mercoledì 13 novembre 2013

Pd, Pdl e governatori: inciucio all’ultima spiaggia L’ACCORDO GIÀ C’È: NESSUNA VENDITA, CONCESSIONI TRENTENNALI A PREZZI RIDICOLI L’INGANNO

La soluzione, nonostante il Pd abbia ritirato gli emendamenti, è già scritta dalla senatrice Granaiola che partecipa ai sit-in con i balneari Il fatto quotidiano 13 novembre 2013 di Marco Palombi Le spiagge – o meglio gli spazi di pertinenza economica degli stabilimenti balneari – non verranno vendute (o sdemanializzate, come preferiscono dire i proponenti), però quasi: semplicemente le concessioni in essere verranno prorogate per la bellezza di trent’anni ai ridicoli prezzi attuali. All’ingrosso quello che voleva fare Giulio Tremonti alla fine della legislatura 2001-2006 e a cui il centrosinistra si oppose levando al cielo alti lai sui beni pubblici. Questo è l’accordo quasi segreto – raccontano fonti di maggioranza – che Pd, Pdl, Lega e presidenti di regione hanno già trovato in questi giorni: i dieci emendamenti fotocopia – quelli sulla vendita – presentati dai berlusconiani, dai democratici e dal Carroccio servono solo a rendere più digeribile il “compromesso” finale. Almeno non le abbiamo vendute, potranno giustificarsi nel Pd, il partito che registra il maggior numero di contrari alla proposta. L’INTESA, si diceva, è quasi segreta perché in realtà l’opera - zione propagandistica è già iniziata: “Il Pd alzi la voce: le spiagge sono di tutti – gonfia il petto il presidente della Toscana Enrico Rossi –. In realtà il problema delle concessioni degli stabilimenti marittimi si può risolvere con concessioni più lunghe”; “sarebbe politicamente inaccettabile e tecnicamente sbagliato – scandisce il ministro dell’Ambiente Andrea Orlando –. Un conto è interrogarsi su come evitare che la normativa europea impatti in modo eccessivamente negativo sulle imprese; un altro è pensare di aggirarla svendendo il patrimonio ambientale e paesaggistico”. Il riferimento è alla direttiva Bolkenstein, che imporrebbe la messa a gara di questo tipo di concessioni. La soluzione tecnica, peraltro, è già scritta nell’emendamento presentato dalla viareggina Manuela Granaiola (una vera eroina dei concessionari, tanto da partecipare persino ai loro sit in con relativi, accorati discorsi alle “care ragazze e ragazzi del mondo balneare”) e firmato da altri otto senatori del Pd prima di essere ritirato, ieri sera, dopo una giornata di polemiche: oltre alla “sdemania - lizzazione” degli edifici pertinenziali – per capirci, cose tipo i ristoranti – l’ultimo comma propone proprio una proroga dai venti ai trent’anni delle concessioni in essere sulle spiagge. Facile fin d’ora prevedere, alla fine, il riavvio della procedura di infrazione Ue che i governi Berlusconi e Monti bloccarono promettendo di far partire le gare. Ci si potrebbe chiedere: ma qual è il problema? Questo: lo Stato italiano svende (o concede per decine di anni, che è quasi lo stesso) le spiagge italiane e, per di più, si rifiuta di applicare la legge e incassare quanto sarebbe giusto. “Quan - do fu Tremonti a proporre di allungare la concessione intorno ai 50 anni la sinistra, giustamente, si oppose con forza – ri - corda Angelo Bonelli, lo scopritore dell’emendamento del Pd – Perché oggi fa proposte che ricordano quelle di Tremonti?”. Il fatto è, insiste il leader dei Verdi, “che si trattano le spiagge degli italiani come un fatto privato”: “Le imprese, poi, hanno già avuto quelle concessioni in assenza di qualsiasi gara di evidenza pubblica e sapevano perfettamente che la legge prevedeva (e prevede) che la proprietà sarebbe rimasta allo Stato”. I “BALNEARI”, però, sono una potenza economica con una provata capacità di influenza sulla politica. Il risultato è il seguente: l’erario rinuncia a parecchi soldi realizzando di fatto un trasferimento di ricchezza dalla collettività all’imprendi - toria privata. Facciamo due conti: in Italia ci sono circa 32 mila concessioni sul demanio marittimo che nel 2012 hanno fruttato alle casse pubbliche 102 milioni di euro. In media fa poco più di tremila e cento euro a stabilimento. Ecco un esempio illustre: il “Twiga” di Flavio Briatore e Daniela Santanchè a Marina di Pietrasanta, per dire, paga 8.000 euro l’anno e a bilancio 2012 registra un fatturato di circa quattro milioni di euro e utili per quasi 400 mila. Il paradosso è che la legge italiana fin dal 2003 (e con più incisività dal 2006) aveva previsto “l’ade - guamento dei canoni demaniali”, cioè il loro aumento: peccato che il relativo decreto attuativo non sia mai arrivato. “Questo significa che in dieci anni – spiega ancora Bonelli – lo Stato ha rinunciato a incassare circa cinque miliardi di euro, cioè quanto il Pdl prevede di incassare una tantum con la vendita. E la mia è una stima per difetto”. UN AFFARE PER POCHI Bonelli: “Lo Stato ottiene solo 102 milioni I titolari dei bagni incassano 10 miliardi” “CON LA PROPOSTA di vendere le spiagge italiane siamo proprio all’ultima spiaggia”. Afferma Angelo Bonelli, presidente dei Verdi (che giovedì faranno un sit-in piazza del Pantheon a Roma), e snocciola le cifre della beffa: “In Italia sono state date dallo Stato italiano, nel corso degli anni, prima dalle capitanerie di porto e poi dalle regioni, 30.000 concessioni sul demanio marittimo legate a 15.000 stabilimenti balneari che insistono su 600 comuni costieri. Il tutto è avvenuto senza alcuna gara di evidenza pubblica. Le concessioni si sono trasferite nel corso degli anni da padre in figlio o vendute attraverso la creazione di società di gestione di servizi. Una monarchia”. E sui mancati introiti per le casse Italiane spiega: “Quanto ha incassato lo Stato dalle concessioni sul demanio marittimo? 102 milioni di euro nel 2012, mentre nel 2010-2011 circa 90 milioni di euro e gli anni precedenti la metà . In sintesi lo Stato incassa 3.400 euro a concessione, mentre gli incassi che gli stabilimenti balneari realizzano ogni anno in Italia si aggirano intorno ai 10 miliardi di euro, anche se i ricavi ufficiali parlano di 2 miliardi di euro”. Altro aspetto del problema sono gli affitti bassissimi: “I canoni di concessione sono molto bassi, se non ridicoli. In base alla legge per le aree scoperte dovrebbero pagare 1,27 euro centesimo metro/ q all'anno e per le aree dove insistono attività 2,12 euro mq anno. Un regalo. Ma nonostante ciò, queste tariffe sono bloccate da una proroga dello Stato che non applica questi adeguamenti”. E ora l’ultimo colpo di coda della politica.

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