzata
dall’Istituto superiore di sanità
in collaborazione con il Registro
nazionale dei tumori, ed è
quindi uno studio importante.
Finora la Asl di Brescia aveva
condotto negli anni studi sulla
mortalità per malattie tumorali
nella città, a confronto con quella
media del nord dell’Italia e per
questa strada aveva già registrato
un aumento quasi del doppio
di tante forme tumorali, ma la
particolarità e l’importanza di
questo studio è che rende conto Brescia, “la mortalità risente
della velocità di una popolazione
ad ammalarsi ma anche del
livello di assistenza mentre l’in -
cidenza ci dice esclusivamente
del rischio. È quindi più puntuale
e precisa sul rischio che i
cittadini di Brescia hanno di
ammalarsi di tumore”, ci spiega
Paolo Ricci che ho invitato in
trasmissione perché raccontasse
quello che ha scoperto. Nella
sua ricerca il tumore maligno alla
tiroide segna un più 49 per
La Società, la Direzione
e la redazione de “il Fatto
Q u o t i d i a n o” si stringono con
affetto a Sandra Amurri per
la perdita della cara mamma
Brescia, dove ai bambini
è vietato giocare sull’erba
L’INCHIESTA DI PRESADIRETTA SULL’INQUINAMENTO DA PCB, CANCEROGENO,
NELLA CITTÀ LOMBARDA. UN’EMERGENZA TENUTA SOTTO SILENZIO
POVERO AMBIENTE
ticamente dannosa” per Parmalat, secondo
il tribunale di Parma è “un fondato
sospetto”. Anche in ragione di
una perdita che potrebbe essere consistita,
secondo i giudici, “nella maggiorazione
del valore delle società acquisite”
rispetto al valore di mercato
delle stesse. Il compito del commissario
sarà proprio quello di verificare se
tale perdita sia avvenuta, e, nel caso,
adoperarsi per “la restituzione di
quanto dovuto”.
Il sospetto era stato sollevato con una
denuncia alla Procura di Parma da parte
di azionisti di minoranza del gruppo
lattiero caseario.
cento di incidenza a Brescia rispetto
al Nord Italia, il linfoma
non hodgkin più 20 per cento, il
tumore al fegato il più 58 per
cento ri, mentre infine il tumore
al seno schizza al 26 per cento in
più. Secondo Ricci la correlazione
tra questa maggiore incidenza
e il Pcb è più che probabile,
visti i risultati della ricerca
scientifica internazionale, ma
date anche le incredibili dimensioni
dell’inquinamento dei terreni
a sud della Caffaro rilevati
dai tecnici del ministero dell’Ambiente
e dell’Arpa.
PER i dati vale quello che ci ha
detto Grandjean quando ci ha
raccontato i risultati delle ricerche
sugli effetti del Pcbsui quali
lavora da più di venti anni : “È
ormai provato che il Pcb provoca
il cancro, in particolare cancro
al seno, tumori del sangue e
tumore al fegato. Ma fa anche
molto di più: è collegato allo sviluppo
del diabete e secondo le
nostre ricerche impedisce il cor-retto sviluppo del cervello dei
bambini, i bambini esposti al
Pcb hanno capacità cognitive ridotte.
Ma abbiamo visto anche
che attacca il sistema immunitario
del nostro corpo indebolendolo,
aprendo la strada a diverse
malattie”. Grandjean dà
un giudizio senza appello:
“Questo tipo di inquinamento
va trattato come un serio problema
di salute pubblica che richiederebbe
una immediata bonifica
perché espone la popolazione
a malattie mortali”. Per
quanto riguarda la dimensione,
e l’estensione dell’inquinamen -
to a Brescia, abbiamo ricostruito
quartiere per quartiere l’inci -
denza del Pcb, nei terreni tra le
case, nei parchi pubblici, persino
vicino alle scuole elementari
che i bambini continuano a frequentare.
CHE cosa è stato fatto finora?
Pochissimo. Un’ordinanza del
Comune, in vigore da dieci anni,
vieta alle persone che vivono
nelle zone contaminate di passare
sulle superfici non coperte
da asfalto o da cemento, mentre
la bonifica non è mai partita
perché la Caffaro è una società
fallita, una scatola vuota senza
soldi e al Ministero dell’Am -
biente risorse non ce ne sono.
Ma soprattutto, tranne pochi
comitati, non si è voluto prendere
atto di questa situazione,
come se l’emergenza sanitaria
non esistesse, un silenzio che a
Presadiretta vogliamo squarciare. Il fatto quotidiano 31 marzo 2013
perfino Travaglio deluso da M5S e grillini inconcludenti
Autoscacco a 5 Stelle
di Marco Travaglio
Fino a ieri mattina, checché se ne dicesse, il
movimento 5 Stelle non aveva sbagliato
una mossa. A parte le trascurabili defezioni
sulla presidenza del Senato, aveva mantenuto
compatti i suoi variopinti ed eterogenei gruppi
parlamentari, sfuggendo a tutte le trappole che
i partiti e i giornalisti al seguito avevano seminato
sul suo cammino. Aveva messo all’angolo
il Pdl con l’annuncio del sì all’ineleggibilità
e a un’eventuale richiesta d’arresto di B.
(spingendo il Pd ad allinearsi). Aveva costretto
il Pd a rottamare i candidati di partito per le
due Camere e a inventarsi in fretta e furia i
nuovi arrivati Boldrini e Grasso, a loro volta
obbligati a esordire col taglio degli emolumenti
che, per quanto modesto, avrebbe innescato
l’effetto valanga. Infine aveva cucinato a fuoco
lento Bersani, fino alla figuraccia in diretta
streaming e alla resa sul Colle camuffata da
congelamento. Intanto i dogmi pidini dei rimborsi
elettorali e del Tav Torino-Lione venivano
rimessi in discussione. Insomma, pur
avendo vinto solo moralmente le elezioni,
5Stelle era diventato in pochi giorni il dominus
della politica italiana. Se Grillo avesse chiesto a
Bersani le chiavi di casa e della macchina, quello
gliele avrebbe consegnate senza fiatare e con
tante scuse per il ritardo. Insomma, da oggi un
movimento nato appena tre anni fa avrebbe
avuto l’ultima parola sul nuovo governo e sul
nuovo presidente della Repubblica. Con notevoli
benefici per gli italiani, visto che alcuni
punti del programma pentastelluto, al netto
delle follie e delle utopie, sono buoni e giusti e
realizzabili in poco tempo. E visto che B. sarebbe
rimasto irrimediabilmente all’angolo.
Sarebbe bastato che ieri i capigruppo fossero
saliti al Quirinale con una proposta chiara e
netta: un paio di nomi autorevoli per un governo
politico guidato e composto da personalità
estranee ai partiti (parrà strano, ma ne
esistono parecchie, anche fuori dalla Bocconi,
dalle gran logge, dai caveau delle banche e dalle
sagrestie vaticane). Siccome Bersani, anche in
versione findus, era rimasto fermo all’asse con
M5S, secondo la volontà dei due terzi degli
elettori, i grilli avrebbero dovuto sfidarlo ad
appoggiare quel tipo governo. Che naturalmente
non può essere né a guida Bersani, né
tantomeno a guida M5S. Di qui la necessità di
una rosa di personalità che potessero incarnare,
per la loro storia e le loro idee, alcuni dei
punti chiave del movimento. Sarebbe stato lo
scacco matto al re. Invece lo scacco i grilli se lo
son dato da soli. Col rischio di perdere un treno
che potrebbe non ripassare più; di accreditare
le peggiori leggende nere sul loro conto; e di
gettare le basi per drammatiche spaccature.
Ieri infatti al Colle non hanno fatto nomi, ma
solo allusioni, anche perchè Napolitano non
vuole sentir parlare di nomi extra-parti. Poi
hanno chiesto ciò che non potevano avere: l’incarico.
Ha prevalso l’inesperienza, o la supponenza,
o la paura di essere incastrati in giochi
più grandi e inafferrabili. Paura infondata,
visto che i partiti sono alla canna del gas e non
sono più in grado di incastrare nessuno, se non
se stessi. E in ogni caso la mossa era a rischio
zero e a vantaggio mille (per loro e per il Paese).
É vero, come sospettavano i complottisti (che
spesso ci azzeccano) che Napolitano e parte del
Pd sono già d’accordo col Pdl per l’inciucio:
ma, a maggior ragione, la proposta di un governo
Settis o Zagrebelsky li avrebbe messi tutti
con le spalle al muro. E li avrebbe costretti alla
ritirata, non foss’altro che per non assumersi la
responsabilità di aver bocciato il miglior governo
degli ultimi 15 anni (almeno sulla carta).
