Scandalo al sole http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-edicola/
«Il sud Italia, da Latina in giù, è la pattumiera d'Europa: a Formia
10 mila bidoni di rifiuti tossici, al largo di Salerno affondata una
nave con scorie anche nucleari». Il pentito dei Casalesi Carmine
Schiavone parla al manifesto e aggiunge nuovi dettagli alle sue
confessioni. Ma nella «Terra dei fuochi» tra Napoli e Caserta le
industrie continuano a utilizzare le discariche abusive, che poi vengono
incendiate. PAGINE 2, 3 DALLA PRIMA Coperta da un telo di plastica,
una montagna di eternit. All'aria aperta. «Qui esistono una miriade di
aziende che girano casa per casa a offrire prezzi competitivi per lo
smaltimento dell'amianto. Poi, con le tute e le mascherine, vanno a
buttarlo in campagna». Prima o poi i pannelli di eternit bruceranno,
insieme a ciò che rimane dei frigoriferi, ai rifiuti dell'industria del
falso e di quella legale, dell'edilizia e dell'agricoltura. Tutti
insieme a comporre un mix micidiale di diossina e altre sostanze
tossiche. Funziona così, nella Terra dei fuochi: si satura la discarica e
poi, per eliminare qualsiasi traccia e liberare spazio per i prossimi
rifiuti, si assolda un piromane che appicca il fuoco con maestria. È a
buon mercato, la prestazione di un incendiario: 20 euro, non di più.
Qui, in questa pianura sterminata a cavallo tra l'alto napoletano e il
basso casertano, dove la Terra di lavoro si trasforma in un groviglio di
cavalcavia e paesoni, rotonde e strade poderali, il business dello
smaltimento illegale, velenoso, assassino del territorio e di chi lo
abita non si è mai fermato e prosegue indisturbato. Oggi come dieci o
vent'anni fa. A Orta di Atella, Caivano, Succivo e in tutta l'area a
nord di Napoli le discariche abusive si contano a decine. Si riempiono
fin quando qualcuno non si premura di dare fuoco al tutto, poi
riprendono a crescere, in un ciclo apparentemente infinito. Siamo nel
cuore della Terra dei fuochi, così detta per via di quei roghi che
quotidianamente la punteggiano e ne appestano l'aria, in un primordiale
sistema di smaltimento dei rifiuti. È questo l'epicentro di quella
«pattumiera d'Europa» cui un intreccio perverso tra mafie, un sistema
industriale corrotto e malapolitica hanno destinato il sud Italia da
Latina in giù, per ammissione di Carmine Schiavone, cugino di Francesco
«Sandokan», capo indiscusso del clan dei Casalesi. «Qui c'è un intero
sistema industriale che smaltisce i rifiuti in questo modo, e lo Stato è
connivente», dice Enzo Tosti, mio accompagnatore in questo tour nei
luoghi di stoccaggio della «monnezza illegale», quella che sfugge a ogni
censimento o statistica. Quanta gente si è presa la briga, a oggi, di
analizzare una discarica abusiva rifiuto per rifiuto? Quali istituzioni
si sono occupate di censire, monitorare, sorvegliare, prevenire quello
che ogni giorno continua ad accadere nella ormai ex Campania felix? Se
il pentito Schiavone ha parlato dei veleni sotterrati o inabissati,
Tosti cataloga ciò che emerge alla luce del sole, quel combustibile che
alimenta i roghi della cosiddetta Terra dei fuochi. Non è una gola
profonda della camorra e neppure un chimico o un biologo o un medico. È
un operatore socio-sanitario, nella vita si premura di assistere giovani
e meno giovani con problemi mentali, ma per amore della sua terra ha
deciso di condurre una battaglia contro le discariche abusive e un
sistema che definisce «sbagliato e marcio». Come altri attivisti dei
comitati che si battono per una riqualificazione del territorio, Tosti
trascorre le sue giornate con gli occhi aguzzati alla ricerca di una
colonna di fumo nero, per segnalarla a vigili del fuoco e forze
dell'ordine. Ma non è solo una sentinella del territorio. Piuttosto, mi
sentirei di definirlo un entomologo della monnezza, un esperto di quel
meccanismo perverso che parte da una fabbrica del nord Italia o da un
cantiere edilizio della strada accanto e finisce nelle strisce di
bitume, nei pannelli di eternit, in quei sacchi neri pieni di residui di
pelli o calzaturieri, nei frigoriferi smontati, nei copertoni di auto e
nelle plastiche delle serre messe in fila o ammassate una sull'altra
nelle discariche abusive e che mi mostra articolo per articolo, come
l'addetto a un museo dello scarto. Tosti ha ragione. Bisogna guardarla
da vicino, l'immondizia, per capire di cosa si parla. Solo così,
osservando cosa si smaltisce, si può arrivare a comprendere quanto un
intero sistema di produzione sia «marcio e malato», quali e quanti
interessi si nascondano dietro al mantenimento di uno status quo
insostenibile da tempo eppure ancora perfettamente funzionante. È
possibile perfino arrivare a dare un volto agli inquinatori di
professione, ricostruire una catena che dall'ultimo anello, il piromane
su cui ogni campagna securitaria vuol ricadere ogni responsabilità e
aggravare la pena, risale fino all'azienda dal volto pulito alla quale
il più delle volte nemmeno si riesce a contestare il reato ambientale.