Ora invece l’unica alternativa alle urne, che
tutti invocano ma tutti temono, sarà un inciucissimo
con B., più o meno mascherato. Che
magari era nella testa di Napolitano e dei partiti
fin dal primo giorno. Ma che ora ricadrà sulla
testa dei 5 Stelle. E naturalmente degli italiani.
Bel risultato, complimenti a tutti. Il fatto quotidiano 30 marzo 2013
di Marco Travaglio
Fino a ieri mattina, checché se ne dicesse, il
movimento 5 Stelle non aveva sbagliato
una mossa. A parte le trascurabili defezioni
sulla presidenza del Senato, aveva mantenuto
compatti i suoi variopinti ed eterogenei gruppi
parlamentari, sfuggendo a tutte le trappole che
i partiti e i giornalisti al seguito avevano seminato
sul suo cammino. Aveva messo all’angolo
il Pdl con l’annuncio del sì all’ineleggibilità
e a un’eventuale richiesta d’arresto di B.
(spingendo il Pd ad allinearsi). Aveva costretto
il Pd a rottamare i candidati di partito per le
due Camere e a inventarsi in fretta e furia i
nuovi arrivati Boldrini e Grasso, a loro volta
obbligati a esordire col taglio degli emolumenti
che, per quanto modesto, avrebbe innescato
l’effetto valanga. Infine aveva cucinato a fuoco
lento Bersani, fino alla figuraccia in diretta
streaming e alla resa sul Colle camuffata da
congelamento. Intanto i dogmi pidini dei rimborsi
elettorali e del Tav Torino-Lione venivano
rimessi in discussione. Insomma, pur
avendo vinto solo moralmente le elezioni,
5Stelle era diventato in pochi giorni il dominus
della politica italiana. Se Grillo avesse chiesto a
Bersani le chiavi di casa e della macchina, quello
gliele avrebbe consegnate senza fiatare e con
tante scuse per il ritardo. Insomma, da oggi un
movimento nato appena tre anni fa avrebbe
avuto l’ultima parola sul nuovo governo e sul
nuovo presidente della Repubblica. Con notevoli
benefici per gli italiani, visto che alcuni
punti del programma pentastelluto, al netto
delle follie e delle utopie, sono buoni e giusti e
realizzabili in poco tempo. E visto che B. sarebbe
rimasto irrimediabilmente all’angolo.
Sarebbe bastato che ieri i capigruppo fossero
saliti al Quirinale con una proposta chiara e
netta: un paio di nomi autorevoli per un governo
politico guidato e composto da personalità
estranee ai partiti (parrà strano, ma ne
esistono parecchie, anche fuori dalla Bocconi,
dalle gran logge, dai caveau delle banche e dalle
sagrestie vaticane). Siccome Bersani, anche in
versione findus, era rimasto fermo all’asse con
M5S, secondo la volontà dei due terzi degli
elettori, i grilli avrebbero dovuto sfidarlo ad
appoggiare quel tipo governo. Che naturalmente
non può essere né a guida Bersani, né
tantomeno a guida M5S. Di qui la necessità di
una rosa di personalità che potessero incarnare,
per la loro storia e le loro idee, alcuni dei
punti chiave del movimento. Sarebbe stato lo
scacco matto al re. Invece lo scacco i grilli se lo
son dato da soli. Col rischio di perdere un treno
che potrebbe non ripassare più; di accreditare
le peggiori leggende nere sul loro conto; e di
gettare le basi per drammatiche spaccature.
Ieri infatti al Colle non hanno fatto nomi, ma
solo allusioni, anche perchè Napolitano non
vuole sentir parlare di nomi extra-parti. Poi
hanno chiesto ciò che non potevano avere: l’incarico.
Ha prevalso l’inesperienza, o la supponenza,
o la paura di essere incastrati in giochi
più grandi e inafferrabili. Paura infondata,
visto che i partiti sono alla canna del gas e non
sono più in grado di incastrare nessuno, se non
se stessi. E in ogni caso la mossa era a rischio
zero e a vantaggio mille (per loro e per il Paese).
É vero, come sospettavano i complottisti (che
spesso ci azzeccano) che Napolitano e parte del
Pd sono già d’accordo col Pdl per l’inciucio:
ma, a maggior ragione, la proposta di un governo
Settis o Zagrebelsky li avrebbe messi tutti
con le spalle al muro. E li avrebbe costretti alla
ritirata, non foss’altro che per non assumersi la
responsabilità di aver bocciato il miglior governo
degli ultimi 15 anni (almeno sulla carta).
Ora invece l’unica alternativa alle urne, che
tutti invocano ma tutti temono, sarà un inciucissimo
con B., più o meno mascherato. Che
magari era nella testa di Napolitano e dei partiti
fin dal primo giorno. Ma che ora ricadrà sulla
testa dei 5 Stelle. E naturalmente degli italiani.
Bel risultato, complimenti a tutti. Il fatto quotidiano 30 marzo 2013
Roma, armi e droga: 10 arresti per il narcotraffico della cosca dei Gallace
La cocaina arrivava dalla Spagna (via Gioia Tauro) fino ai quartieri del Casilino, Torre Maura, San Basilio, con una sorta di centrale operativa sul litorale, tra Anzio e Nettuno. L'inchiesta sull'attività degli 'ndranghetisti ha preso il via dopo le dichiarazioni del pentito Antonino Belnome. Il guadagno del solo smercio poteva valere fino a 115mila euro
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 26 marzo 2013 http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/26/roma-armi-e-droga-10-arresti-per-narcotraffico-della-cosca-dei-gallace/543094/
Ed infine lo spaccio, capillare, realizzato attraverso bar popolari della periferia romana, coperto da un piccolo esercito di uomini armati, in grado di esercitare una forte pressione su chi non pagava la merce o non rispettava le regole. E’ il quadro dipinto nel decreto di fermo che ha raggiunto dieci presunti affiliati all’organizzazione nata dal sodalizio tra i calabresi Gallace e i romani Romagnoli. Un’operazione che ha portato all’arresto di Bruno Gallace, affiliato alla omonima cosca, di Umberto, Alessandro, Tiziano e Francesca Romagnoli, Vincenzo Andreacchio, Alessandro Ceci, Alessandro Del Vescovo, Giuseppe Profenna e Alessandro Tammaccaro. Nomi che sanciscono l’alleanza ormai consolidata tra parti della criminalità romana con una delle principali famiglie della ‘ndrangheta calabrese, mandante, tra l’altro, dell’omicidio di Carmelo Novella, il boss scissionista ammazzato in un circolo di San Vittore Olona il 15 luglio 2008.
Uno dei due collaboratori che hanno permesso alla squadra mobile di Roma di colpire nel cuore l’organizzazione ha raccontato in un interrogatorio qual era il giro d’affari: “Guadagnavano un sacco di soldi, calcoli che facevano venti, trentamila euro al giorno. C’è stato un sabato che hanno fatto cento… 115mila euro”. Soldi che derivavano – secondo le indagini – esclusivamente dall’attività di smercio della cocaina nelle borgate romane.
La potenza del gruppo era garantita anche dalla grande disponibilità di armi in mano all’organizzazione: “Allora, io so che le armi della famiglia vengono dalla Svizzera – racconta uno dei collaboratori riferendosi ai Gallace – c’hanno i parenti in Svizzera, i parenti in Germania, c’hanno un sacco di parenti, da tutte le parti. Calcola che noi quando stavi a casa, che ne so, ti appoggiavi sul letto, può darsi che trovavi una pistola, davi una capocciata, scusi il termine, trovi una pistola sotto al cuscino”. Armi che non venivano vendute, ma tenute in depositi sparsi nell’area romana e del litorale laziale, pronte per ogni evenienza.
L’indagine ha preso il via dopo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Antonino Belnome davanti ai magistrati romani, impegnati dal 2006 nel processo di primo grado contro la cosca Gallace in corso davanti al tribunale di Velletri. Belnome nel corso delle udienze aveva ricostruito nei dettagli la presenza ormai pluridecennale della ‘ndrina originaria di Guardavalle nelle città di Anzio e Nettuno. Ai pm della Dda ha poi descritto il ruolo apicale di Bruno Gallace nella gestione dei traffici di cocaina: “C’è Bruno che è forte nella cocaina, è lui che si occupa, Bruno e tutti i suoi… Quando arriva a Gioia Tauro, le faccio un esempio, Bruno all’epoca ne aveva bloccati 120 chili da portare qua, anzi a Nettuno, e li ha portati (…) e li hanno smerciati tutti”.
I fermi sono scattati per il timore di una fuga degli indagati. A febbraio Bruno Gallace si era accorto che un esponente del suo gruppo aveva deciso di collaborare. L’informazione gli era arrivata da un educatore in servizio nel carcere di Rebibbia, che – dopo un controllo nei database – aveva segnalato il trasferimento dell’uomo nella sezione dei collaboratori. Un episodio particolarmente preoccupante, che mostra la capacità di penetrazione anche nelle istituzioni delle cosche calabresi. Già in passato erano state scoperte talpe nei palazzi di giustizia, pronte a vendere soffiate ai vertici del clan.
il pareggio di bilancio ambientale Luca Mercalli prepariamoci
Il pareggio di bilancio ambientale
RISORSE SCARSE
È appena uscitq per
Chiarelettere una nuova
edizione di “Pre par iamoci”, del
meteorologo Luca Mercalli.
Pubblichiamo una parte della
premessa alla nuova edizione .
di Luca Mercalli
Nell’aprile del 2012 è stato
inserito nella Costituzione
italiana il pareggio di bilancio.
Ma c’è un bilancio estremamente
più importante per
la nostra vita, che prima di essere
soggetta ai capricci dell’economia
è ferreamente dominata
da flussi di energia e materia:
è quello delle valute “fisiche”
disponibili sul pianeta
Terra. Un dato che, per quanto
denso di conseguenze per il futuro
dell’umanità, nessuno
considera strategico, né si inserisce
nelle costituzioni, salvo
forse in quella dell’Ecuador.
In sostanza, non si possono
prelevare dal conto terrestre
più risorse di quante i sistemi
naturali siano in grado di rigenerare,
né immettere rifiuti e
inquinanti più di quanto la
biosfera sia in grado di metabolizzare.
L’Overshoot Day
definisce la data in cui il nostro
conto corrente con l’ambiente
è andato in rosso. Nel 2012 ciò
è successo già il 22 agosto, il che
vuol dire che tutto quello che
abbiamo consumato dopo
quella data lo abbiamo “rubato”
alla natura, dilapidando
una parte del capitale, con conseguenze
talora irreversibili,
come il riscaldamento globale
o l’estinzione di specie viventi.
IL PAREGGIO DI BILANCIO
mondiale è stato rispettato più
o meno fino alla metà degli anni
Settanta, quando l’umanità
contava 3,5 miliardi di individui.
Oggi siamo 7 miliardi,
consumiamo e inquiniamo come
non mai e preleviamo l’equivalente
di una Terra e mezza.
La biosfera è un sistema resiliente,
ciò vuol dire che per
brevi periodi può sopportare
uno stress senza collassare, a
patto che si rientri nei limiti fisici
imposti dalle leggi universali
che governano i cicli biogeochimici,
il clima, la riproduzione
della fauna ittica, la rigenerazione
delle foreste. Ma, un
po’ come accade a un motore
lanciato a folle corsa, quando la
lancetta del contagiri entra in
zona rossa, bisogna ridurre la
velocità, altrimenti si sbiella.
Stranamente l’economia mondiale
appare preoccupatissima
del rallentamento dei giri del
motore e invoca un’ulteriore
accelerazione che secondo i
modelli ecologici porterebbe
attorno al 2050 alla necessità
dell’equivalente di due pianeti,
dei quali evidentemente non
disponiamo. Ovvero il motore
salta e la macchina si ferma di
botto, con gravi conseguenze
per la società e per l’ecosiste -
ma.
La spending review, oggi tanto
di moda, dovrebbe includere
anche le risorse fondamentali
da cui dipendiamo: suolo, acqua,
energia, biomassa, carico
inquinante. Una riduzione dei
giri governata con saggezza per
riportarci nei limiti concessi
dall’unico pianeta che abbiamo
è il solo atteggiamento razionale
a cui ricorrere, e sarebbe assurdo
non considerarlo proprio
ora che la ricerca scientifica
ci mette a disposizione tanti
dati affidabili su cui costruire
gli scenari futuri, scegliendo
quelli più favorevoli ed evitando
le trappole del sovrasfruttamento.
LA SFIDA È ENORME, antropologicamente
parlando l’uo -
mo deve mutare il proprio paradigma:
da un cieco inseguimento
della crescita fine a se
stessa a un’economia basata su
uno stato stazionario, energie
rinnovabili e rifiuti riciclabili. È
un obiettivo per nulla facile da
perseguire, né esistono ricette
preconfezionate, tuttavia ciò
che la comunità scientifica invoca
invano da anni è una disponibilità
all’ascolto del mondo
economico e politico, alla ricerca
di soluzioni nuove e condivise
che tengano conto dell’enorme
posta in gioco, ovvero
la sopravvivenza della specie
per un periodo dello stesso ordine
di grandezza del nostro
cammino evolutivo precedente,
diciamo duecentomila anni.
Sotto le isteriche oscillazioni
dello spread, di cui i giornali ci
informano ossessivamente in
prima pagina, c’è un debito con
la natura che non si potrà contrattare
in nessun parlamento,
neanche in quello nuovo, appena
eletto. Il fatto quotidiano 30 marzo 2013
perfino il commissario boccia il Tav Venezia Trieste spreco di miliardi
PERFINO IL COMMISSARIO
BOCCIA IL TAV VENEZIA-TRIESTE
BORTOLO MAINARDI È STATO NOMINATO DAL GOVERNO BERLUSCONI
PER FAVORIRE LA GRANDE OPERA. MA ANCHE SECONDO LUI È INUTILEL’INVESTIMENTO
Invece di spendere 12
miliardi di euro per l’Alta
velocità, basterebbero
800 milioni
per ammodernare
i vecchi binari IL CONTESTO
L’intero progetto si
fonda sullo sviluppo
del corridoio europeo
Lisbona-Kiev che
quasi certamente
non partirà mai di Giorgio Meletti
La cosa potrebbe
sembrare talmente
ovvia da non essere
una notizia. Un signore
ha detto che la ferrovia
ad alta velocità da Venezia a
Trieste non si farà, se va bene,
prima del 2040. Perché non ci
sono i soldi. La notizia è che la
sentenza, che se la dice un
No-Tav viene tacciata di disfattismo
ideologico, viene da
uno dei più autorevoli sacerdoti
del Sì-Tav: il commissario
governativo per la Venezia-
Trieste, Bartolo Mainardi.
MAINARDI, noto architetto
62enne di Calalzo di Cadore, è
stato nominato due anni fa dal
governo Berlusconi, della cui
filosofia delle cosiddette Grandi
Opere è stato sempre uno
dei più fedeli e impegnati interpreti.
Nel 2003 l'allora ministro
delle Infrastrutture Pietro
Lunardi lo nominò nientemeno
che Commissario per
le Grandi Opere Strategiche
del Nord-Est, nel 2008 il ministro
dell'Ambiente Stefania
Prestigiacomo l'ha voluto nella
Commissione Via, quella che
verifica l'impatto ambientale
delle nuove infrastrutture.
Dunque Mainardi, all'indomani
della manifestazione anti-
Tav di sabato scorso in Val
di Susa, ha fatto due conti e ha
scoperto ciò che a molti è evidente
da tempo: “Da Verona a
Trieste ci vogliono poco meno
di 12 miliardi di euro, dove andiamo
a prenderli? Meglio ristrutturare
le linee ferroviarie
esistenti”. Secondo l'architetto
si può far crescere il traffico
passeggeri e merci sulla linea
tradizionale spendendo solo
800 milioni, per esempio eliminando
i passaggi a livello.
“Oggi la Venezia-Trieste è
sfruttata al 40 per cento”. Se la
linea storica venisse messa in
efficienza, raggiungerebbe la
saturazione non prima del
2040, secondo i calcoli del
commissario governativo.
ATTENZIONE: la saturazione
avverrebbe nel prossimo quarto
di secolo in seguito alla auspicata,
ma non certa, esplosione
del traffico nei porti del
nord Adriatico. “E comunque”,
ha detto Mainardi a La
Nuova Venezia, “non abbiamo
la disponibilità di 4 miliardi e
400 milioni per la tratta Verona-
Padova, tanto meno
quella dei 7 miliardi 3 400 milioni
per la Mestre-Trieste”.