Un esempio è davanti ai miei occhi, in una discarica a cielo aperto
nelle campagne di Orta di Atella: ci sono residui della lavorazione di
scarpe ovunque, taniche di collanti, ritagli delle tomaie. Tosti li
racconta così: «Quest'area è da sempre un polo calzaturiero importante.
Ora le grandi griffe parcellizzano il lavoro, affidando l'assemblaggio
dei prodotti a centinaia di persone che lo fanno a casa loro. Una volta
si premuravano loro di smaltire gli scarti, ora invece lo fanno fare a
questi ultimi, perché non si possa risalire a loro in nessun caso». La
discarica abusiva sorge attorno a una collinetta sotto la quale c'è di
tutto. In questa pianura a perdita d'occhio interrotta solo, sullo
sfondo, dal Vesuvio, ogni collinetta nasconde un mostro che è meglio non
risvegliare. Non è l'unica che visiterò: a Succivo il Comune ha mandato
le ruspe ad accantonare i rifiuti al bordo delle strade, qui invece
c'era già un sito di stoccaggio temporaneo dei tempi dell'emergenza
rifiuti in Campania e tutto rimane dove viene abbandonato. L'intera
Terra dei fuochi ne è disseminata e, come di solito accade in Italia,
non c'è nulla di più stabile del temporaneo. Si capisce perciò la
profonda diffidenza dei cittadini ogni volta che viene loro proposta una
nuova discarica, un sito provvisorio o, ancor più, un inceneritore. I
rifiuti, nella gran parte dei casi, non sono loro e neppure si tratta di
immondizia urbana ma di altro e ben peggiore. Alle volte la terra fuma,
quando piove il famigerato percolato si infiltra nel terreno e può
arrivare a contaminare falde acquifere anche dopo anni. «Abbiamo fatto
analizzare l'acqua di un pozzo, proprio qui vicino, ed è venuto fuori di
tutto», dice ancora Tosti. A duecento metri dalla discarica c'è un
mercato abusivo: decine di ambulanti - molti africani - espongono la
mercanzia a terra, lungo uno stradone e su uno spiazzo asfaltato e senza
ombra. A fianco c'è invece un terreno coltivato. È piuttosto comune, da
queste parti, vedere campi arati o distese di alberi da frutta
convivere con il disastro ambientale, i roghi e le cataste di rifiuti
del tessile e del calzaturiero, dell'edilizia e dell'agricoltura. A
Caivano un terreno coltivato fiancheggia un'altra discarica. Fino a
quest'estate c'era un pescheto, ora gli alberi non ci sono più e il
terreno è arato di fresco: le piante sono seccate. Perché? Non è raro
incrociare intere piantagioni di alberi da frutta morti o filari di
pioppi malati, ed è inevitabile per quale motivo accada, cosa ci sia lì
sotto. I contadini si lamentano perché «nessuno vuole più i nostri
prodotti» e ce l'hanno con i giornalisti: «Questa non è la Terra dei
fuochi, è Terra di lavoro». Hanno ragione e allo stesso tempo torto: non
si può fare di tutta l'erba un fascio, non tutto è inquinato e non
tutti coltivano a ridosso di discariche. Ma in troppi hanno taciuto
quando il territorio veniva violentato, pensando a curare il proprio
orticello. Non è stato così, e loro sono rimasti in mezzo a due fuochi
concentrici: i roghi e le agromafie, che impongono prezzi da fame per
prodotti agricoli. Al mercato ortofrutticolo i pomodori vengono pagati
otto centesimi al chilogrammo, le stesse mafie gestiscono il riciclaggio
nelle discariche abusive degli scarti dell'agricoltura e poi fanno
appiccare i roghi che avvelenano tutto, e nessuno vuole i prodotti di
una terra malata anche se venduti sotto costo. E il cerchio di un
sistema «malato e marcio» si chiude. (1- continua) 3,9 MILIARDI È il
fatturato delle mafie legato al business dei rifiuti, secondo un
rapporto di Legambiente. Ad esso è legato l'accaparramento di terreni
agricoli Foto: ROGHI TOSSICI A CRISPANO/ FOTO MAURO PAGNANO Foto:
DISCARICA ABUSIVA A SUCCIVO, A FIANCO RIFIUTI SVERSATI ABUSIVAMENTE E
UN'AZIENDA CONTAMINATA DISMESSA/ FOTO ANDREA SABBADINI
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