“Finalmente anche Mainardi
si è accorto che prima di fare
nuove linee è meglio intervenire
sui cosiddetti colli di bottiglia
delle vecchie”, festeggia
Laura Puppato, unica esponente
Pd conseguentemente
ostile ai mega progetti Tav.
Il merito di Mainardi è di dire,
come il ragazzino della favola,
che il re è nudo. La Venezia-
Trieste ad alta velocità è
un'opera talmente inutile che
neppure la Madre di tutte le
Grandi Opere, il piano Tav del
1991, la inserì nello schema del
progetto. Il Tav da Milano si
fermava a Padova, dove peraltro
non è ancora arrivato perchè
ancora ci si chiede che senso
ha l'alta velocità su una tratta
che in 250 chilometri (il minimo
che andrebbe fatto non
stop per dare un senso alla velocità
stessa) incontra Bergamo,
Brescia, Verona, Vicenza,
e Padova prima di arrivare a
Venezia.
La Venezia-Trieste poi ha il
suo unico senso nel completamento
del mitico corridoio 5
che dovrebbe collegare Lisbona
a Kiev passando per la Padania.
Si tratta ovviamente di
un mito privo di collegamento
con la realtà, ma utile a far
avanzare i cantieri e gli interessi
delle società di costruzione
e progettazione. Infatti in
Val di Susa si dice che non si
può interrompere il Corridoio
5, senza voler ammettere che
da Lisbona a Kiev quelli sono
gli unici cantieri aperti, mentre
a Venezia si dice che bisogna
fare la Milano-Trieste
sennò la Torino-Lione non
serve a niente. Solo che neppure
in Slovenia, in Francia, in
Spagna e in Portogallo si sta
costruendo qualcosa che abbia
a che fare con il trasporto di
merci su rotaia.
g. meletti@ ilfattoquotidiano. it Il Fatto quotidiano 30 marzo 2013
anche i beni confiscati alla mafia difentano poltrone, timore acquisto malavita
Pure i beni confiscati diventano poltrone
L’AGENZIA NAZIONALE AFFIDA IL PATRIMONIO SOTTRATTO ALLA MAFIA A UN UOMO VICINO AL PDL
NUOVE STRATEGIE
Un manager privato
si occuperà
di cedere gli immobili
Il timore è che possa
essere la malavita
a ricomprare
di Giuseppe Lo Bianco
e Sandra Rizza
Gli amministratori giudiziari?
Costano troppo, le loro sono
‘parcelle d’oro’”, accusa il prefetto
Giuseppe Caruso, a capo dell’a g e nzia
che gestisce i beni confiscati alla
mafia. Gli immobili dei boss? “C’è il
rischio che tornino alla mafia attraverso
la vendita”, replica l’a s s e ssore
regionale, ed ex pm, Nicola
Marino.
Vendita dei beni sottratti a Cosa
Nostra o restituzione alla società civile?
La contesa, antica, è riesplosa
tra Stato e Regione Sicilia, e la posta
in gioco è un miliardo tondo di euro:
tanto vale la società “I m m o b iliare
Strasburgo”, un vero e proprio
“tesoro” tra ville, terreni, appartamenti
e una fortissima liquidità,
confiscato due anni fa al palazzinaro
dei boss Vincenzo Piazza, inquisito
da Falcone e condannato
per mafia. Un patrimonio amministrato
dall’avvocato Gaetano
Cappellano Seminara fino al 31 dicembre
scorso, e cioè fino a quando
l’Agenzia nazionale per i beni confiscati,
guidata dal prefetto Giuseppe
Caruso, ha improvvisamente
cambiato linea: stop agli amministratori
giudiziari, via libera ai manager
indicati dalla politica.
E così, con quello che senza mezzi
termini viene definito in ambienti
giudiziari “un colpo di mano’’, il
prefetto Caruso ha nominato al
vertice del nuovo cda il professor
Andrea Gemma, associato di Diritto
privato all’Università di Paler-mo, ex allievo del sottosegretario
alla Giustizia Savino Mazzamuto, e
soprattutto indicato come professionista
di area di centrodestra, vicino
all’ex Guardasigilli Angelino
Alfano e all’ex presidente del Senato
Renato Schifani. Ad affiancarlo,
l’ex avvocatessa Donatella De
Nicola e l’avvocato romano Paolo
Castellano.
GEMMA E I DUE LEGALI gestiranno
un patrimonio miliardario che raccoglie
70 locali affittati per attività
commerciali, altri 52 in locazione a
privati nella zona di viale Strasburgo,
16 scuole, numerosi uffici utilizzati
dal Comune di Palermo tra i
quali la sede dei vigili urbani di via
Dogali e quella dell’assessorato alle
Attività produttive, locali per l’Asp,
per l’Inps, e alcune aziende agricole,di cui due in Toscana, più due interi
edifici usati dalla Regione che ospitano
gli assessorati alle Attività produttive
e ai Beni culturali.
Nell’aria da qualche mese, la decisione
ha fatto scattare l’allarme rosso
nelle stanze del governo regionale,
che teme una possibile vendita
dei beni, la cui assegnazione integrale
è stata chiesta due mesi fa dalla
giunta del Governatore siciliano
Rosario Crocetta. “Non abbiamo
avuto ancora risposta – dice l’as -
sessore all’Energia Nicola Marino,
ex pubblico ministero della strage di
via D’Amelio – nonostante al Comune
ed alla Provincia di Palermo
quei beni siano già stati assegnati.
Nella riunione di due mesi fa il prefetto
Caruso è apparso restio ad accogliere
la nostra richiesta. Ma così
risparmieremmo oltre 30 milioni di euro di affitti annui, oggi pagati all’Agenzia.
E inoltre se passa l’idea
che si possano vendere a privati i
beni confiscati, il rischio è quello di
un ritorno degli immobili alla mafia’’.
E SE, durante la riunione, il prefetto
Caruso ha duramente contestato le
“parcelle d’oro” liquidate agli amministratori
giudiziari, che in questi
anni hanno garantito la vita dell’Immobiliare,
adesso la “palla’’ pas -
sa al quarantenne professor Gemma,
titolare a Roma di un avviato
studio legale e tributario, “Gem -
ma&Partners’’, già nominato nel secondo
semestre del 2010 consulente
al Dap dal successore di Alfano, l’ex
ministro Nitto Palma, con un compenso
di 40 mila euro. Gemma verrà
affiancato da tre sindaci: Felice
Luca (presidente), Giampaolo Pronaggi
e Vittorio Silvestri, provenienti
dall’ex Isvap, l’istituto di vigilanza
sulle assicurazioni, una conferma
della natura politica delle nomine.
Il nuovo presidente sceglierà il business
della vendita, o la riconversione
dell’“Immobiliare Strasburgo”
al circuito virtuoso di una fruizione
collettiva? “L’indirizzo dell’Agenzia
oggi pare quello di affidare
alla politica i soldi sottratti alla mafia
- dice Giovanna Maggiani Chelli,
presidente dell’Associazione familiari
delle vittime della strage dei
Georgofili –, ovvero una scelta che
mi lascia esterrefatta, visto come sono
andate le cose nel Paese da Tangentopoli
in poi’’. Il fatto quotidiano 30 marzo 2013
Latina, Sperlonga, Circeo, Sabaudia l'erosione cancella gli arenili
PROVE GENERALI PER IL TURISMO ESTIVO
Pasqua, poco sole e niente spiagge
nel Lazio l'erosione cancella gli arenili
Da Sperlonga a Ostia, litorale devastato da vento e mareggiate, inquinamento e abusi a Sabaudia. E Ventotene ripara i danni della tempesta di metà marzo
La spiaggia sparita nei pressi della Grotta di Tiberio a Sperlonga
LATINA - Le previsioni parlano chiaro: sarà un week end pasquale
poco primaverile, ma forse non del tutto senza sole. Temperature ancora
basse per la media stagionale, eppure qualche schiarita è prevista per
il 31 marzo e il primo aprile, anche se non è detto il lunedì
dell'Angelo sarà davvero una bella giornata. Se per scampagnate e
passeggiate al mare occorrerà attendere e guardare il cielo, altri
fenomeni renderanno il litorale pontino tutt'altro che invitante per
questa prova generale della stagione turistica: erosione, sporcizia,
incuria, abusivismo. E il problema delle spiagge mangiate dal mare
riguarda anche Torvajanica e Ostia. E a Ventotene si riparano i danni causati dalla tempesta di metà marzo.
L'erosione dell'arenile sulla costa di Sabaudia
STAGIONE A RISCHIO - «Il fenomeno non riguarda soltanto quest’area
– spiega Carlo Ricco, consigliere di Sperlonga Turismo – ma anche
Fontana, Lago Lungo e Bazzano. Puntualmente ogni anno ci troviamo a
discutere dello stesso problema, al quale cercheremo di porre rimedio
anche in questo 2013 per evitare danni economici in un periodo di per sé
non proprio felice. Tempo fa si era parlato di barriere soffuse, ma poi
più nulla. Dialogheremo con tutti gli enti preposti per una soluzione,
con la speranza di essere ascoltati con lungimiranza e non esser più
costretti soltanto a fare interventi tampone».
SABAUDIA: SABBIA SPARITA -
Salendo più a nord, la situazione di Sabaudia non è più felice. Come
segnala il circolo di Legambiente «la spiaggia di Sabaudia e del Parco
nazionale del Circeo vive da anni una profonda crisi ambientale: carico
antropico eccessivo e malamente amministrato, abusivismo edilizio,
erosione e sporcizia stanno riducendo uno degli ambienti naturalistici
più importanti del Parco nazionale, meta di migliaia di turisti ogni
anno, in un immondezzaio che desta viva preoccupazione».
Rifiuti sulla duna di Sabaudia
IMMONDIZIA SULL'ARENILE - «Per rendersene conto - aggiungono gli
ambientalisti - è sufficiente fare una passeggiata sull'arenile dove si
trovano copertoni, televisori, migliaia di bottiglie di plastica e vetro
e copertoni, oltre a capanni in legno che continuiamo a segnalare e che
restano stabili al loro posto. Uno sfregio al nostro territorio che
merita di essere denunciato pubblicamente. Altrettanto urgente e forse
anche più grave è quanto sta accadendo al sistema dunale, che non il suo
crollo mette a rischio la relativa vegetazione, con effetti anche sul
retroduna del Parco nazionale».
SAN FELICE E GLI ABUSI EDILIZI - Non
va meglio sul piano degli illeciti che si consumano, costantemente,
sotto gli occhi dei cittadini e delle istituzioni. Basta guardare alle
ultime vicende che hanno come protagonista la spiaggia di San Felice
Circeo. Quasi tutti gli operatori balneari ( insieme ad alcuni esponenti
del comune, 27 persone in tutto) sono finiti sotto inchiesta per reati
di abuso d'ufficio, occupazione abusiva a violazione del vincolo
paesaggistico. Il motivo è molto semplice: grazie ad un modifica del
piano arenili ritenuta illegittima dagli inquirenti, agli operatori è
consentito tenere installati gli stabilimenti con le relative strutture (
scivoli, pedane, tettoie etc…) quando in realtà dovrebbero rimanere
montati solo per l'estate. Per gli operatori, tra cui un ex sindaco, il
vantaggio economico di non dover chiedere nuovi nulla osta e di non
dover smontare le strutture ogni fine estate.
La mareggiata di inizio marzo a Ventotene
PROBLEMI ISOLANI - E di abusivismo, in qualche modo, si parla
anche presso le isole dell'arcipelago, dove il dissesto idrogeologico
divora il terreno, lo spazio scarseggia ed è cronica, invece, la fame di
posti barca. Si sono da poco chiuse le indagini a carico di due
pontilisti e dell'ex comandante del porto di Ventotene che avrebbe
accordato concessioni in deroga per l'ormeggio di imbarcazioni oltre i
tredici metri contravvenendo ai regolamenti in vigore. Mentre arriva
un'altra estate dagli esiti incerti secondo gli imprenditori locali.
L'isola di Giulia ancora una volta lamenta croniche situazioni di
disagio.Si lavora per riparare in fretta i danni dell'ultima ondata di scirocco e della tempesta che a inizio marzo aveva provocato notevoli danni agli approdi con relativi aggravi di spese per il comune. E la caduta in mare del container dei rifiuti sul porto - sradicato da una tempesta - è costata all'amministrazione diverse migliaia di euro per il recupero. Non è la prima volta che accade: i ventotenesi chiedono di spostare altrove la «pattumiera» che ancora oggi staziona nel porto principale. Pessimo biglietto da visita. Michele Marangon29 marzo 2013 | 16:56© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/13_marzo_29/pasqua-senza-spiagge-erosione-212397941306.shtml
Latina allarme erosione il mare minaccia strada e case
venerdì 29 marzo 2013
Muos Niscemi, Crocetta revoca l’autorizzazione alla costruzione dei radar
L'8 febbraio scorso il governatore aveva già bloccato il cantiere. Oggi lo stop definitivo. Prevista per il 30 marzo la manifestazione nazionale dei movimenti No Muos. Allerta tra le forze dell'ordine per la possibile presenza di gruppi di anarco insurrezionalisti pronti a scatenare disordini durante il corteo
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 29 marzo 2013 http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/29/sicilia-crocetta-ha-revocato-autorizzazione-a-costruzione-muos/546296/
Più informazioni su: Caltanissetta, Movimento 5 Stelle, Muos Niscemi, Rosario Crocetta, Sicilia, Usa.
L’annuncio, nel corso di una conferenza stampa a Palermo, è avvenuto alla presenza del presidente del Senato Pietro Grasso. Si conclude così la vicenda della costruzione del sistema satellitare della Marina militare Usa, la cui costruzione era prevista in contrada Ulmo a Niscemi e che aveva scatenato anche le ire degli ambientalisti. Un progetto da sempre contestato da comitati civici che temono per i rischi alla salute dovuti alle onde elettromagnetiche. Sulla vicenda, nell’ottobre del 2012, era intervenuta anche l’autorità giudiziaria di Caltagirone con la decisione della Procura che aveva ottenuto dal gip il sequestro preventivo dell’area e degli impianti.
Lo stop è stato anche fortemente voluto dal Movimento 5 stelle che aveva addirittura bloccato il Documento di programmazione economico finanziari (Dpef). Nei giorni scorsi i rappresentanti del M5s, accompagnati dal console americano Donald Moore, hanno visitato la base militare di Sigonella per prendere visione proprio di alcuni documenti che riguardano il Muos,
E proprio sulla manifestazione prevista sabato 30 marzo le forze dell’ordine hanno espresso preoccupazione perché gruppi di anarco-insurrezionalisti si starebbero preparando a ostacolare e contrastare la polizia anche con oggetti pericolosi per creare disordini prima e durante l’evento. Già aperto un fascicolo contro ignoti per l’ipotesi di reato di attentato alla sicurezza dei trasporti, porto di oggetti pericolosi atti ad offendere, minacce e oltraggio a pubblico ufficiale. Gli agenti durante ripetute perlustrazioni effettuate in questi giorni lungo il percorso del corteo hanno sequestrato in un terreno incolto alcuni sacchi contenenti una ventina di assi di legno chiodate, preparate artigianalmente, e centinaia di chiodi a tre punte ricavati da pezzi di reti elettrosaldate, con l’evidente intenzione di forare le gomme agli automezzi diretti o provenienti dal presidio militare. I poliziotti hanno rimosso cumuli di pietre ai margini della carreggiata pronti per essere messi di traverso sulla strada al momento opportuno e una barricata fatta di assi di legno.
giovedì 28 marzo 2013
Marche, nomi eccellenti nell'inchiesta sul biogas. Contestata anche l’associazione a delinquere. 13 indagati.
INCHIESTA BIOGAS, CHI SONO I 13 INDAGATI
Regione Marche - 14 Marzo 2013 | Direttore Marco Spadola | Stampa
Nomi eccellenti nell'inchiesta sulle centrali a biogas e biomasse e sul parco eolico di Camerino. Tra i dodici indagati, come riporta il Corriere Adriatico, spiccano il conte Guido Leopardi Dittajuti, gli imprenditori di Morrovalle Antonio e Alessandro Lazzarini e il funzionario della Provincia di Pesaro-Urbino Renzo Rovinelli. E per dieci di loro spunta anche l'associazione a delinquere. Il sospetto è quello di una combine tra i pubblici funzionari, un ristretto gruppo d'imprenditori e professionisti che si sarebbero accordati per spartirsi alcuni dei principali siti di energia alternativa in regione e incamerare i contributi regionali e statali, circa 2 milioni di euro all'anno per 15 anni.
Secondo i pm anconetani Paolo Gubinelli, Marco Pucilli e Andrea Laurino, il dirigente regionale del servizio Territorio e Ambiente Luciano Calvarese e i suoi collaboratori Sandro Cossignani e Mauro Moretti avrebbero concesso i nullaosta, in alcuni casi anche in violazione di norme urbanistiche e ambientali, a una serie di società di cui loro direttamente o indirettamente possedevano delle quote o per le quali erano stati nominati consulenti, sempre riconducibili ai soliti nomi: gli imprenditori Leopardi, Lazzarini e gli ingegneri Diego Margione di Macerata e Lorenzo Binci di Osimo, anche autori dei principali progetti. Di qui l'associazione a delinquere finalizzata a commettere una serie di reati contro la pubblica amministrazione, tra cui la truffa e l'abuso d'ufficio, contestata anche a Rovinelli e alla compagna Alessandra Severini di Fano.
Dal reato associativo restano fuori il presidente della Comunità Montana di Camerino Sauro Scaficchia e il suo predecessore Luigi Gentilucci, indagati per concorso in abuso d'ufficio nell'ambito dell'autorizzazione per il parco eolico. Tra gli avvocati delle difese regna serenità: «Dimostreremo la estraneità dei nostri clienti, siamo sereni». Nel mirino degli inquirenti, oltre alla pratica Camerino, le autorizzazioni e la realizzazione delle centrali di San Vincenzo di Osimo, Camerata Picena, Agugliano, Jesi, Castelbellino e Metaurilia di Fano.
A Osimo, dove l'autorizzazione sarebbe stata concessa nel mancato rispetto delle previsioni del piano paesaggistico e in assenza del permesso di costruire, avrebbero fatto affari illeciti, secondo la Procura, il conte Leopardi e l'ingegner Binci, soci nella Green Farm, ma anche Moretti, Calvarese e Margione. Antonio Lazzarini, con Calvarese e Cossignani avrebbe invece costituito un cartello per accaparrasi la realizzazione degli impianti a biomasse a Camerata Picena e Agugliano. Centrali nelle quali Cossignani avrebbe una partecipazione tramite l'anziana madre e la società Capomaggio 86 di Lazzarini.
Alessandro Lazzarini, figlio di Antonio, è indagato per le centrali a biogas di Jesi e Castelbellino. L'accusa è quella di aver ottenuto il via libera presentando fideiussioni false o non idonee. Infine Rovinelli, che in qualità di funzionario provinciale, si era espresso, in sede di conferenza di servizi, per l'autorizzazione all'impianto a Biogas di Fano alla Prima Energia, società riconducibile alla compagna, Alessandra Severini. C'è poi il caso parco eolico. L'accusa per i due vertici della Comunità Montana è quella di aver affidato la progettazione alla società Valli Varanensi, bypassando la gara pubblica. Al sito sarebbe stato poi chiamato a lavorare Margione, legato da rapporti personali e societari con Calvarese. http://www.oltrefano.it/articoli/regione-marche/cronaca/biogas-marche-13-indagati.html
Rifiuti, Latina convoca Zingaretti per salvare Borgo Montello
Giovedì, 28 Marzo 2013 09:40 http://latina.laprovinciaquotidiano.it/cronaca/cronaca-locale/27981-rifiuti-latina-convoca-zingaretti.html
- Scritto da M. Marangon
«Non
aver pianificato e programmato in questi anni nel settore dello
smaltimento dei rifiuti, sta determinando in provincia di Latina una
situazione a dir poco allarmante e con possibili ripercussioni
devastanti sul territorio di Borgo Montello».
Lo dichiara il consigliere Mattioli, firmatario della richiesta di
convocazione di consiglio comunale. «La possibile realizzazione di due
impianti di trattamento meccanico biologico con una capacità complessiva
di 400.000 t/rifiuti anno, unita a quella esistente di RIDA Ambiente di
400.000 t/rifiuti anno entro breve tempo, rischia di far diventare il
territorio di Latina e precisamente l’area delle discariche di Borgo
Montello un centro industriale per il trattamento dei rifiuti romani ed
“altro”. La Provincia di Latina produce circa 320.000 t/rifiuti anno –
dichiara il consigliere Mattioli – che con una raccolta differenziata
ferma al 25% equivale a una quantità di rifiuti da sottoporre a
trattamento di circa 240.000 t/anno, molto al di sotto del potenziale in
progetto, quindi, con gli impianti esistenti, sufficienti a soddisfare
il fabbisogno.
Realizzarne ulteriori in quell’area, significherebbe condannare definitivamente Latina e Montello a pattumiera del Lazio, con discariche ulteriormente da ampliare per i residui di lavorazione pari al 50% circa e un traffico veicolare che graverebbe sul territorio, ledendo la qualità e la dignità della vita dei cittadini che risiedono in quei territori e distruggendo definitivamente la vocazione agricola e ambientale di una delle zone più belle della nostra città.Chiederemo in Consiglio – aggiunge Mattioli – di istituire un tavolo di confronto con Provincia e Regione, dove si possa ragionare intorno all’idea di raccolta differenziata spinta e chiusura del ciclo di smaltimento dei rifiuti in ambito provinciale».
E Conclude: «Abbiamo chiesto e ottenuto con voto unanime della commissione Ambiente , la convocazione di un Consiglio Comunale monotematico sulla possibile realizzazione degli impianti di TMB a Montello, invitando i Presidenti Zingaretti e Cusani in aula».
Realizzarne ulteriori in quell’area, significherebbe condannare definitivamente Latina e Montello a pattumiera del Lazio, con discariche ulteriormente da ampliare per i residui di lavorazione pari al 50% circa e un traffico veicolare che graverebbe sul territorio, ledendo la qualità e la dignità della vita dei cittadini che risiedono in quei territori e distruggendo definitivamente la vocazione agricola e ambientale di una delle zone più belle della nostra città.Chiederemo in Consiglio – aggiunge Mattioli – di istituire un tavolo di confronto con Provincia e Regione, dove si possa ragionare intorno all’idea di raccolta differenziata spinta e chiusura del ciclo di smaltimento dei rifiuti in ambito provinciale».
E Conclude: «Abbiamo chiesto e ottenuto con voto unanime della commissione Ambiente , la convocazione di un Consiglio Comunale monotematico sulla possibile realizzazione degli impianti di TMB a Montello, invitando i Presidenti Zingaretti e Cusani in aula».
M5S e Internet: “Casaleggio è la testa, Grillo il megafono”
28 marzo 2013 per vedere il video http://tv.ilfattoquotidiano.it/2013/03/28/m5s-e-internet-casaleggio-e-testa-grillo-megafono/226469/
Ecco come le case automobilistiche truccano (legalmente) i test sui consumi
Bloccare la ricarica della batteria durante le prove, spogliare l’auto per farla pesare di meno, chiudere le fessure con nastro adesivo per ridurre l’attrito dell’aria, gonfiare al massimo gli pneumatici: secondo uno studio di una Ong, sono alcuni degli escamotage con cui l'industria a quattro ruote raggira gli automobilisti
di Andrea Bertaglio | 28 marzo 2013 http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/28/carburanti-ecco-come-case-automobilistiche-truccano-legalmente-test-sui-consumi/545292/
Lo studio di T&E, Mind the gap!, sta mettendo in imbarazzo gran parte dell’automotive europea e “indica che i controlli correnti sui veicoli […] sono incoerenti e inadeguati, con i produttori che pagano le organizzazioni che certificano le prove”. I metodi per eseguire i test, quindi, sono ormai “superati e non rappresentativi del mondo reale”. Secondo gli studiosi, il problema è racchiuso in un “lassismo nelle procedure di collaudo” che sta permettendo alle case automobilistiche di “manipolare le prove ufficiali, per produrre risultati irrealistici”. Che fare, dunque? Serve “un aggiornamento urgente dell’attuale sistema di misurazione dei consumi”.
I trucchi usati dalle case automobilistiche, per quanto scorretti, sono del tutto legali. Sono i test che, sottolinea l’ong, a decenni di distanza dalla loro entrata in vigore non sono più applicabili. Sotto accusa in particolare il New European Driving Cycle (Nedc): introdotta in Europa per la prima volta nel 1970, questa prova vuole rappresentare l’uso tipico di una vettura per valutarne i livelli di emissioni inquinanti. Come fa notare T&E, però, i veicoli sono ben diversi da quelli dei decenni passati (una seconda versione del Nedc è stata introdotta nel 1990), tanto che il gap fra le prestazioni dichiarate e quelle reali aumenta man mano che i modelli sono più nuovi. Secondo un’analisi svolta (sempre per T&E) da un laboratorio indipendente, infatti, le prestazioni dei veicoli sono peggiori in condizioni reali rispetto ai risultati ottenuti nelle prove ufficiali, in media, del 19% per i modelli più vecchi, e addirittura del 37% per quelli più recenti.
I dati delle case automobilistiche sono stati confrontati nel report anche con quelli raccolti da singoli automobilisti di Germania, Paesi Bassi e Svizzera in database come Spritmonitor.de. Siti che, raccogliendo le testimonianze degli automobilisti, hanno mostrato più di ogni altra analisi la gravità del fenomeno. “Le case automobilistiche in Europa stanno truffando i propri clienti e manipolando le prove ufficiali, portando a migliaia di euro di costi aggiuntivi”, afferma Greg Archer, manager di T&E. A essere frodati, però, sono anche “le leggi comunitarie, volte a ridurre le emissioni di CO2 delle autovetture e dei furgoni”. Il motivo? “L’attuale procedura consente inspiegabilmente al costruttore di dichiarare emissioni di CO2 fino al 4% al di sotto di quelle effettivamente misurate”.
Cifre importanti, che fanno sperare lo studioso di vedere introdotti nei prossimi anni nuovi test, in modo da riflettere maggiormente le condizioni di guida reali. “Fornire informazioni affidabili circa i consumi di carburante delle automobili aiuta i conducenti a scegliere modelli con minori costi di esercizio”, scrive T&E nel suo rapporto: “Avere accurati test sulle emissioni di CO2 dei veicoli è invece essenziale per consentire ai governi di imporre il corretto livello di tasse automobilistiche e garantire efficaci regolamenti di riduzione delle emissioni delle nuove autovetture”. Arrivati a questo punto, però, serve anche riportare gli automobilisti a fidarsi dei costruttori. Ma come? “L’unico modo per ricostruire questa fiducia è quello di colmare le lacune nelle procedure di prova in corso”, insiste Greg Archer: “E garantire che gli imbroglioni non prosperino”.
Matteo Renzi: assunto, candidato e pensionato in undici giorni
Il sindaco è stato assunto dall'azienda di famiglia, la Chil srl, il 27 ottobre 2003, otto mesi prima dell'elezione in Provincia e undici giorni prima che l'Ulivo lo candidasse. E così, da nove anni, i contributi per la sua pensione da dirigente li paga la collettività. Lo staff lo difende: "L'accostamento è sbagliato perché lavorava lì da molti anni"
di Marco Lillo | 27 marzo 2013 http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/27/firenze-matteo-renzi-assunto-candidato-pensione-undici-giorni/544314/
IL COMUNE di Firenze e prima la Provincia, hanno versato alla società di famiglia i contributi previdenziali per Matteo Renzi, nel rispetto del Testo Unico Enti locali che prevede il rimborso dei contributi alla società presso la quale lavora l’amministratore pubblico collocato in aspettativa non retribuita. Quando l’assunzione è molto vicina alla candidatura però sorge il dubbio che sia motivata più dall’ottenimento del rimborso dei contributi che dalla reale necessità dell’azienda di disporre di un dirigente distratto dalla politica. Nicola Zingaretti a Roma è finito nell’occhio del ciclone perché è stato assunto da un Comitato legato al Pd il giorno prima dell’annuncio della sua candidatura a presidente della Provincia. Ora si scopre che Renzi è stato assunto – non uno ma undici giorni prima dell’annuncio della sua candidatura – dalla società della sua famiglia. Il sindaco è inquadrato dal 27 ottobre 2003 nella Eventi 6 che oggi è intestata alle sorelle Matilde e Benedetta Renzi (36 per cento a testa), alla mamma Laura Bovoli (8 per cento) e al fratello del cognato, Alessandro Conticini, 20 per cento. Come spiega il vice-sindaco Saccardi nella sua risposta all’interrogazione: “Renzi ha avuto un contratto di collaborazione coordinata e continuativa fino al 24 ottobre 2003 presso la Chil srl. Dal 27 ottobre 2003 è stato inquadrato come dirigente”. Ecco la cronologia degli eventi di nove anni fa, ricostruita sulla base dei documenti camerali: il 17 ottobre 2003 il “libero professionista” Matteo Renzi e la sorella Benedetta cedono le quote della Chil Srl ai genitori; il 27 ottobre 2003, dieci giorni dopo avere ceduto il suo 40 per cento, Renzi diventa dirigente della stessa Chil Srl, amministrata dalla mamma; il 7 novembre 2003, solo 11 giorni dopo l’assunzione, l’Ulivo comunica ufficialmente la candidatura del dirigente alla Provincia; il 13 giugno 2004 Renzi viene eletto presidente e di lì a poco la Chil gli concede l’aspettativa. Da allora Provincia e Comune versano alla società di famiglia una somma pari al rimborso dei suoi contributi. Se Renzi non avesse ceduto le sue quote nel 2004, sarebbe stata una società a lui intestata per il 40 per cento a incassare il rimborso: una situazione ancora più imbarazzante di quella attuale, con le quote intestate a sorelle e mamma.
LA CHIL è una società fondata da papà Tiziano che si occupa di distribuzione di giornali e di campagne pubblicitarie. Dal 1999 al 2004 è intestata a Matteo e alla sorella. Poi, come visto, subentrano i genitori. Nel 2006 Tizia-no Renzi vende il suo 50 per cento alle figlie Matilde e Benedetta. Chil arriva a fatturare 7 milioni di euro nel 2007. Poi cambia nome in Chil Post Srl e nell’ottobre del 2010 cede il suo ramo d’azienda a un’altra società creata dalla famiglia: la Eventi 6 Srl. La vecchia Chil, ormai svuotata, finisce a un imprenditore genovese e fallisce. Mentre la Eventi 6 decolla dai 2,7 milioni di fatturato del 2009 ai 4 milioni di euro del 2011. Dopo il suo collocamento in aspettativa, il dirigente Matteo Renzi segue il destino del ramo d’azienda e oggi è collocato nella Eventi 6, di Rignano sull’Arno, sede storica della famiglia.
Le fonti vicine a Renzi precisano: “L’indicazione della candidatura alla Provincia venne anticipata a novembre per sbloccare la candidatura del sindaco Domenici ma era condizionata all’accordo sui sindaci che si chiuse solo ad aprile. L’accostamento ad altre situazioni ben diverse è sbagliato perché Matteo Renzi lavorava davvero in Chil da molti anni”.
da Il Fatto Quotidiano del 28 marzo 2013
Marcia per la terra, in cammino per la difesa del suolo
NEWS » Territorio
28 Marzo 2013 http://www.ilcambiamento.it/territorio/marcia_terra_21_aprile_2013.html
Il consumo di suolo nel nostro Paese per oltre 50 anni è sempre stato sopra la media europea
“La continua erosione di suoli fertili causata dal dilatarsi di nuovi insediamenti edilizi residenziali e produttivi è, per l’intero Piemonte e per la provincia di Cuneo, una evidente realtà corroborata da dati scientifici che testimoniano il punto attuale di consumo del suolo. Questo esagerato consumo – si legge nel sito Salviamo il paesaggio pregiudica ormai la qualità della nostra vita e constatiamo ogni giorno di più che 'perdere il Paesaggio' è come perdere una parte di noi stessi”.
“Il suolo libero e fertile è un bene comune prezioso, come l’acqua: ne abbiamo bisogno per produrre cibo e degradare i rifiuti, per filtrare le acque e mitigare le alluvioni, per mantenere la biodiversità e assorbire il carbonio, per produrre biomassa e materie prime. Il paesaggio ci fa respirare: è il nostro stesso respiro”.
Da un recente studio condotto dall'Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale (Ispra) sull'andamento del consumo di suolo dal 1956 al 2010 è emerso che negli ultimi cinque anni il consumo di suolo in Italia è cresciuto al ritmo di oltre 8 metri quadrati al secondo, pari al 6,9% del territorio nel 2010.
Per ogni italiano sono andati persi più di 340 mq all'anno. Ogni 5 mesi perdiamo una quantità di suolo pari a quella del comune di Napoli e ogni anno ad essere divorata dal cemento è un'area vasta quanto Milano e Firenze. Il consumo di suolo nel nostro Paese, ha spiegato l'Ispra, per oltre 50 anni è sempre stato sopra la media europea.
La rete delle 894 organizzazioni che compongono il Forum nazionale Salviamo il Paesaggio ha dunque deciso di lanciare questa iniziativa per sollecitare l'attenzione di tutti sull'importanza di preservare il suolo.
“Marciare per la terra è un piccolo ma importante gesto: un gesto di speranza. Un gesto che vuole essere come un abbraccio collettivo, attraverso cui tutti possiamo manifestare il nostro amore per la terra: da persone semplici, persone normali. Con la consapevolezza che difendendo con determinazione quella sempre più fragile parte del nostro territorio non ancora compromessa, conserveremo il capitale ereditato e garantiremo ai nostri figli una possibilità di futuro”.
mercoledì 27 marzo 2013
Elettricità, grazie alle rinnovabili autosufficiente quasi un municipio su tre
Presentato da Legambiente il Rapporto Comuni Rinnovabili 2013. Le fonti pulite soddisfano ormai il 100% del fabbisogno di 2400 centri urbani e coprono il 28% dei consumi elettrici nazionali. Ora la nuova sfida è riformare la rete e i regolamenti per completare la rivoluzione
di VALERIO GUALERZI http://www.repubblica.it/ambiente/2013/03/26/news/comuni_rinnovabili_2013-55332706/
La distribuzione dei Comuni rinnovabili in Italia
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Comuni rinnovabili, le mappe del boom
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BLOG La Lezione di Prato allo Stelviodi ANTONIO CIANCIULLO
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Modelli ribaltati. I numeri dello studio realizzato dall'associazione ambientalista in collaborazione con il Gse e Sorgenia sono impressionanti e, come si legge nella premessa del dossier, "ribaltano completamente il modello energetico costruito negli ultimi secoli intorno alle fonti fossili, ai grandi impianti, agli oligopoli". "La portata di questi processi - avverte il curatore del rapporto e vicepresidente di Legambiente Edorardo Zanchini - è tale che in molti faticano a capirla, ed è tale la loro diffusione da risultare difficilissima da monitorare".
COMUNI RINNOVABILI: MAPPE, GRAFICI E TABELLE
Oltre 600 mila impianti. Nel 2012 in Italia la produzione da energie rinnovabili, grazie ad oltre 600 mila impianti distribuiti nel 98% dei Comuni, ha garantito il 28,2 % dei consumi elettrici e oltre il 13% di quelli complessivi. Dal 2000 ad oggi 47,4 TWh da fonti "verdi" si sono aggiunti al contributo dei "vecchi" impianti idroelettrici e geotermici. Nel Paese ci sono 2400 Comuni (su circa 8mila) che producono più energia elettrica di quanta ne consumino le famiglie residenti grazie ad una o più fonti rinnovabili. I casi più virtuosi sono naturalmente quelli dei piccoli centri urbani, dove oltre a sole e vento è possibile contare anche su mini idroelettrico e su una vasta disponibilità di biomasse. In testa alla classifica assoluta (e per questo premiata) c'è quindi una vecchia conoscenza, Prato allo Stelvio, minuscolo municipio dell'Alto Adige.
Non solo piccoli municipi. La rivoluzione sta iniziando però a coinvolgere anche le città maggiori. Cuneo, Ravenna, Terni e Foggia ad esempio, grazie ad un mix di fonti pulite, riescono a soddisfare il 100% dei fabbisogni elettrici delle famiglie residenti. Altri 56 Comuni con più di 30 mila abitanti, tra cui Matera, Bergamo, Padova, Perugia e Grosseto, coprono invece una quota dei consumi tra il 50 e il 99%. Una trasformazione che sta facendo sentire i suoi effetti positivi su diversi piani.
Prezzi in calo. Dal punto di vista economico la produzione da termoelettrico e i conseguenti costi per le importazioni delle materie prime dall'estero si stanno riducendo, anche se non in valori assoluti visti i rincari dei prezzi, con un conseguente calo dei prezzi dell'energia sul mercato elettrico. Stando ad alcune stime, nel 2012 il prezzo unitario nazionale dell'energia è calato fino al 22% nelle ore in cui è più rilevante il contributo del fotovoltaico.
Ambiente e occupazione. La diffusione delle rinnovabili ha portato poi importanti benefici ambientali e occupazionali. Le emissioni di CO2 sono diminuite, permettendo all'Italia di ridurre il suo ritardo nel raggiungimento degli obiettivi del Protocollo di Kyoto e le conseguenti multe in denaro, mentre il numero di persone impiegate nel settore sono oggi comprese tra le 100 e le 120 mila unità. Se azionata insieme all'altra grande leva del cambiamento in campo energetico, quella dell'efficienza, la diffusione di quelle che una volta si chiamavano "fonti alternative" può davvero cambiare le carte in tavola. Un primo vistoso calo nei consumi si è già avuto (-5% rispetto al 2007), anche se dettato in buona parte dalla recessione. E' possibile però prepararsi ad un'auspicabile ripresa economica spingendo ancora di più sull'efficienza.
Il nodo incentivi. Successi indiscutibili che secondo i detrattori sono stati ottenuti però ad un costo esorbitante, ovvero la concessione di generosi incentivi che hanno pesato fortemente sulle bollette di imprese e famiglie. "Comuni rinnovabili", pur riconoscendo errori e distorsioni nella gestione dei diversi "conti energia" che si sono succeduti negli anni, rigetta però le accuse, ricordando che gli sprechi e i regali ingiustificati sono ben altri. "Secondo i dati dell'Authority per l'energia - ricorda il rapporto - la spesa annua delle famiglie per l'elettricità è passata da una media di 338,43 euro nel 2002 a 515,31 euro nel 2012. Ossia 176,88 euro in più a famiglia e un aumento del 52,5%. La spiegazione la conosciamo da tempo: la dipendenza nella produzione di energia da fonti fossili che importiamo dall'estero, che ci fa rimanere un Paese in balia degli eventi che accadono intorno al prezzo del greggio tra conflitti, speculazioni, interessi delle imprese".
Indignazione a senso unico. "In Italia gli incentivi alle vere fonti rinnovabili pesano oggi per circa il 14,9% nelle bollette delle famiglie, con una dinamica di crescita sicuramente da tenere sotto controllo", afferma ancora Legambiente, che sottolinea però come "è l'International Energy Agency a quantificare nel 2012 un ammontare di sussidi alle fonti fossili nel mondo pari a 630 miliardi di dollari, in netta crescita negli ultimi anni".
Ciò che resta da fare. Ma con la polemica sugli incentivi ormai logora e il "Quinto conto energia" praticamente agli sgoccioli, la sfida è diventata un'altra. Parafrasando e ribaltando il celebre motto di Massimo D'Azeglio, si potrebbe dire che le rinnovabili italiane sono state fatte: ora si tratta di fare l'Italia delle rinnovabili. E' giunto il momento, ovvero, di realizzare le nuove infrastrutture e soprattutto le nuove regole in grado di far decollare definitivamente la rivoluzione.
Reti intelligenti. "La prima chiave di lettura di questa prospettiva - spiega Legambiente - è quella dell'autonomia energetica, e dunque di edifici, quartieri e ambiti territoriali che progressivamente riescono attraverso le fonti rinnovabili termiche ed elettriche a soddisfare fabbisogni ridotti grazie ad attenti interventi di efficienza energetica. La seconda chiave è quella delle smart grid energetiche, e dunque di una gestione delle reti di distribuzione innovativa, perché aiuta la generazione più efficiente attraverso un sistema sempre più integrato, dove si avvicina e scambia energia in rete, integrata con impianti di accumulo".
L'esempio dell'alveare. Il modello è quello di un sistema elettrico nazionale sempre più strutturato come un alveare che mette in comunicazione intelligente tra loro tante piccole celle/reti autonome (le cosiddette microgrid), più efficienti e flessibili, oltre che più resilienti a eventuali incidenti come il devastante black out del 2003. Uno degli esempi italiani più evidenti delle potenzialità di questo sistema arriva proprio da Prato allo Stelvio che gestisce in cooperativa una propria rete elettrica con sostanziosi vantaggi economici, ambientali e politici.
Il futuro è delle SEU. "L'obiettivo che tiene assieme queste due chiavi - sottolinea ancora il rapporto - sta nell'aiutare tutti coloro che riescono ad auto produrre l'energia elettrica e termica di cui hanno bisogno. In questo modo infatti si riduce complessivamente la domanda di energia e si utilizza la rete per un interscambio sempre più efficiente tra gli utenti/produttori". Legambiente è convinta in particolare che occorra quanto prima gettare le basi normative e regolamentari per favorire la creazione di reti private e sistemi locali di utenza, le SEU. E' questa la nuova sigla su cui sono pronti a scommettere gli ambientalisti.
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